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C’è voluto il Circeo
per far capire all’Italia che
uno stupro non fosse
come pisciare per strada

  • di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

15 novembre 2023

C’è voluto il Circeo per far capire all’Italia che uno stupro non fosse come pisciare per strada
Le prime due puntate della serie Circeo, interamente disponibile su Paramount +, sono andate in onde su Rai 1 la sera di martedì 14 novembre. Dolorosa da guardare una volta tanto non per la recitazione dei protagonisti, racconta la storia del massacro focalizzandosi sugli aspetti legali della vicenda. Ferisce, in particolare, il fatto che nel 1975 (e fino a metà anni Novanta) lo stupro fosse considerato, a livello giuridico, non un reato contro la persona ma contro il buon costume. Praticamente, come fosse pisciare per strada. Ci è voluta la barbarie di Izzo e soci per inaugurare un dibattito sul tema durato 20 anni e che, infine, ha cambiato le cose almeno a livello giuridico. Così stavamo messi e così, forse, stiamo messi ancora oggi...

di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

"Perché serve un avvocato, si deve difendere?". Questa la domanda che la madre di Donatella Colasanti, vittima superstite del massacro del Circeo, pone stupita alla legale Teresa Capogrossi (personaggio fittizio interpretato da Greta Scarano) che la avvicina fin da subito, appena fuori dalla stanza d'ospedale dove è ricoverata la figlia, martoriata dalla violenza di Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido. Una scena ricostruita, ma altamente verosimile. Lo è nella fretta con cui l'avvocato si avventa sulla famiglia della vittima per poterla "difendere" al meglio prima che qualcun altro gestisca la situazione a favore dei tre "bravi ragazzi", tutti provenienti da famiglie bene della capitale, anno del Signore 1975. Lo è nella reazione della madre che, di fronte a una situazione di così grande efferatezza pubblica, si stupisce che possa nascere un dibattito processuale in merito alle responsabilità di quanto occorso. La sua Donatella era stata ritrovata, dopo giorni di torture, chiusa nel bagagliaio di una macchina, in fin di vita. E le foto della vittima in quelle condizioni stavano occupando le prime pagine dei giornali, insieme ai nomi di chi così la aveva ridotta. Cosa c'era da discutere? Tutto. La stessa legislazione italiana in materia di violenza sessuale. Al tempo, e nulla sarebbe cambiato per i successivi due decenni, lo stupro non era considerato un reato contro la persona, ma contro il buon costume. Praticamente, come pisciare per strada. Ci è voluto un massacro per portare giudici e ministri competenti, negli anni, a riflettere sull'indecenza di tale cortocircuito, sull'orrore che portava con sé. "Circeo" è una serie che fa male. E che, anche per questo, va vista. 

In un'altra scena, vediamo gli avvocati della parte lesa, ossia della diciassettenne Donatella, riuscita a sopravvivere alla barbarie fingendosi morta, quasi rallegrarsi quando l'autopsia conferma che la seconda vittima, Rosaria Lopez, fosse vergine: "Almeno a processo non potranno dire che fosse una facile", commentano. E commentano così rendendosi pienamente conto dell'atrocità appena pronunciata. Ma anche, con non poco pragmatismo, che nell'Italia del 1975 avere una vita sessuale attiva, per una donna, potesse deporre a suo sfavore in aula. Anche nel caso in cui fosse in quell'aula perché brutalizzata da tre ventenni che, per puro "divertimento" hanno fatto scempio, per giorni, del suo corpo e di quello dell'amica. "Si deve difendere?". La risposta era e purtroppo spesso è tuttora: sì. 

Le responsabilità erano chiare fin dall'inizio, ma sia la legge che la società cercavano spiragli a cui potersi aggrappare per potere sostenere, con ragionevole dubbio, che le due ragazze, dopotutto, potessero essersela andata a cercare. Avevano accettato un invito da parte di coloro che si sarebbero rivelati poi essere bestie, mefistofelici aguzzini. Ma che si presentavano sotto forma di ventenni come tanti, anzi, pure di buona famiglia. Ventenni come tanti, anzi pure di buona famiglia e quindi in grado di potersi permettere la difesa "migliore", nel peggiore dei casi. E, sempre nel peggiore dei casi, consapevoli che sarebbero stati sanzionati, sì, ma per un reato contro il buon costume. Per un reato, insomma, "minore". Che ci scappasse il morto, ovvio, non era previsto. Ma nemmeno una ragazza deceduta in conseguenza a intere giornate di torture e violenze ha fatto crollare il micragnoso riesame dell'intera vicenda, in ambito processuale. C'è stato da disaminare, da accertare le reali responsabilità. Fa incazzare ancora oggi? Sì. Tantissimo. 

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E così la serie Circeo dà modo di assistere non al massacro perpetrato da Izzo e soci, ma al secondo calvario inflitto a Donatella Colasanti: un calvario fatto di domande oltre ogni limite della decenza umana che l'hanno condotta a ripercorrere più e più volte l'orrore vissuto. Perché l'evidenza non bastava, nemmeno i referti medici, le foto sui giornali. Circeo si concentra, dunque, sugli infiniti cortocircuiti legali che hanno, pure loro, segnato questa terribile vicenda e di cui, molto spesso, possiamo risentire purtroppo ancora oggi l'eco quando si parla di violenza sessuale.

Eco che, in fin dei conti, non dovrebbe nemmeno stupire: lo stupro in Italia è "diventato", a livello legale, un reato contro la persona e non più contro il buon costume solo nel 1995. Il dibattito si è aperto proprio dopo i fatti del Circeo (e non che non si contassero vittime, prima di allora). Però non c'era stato ancora stato il massacro, la barbarie al centro della pubblica opinione, un fatto talmente atroce e mediatico da rendere impossibile l'opportuna evenienza di nasconderlo sotto al nazional tappeto. In definitiva, comunque, partendo proprio da quell'orrore, il nostro Paese ha impiegato 20 anni per capire, al di là di ogni ragionevole dubbio, che stuprare non sia come pisciare per strada. Fa incazzare ancora oggi? Sì. Tantissimo. 

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