Ventiquattro anni, non sentirli affatto (ma perché, poi?! Dovrebbero sentirsi ventiquattro anni?) e volare, con i brividi addosso, sulle ali di un entusiasmo più che comprensibile. “Ancora non ci credo, sono emozionatissima”. E cosa dovrebbe mai dire, di diverso, Claudia Pregnolato, in arte Namida, che venerdì 7 giugno è stata chiamata ad aprire la prima delle 7 date milanesi di Vasco Rossi a San Siro? (ovviamente tute sold-out: 7, 8, 11, 12, 15, 19 e 20 giugno). E che porterà il suo recente singolo, “Ti faccio un tutorial”, davanti a un pubblico gigantesco? “È il mio idolo, da sempre. La sua musica mi ha aiutato a mettere fuori la testa in un piccolo paese di provincia dove la musica non era prevista”.
Ehm, ma come?! La tua biografia recita che sei nata a Torino, mica un paesino…
“Sì, ma quando avevo un anno e mezzo la mia famiglia si è trasferita a Porto Viro, in provincia di Rovigo”.
E come sei passata da Porto Viro a San Siro?
“È nato tutto da un concorso organizzato dal Comune di Zocca e Vasco Rossi (“Zocca paese della musica”, un festival che si è svolto al Teatro “Il Blasco” tra il 17 e il 24 maggio scorsi, nda). I partecipanti sono stati più di 500, poi ci sono state varie scremature che hanno portato alla selezione di undici vincitori (uno per ogni data del tour estivo di Vasco). Durante il periodo delle esibizioni ho respirato l’autentica anima di Vasco, non percepivo l’atmosfera pesante delle competizioni. Alla fine, però, il concorso l’ho vinto e così mi sono guadagnata l’apertura della prima data milanese del mio idolo. Mi sono guadagnata le mie quattro canzoni in quindici minuti. Un quarto d’ora per far capire chi sono, chi siamo”.
Ecco, appunto, il tuo idolo. Ti ha ispirato?
“Assolutamente sì. La sia biografia mi ha sempre affascinato, l’ho sempre capita alla perfezione. Dove sono cresciuta la musica non era un’opzione. Vasco mi ha dato la spinta, la voglia di scrivere canzoni”.
Quindi, nonostante la tua giovane età, sei cresciuta senza uno smartphone-mondo attraverso cui isolarti e ascoltare una tua musica, o comunque quella che girava sulle piattaforme?
“Esatto. Ho iniziato a fare musica seriamente quando avevo diciotto anni. Prima non pensavo neppure fosse possibile che una come me potesse cantare, esprimersi”.
Esprimersi con il pop-punk, presumo, a giudicare dal tiro dei tuoi pezzi. Hai colto un’essenza punk in Vasco?
“Senza dubbio il primo Vasco era molto punk. Io sono figlia di Mtv, della scena pop-punk di inizio 2000 (blink-182, Sum 41, Green Day). Si sente, nei miei testi, quel preciso momento storico. Come si sente la vita di provincia di Vasco”.
Da dove nasce invece “Ti faccio un tutorial”?
“Dalla voglia di protestare. Già il titolo è un modo un po’ ironico per rivolgersi a una persona che non capisce/coglie qualcosa: ti faccio un tutorial? Però è anche il mio modo per provare a spiegare il mondo delle relazioni. E parlare di ghosting, ad esempio. Con i social di mezzo siamo sempre meno capaci di stringere relazioni vere. E di mantenerle vive, reali, soprattutto.
È così diffuso il ghosting (comportamento di chi interrompe bruscamente una relazione sentimentale scomparendo del tutto dalla vita del partner)?
“Credo proprio di sì. Perché credo sia molto facile, oggi, se la situazione si fa dura, bloccare una persona, escluderla. Nel mio pezzo dico che voglio di più: se non mi vuoi, basta solo che tu me lo dica, perché io cerco di più dagli altri. Cerco qualcuno che è meglio di te”.
Ritieni sia un morbo della Gen Z, il ghosting?
“Probabilmente sì. I boomer ai messaggi rispondono sempre (sorride, nda).
Torniamo al pop-punk, non proprio il linguaggio di riferimento dei tuoi coetanei.
“C’è anche altro rispetto a quello che passa in radio e su Spotify, no? Per me è molto naturale essere così. Non rifaccio i Sex Pistols, chiariamoci. Faccio una musica libera, talvolta rabbiosa, ma all’occorrenza posso anche cantare un lento se voglio. Il mio rock – il mio punk, se vogliamo – è un manifesto per farsi sentire. Liberamente”.
E perché credi che la Gen Z non aderisca, a livello mainstream, a un manifesto simile? La trap sembra l’unica risposta.
“Perché credo che conosca solo o soprattutto quello. Quando ti propongono migliaia di volte la stessa minestra, prima o poi quella minestra ti piacerà. È il potere del marketing. Oggi un quindicenne i blink magari neppure li conosce, ma conosce l’ultimo trapper uscito ieri l’altro”.
Visto ciò che stai per vivere, oggi riscriveresti “Estate di me*da”?
“Sì (ride, nda), ma non userei la pandemia come tema portante del brano.
Tra i tuoi pezzi meno recenti figura anche “Paranoia park”. Qualche relazione con “Paranoid park”, il film di Gus Van Sant del 2007?
“Sì, ma l’aggancio si limita al titolo. Dietro c’è la mia sorella più grande. Mi ricordo bene, da bambina, questi film molto allegri che lei ci faceva vedere a casa (ride, nda). In qualche modo anche loro mi hanno formato”.
E se non fosse stato Vasco per chi avresti voluto aprire la data di San Siro?
“Senza dubbio per i Green Day”.
Un paio di canzoni del Blasco che ti si sono stampate sul cuore?
“Troppe davvero. Però direi “Gli angeli”, “Asilo republic” e “Un senso”. A quest’ultimo pezzo è legato il mio primo ricordo di Vasco. Avevo solo cinque anni e lui era lì, in tv, a Sanremo, a cantare un pezzo che mi avrebbe, insieme ad altri, cambiato la vita”.