Angelo Spagnoletti dopo aver lavorato a diversi short movies come Mio fratello (P. Strippoli), Lontana (D.Morelli), Deformazione professionale (D. Morelli), Una coppia (D. Petrosino), ha interpretato il personaggio di Daniel Mottola nella fortunata serie Netflix in collaborazione con The Jackal, Generazione 56k, con cui ha conquistato una bella fetta di notorietà e pure il premio come giovane emergente al Filming Italy Best Award durante Venezia78. Spagnoletti prima di essere un favoloso attore è un ragazzo sensibile che crede nel valore dell'empatia e spera nelle persone anche oggi che siamo intrappolati in una società in cui la situazione - come nel titolo del romanzo di Robert Shaw - è disperata ma non seria (o forse si?). Oggi c'è posto per il cinema di Elio Petri? Quanto durerà il regime dittatoriale imposto dall'algoritmo delle piattaforme che agogna contenuti specifici e mirati nei film che sovvenziona solo per accalappiarsi gli spettatori? È quello che ci siamo chiesti tutti e due durante l'intervista. Spagnoletti ci ha detto che a breve uscirà con una sua produzione cinematografica e se veramente pensa alla settima arte come ad una esperienza collettiva, fatta di individui che si riuniscono per fruire di qualcosa, non ci sono dubbi che le storie a cui ha pensato e i personaggi che ha disegnato in questo nuovo e misterioso progetto saranno intrisi della forza più potente di tutti e spesso dimenticata, quella della verità. Troppo spesso nel mondo in cui viviamo tutto viene corretto per nascondere quello che Michel Foucault definiva essere: “una verità che deve essere fatta parlare, incessantemente, in sempre nuove permutazioni del confessionale” (che poi riferirà alla sfera sessuale). Oggi essere sinceri e diretti con chi ti legge o ti guarda è quasi impossibile perché sulle nostre spalle, come ci anticipava anche George Orwell (caro a Spagnoletti) quasi un secolo fa, c'è la mano armata della censura. L'attore campano e girovago per i mille set che lo desiderano in tutta Italia (e non solo), ci ha detto la sua sulle condizioni in cui il cinema si trova a vivere nel Belpaese e sulle sue innumerevoli possibilità, perché gli piace tanto Gian Maria Volonté, e riguardo uno dei sui ultimi ruoli, quello del fotografo del Circeo (la serie già su Paramount Plus che arrivererà su Rai1 il 14 novembre)...
Angelo Spagnoletti le tue radici sono in un paese vicino Benevento. Ti porti addosso ancora oggi la dinamica di provincia?
Totalmente. In un modo o nell’altro è quello che sei. Cito sempre Émile Zola: “Se vuoi parlare di qualcosa di veramente rivoluzionario parla del tuo villaggio”. Anche un paesino come quello da cui provengo io, secondo me ha dentro di sé tutto quello che serve. Tuttora, quando devo interpretare determinati personaggi, mi ispiro a delle persone che vivono lì. A Roma hai certamente più situazioni. Quando abitavo nella Capitale vivevo a Ponte Lungo e lavoravo come cameriere in un ristorante. Le dinamiche di quel quartiere in fondo erano le stesse del mio paese, era soltanto “tutto più grande”.
Un nome di un attore o di un'attrice a cui ti ispiri e cosa vorresti prendere da lui o da lei.
Gian Maria Volonté. Vorrei rivivere i suoi anni. Attorialmente credo che portasse sottobraccio la verità assoluta, riusciva ad essere sincero anche nei ruoli e nelle situazioni più lontane da lui. Vorrei prendere da questo grande interprete anche il suo tempo, la società in cui è vissuto perché in quegli anni era possibile fare un cinema più politico e più impegnato, più schierato. Oggi è diverso. Prima un regista come Elio Petri ad esempio era prodotto da case di produzioni indipendenti, parlava di classe operaia, oggi con il caro vita aumentato ci sarebbero tante cose da dire...Io spero che gli autori di oggi mantengano vive quelle idee perché abbiamo ancora bisogno di queste storie, la mia non è tanto una critica sociale ma un dato di fatto. Il meccanismo del cinema è cambiato e per l'idea di mercato e intrattenimento che c'è è necessario dover stare all’algoritmo. Se vuoi parlare di cose più di nicchia, semplicemente non ti producono. Se non a determinate condizioni.
Hai mai pensato di proporti come autore o produttore di un film?
È una delle prime volte che ne parlo. Ho fatto un film con un gruppo di amici diretto da Gian Vincenzo Pugliese che nasce proprio da questa voglia, da una idea un po’ fuori dagli schemi. Stare nella produzione è tosta, abbiamo fatto un lavoro enorme, da 100 persone, quando eravamo soltanto in 15, però hai una libertà che non ha prezzo. Un film si può scrivere in maniera tale che costi poco, ma sulla distribuzione non ci puoi fare niente. Quello che dico sempre è che un film può essere bello quanto ti pare, ma se lo vedi solo te non ha senso. La sfida è arrivare, diventare fruibili in qualche modo.
La prima volta che ti hanno fermato per strada?
È stato strano, gratificante. Mi sono emozionato, non per essere stato riconosciuto ma perché l’ho vista come un ricompensa a tutti i sacrifici fatti per arrivare fino a quel punto. Non tanto per dire che “ce l’ho fatta” ma che sono sulla buona strada. Del resto, dal punto di vista mediatico, se non ti riconoscono in qualche modo vuol dire che non hai quel valore sociale che in realtà l’attore dovrebbe avere. Ti senti di far parte di qualcosa che è l’esperienza collettiva che poi è alla base del nostro lavoro.
Nel 2022 lavori alla miniserie Circeo che sarà in onda su Rai 1 dal 14 novembre nel ruolo del fotografo Saverio Vitale. Cosa ci puoi raccontare di questo personaggio?
Di Circeo sono veramente contento perché va proprio in linea con quel contenuto sociale mai scontato e difficile da portare avanti. Per me è stata una fortuna. La storia di cronaca nera che ha sconvolto l'Italia al fotografo Saverio Vitale pesa un pochino meno, la vive meglio rispetto a chi ovviamente l’ha vissuta in prima persona. È il personaggio più vicino al pubblico di quegli anni. È spettatore come tutti ma è parte in causa del fatto perché ha scattato “quella foto” che poi ha dato il la al caso mediatico (e non solo). Ti posso anticipare che ci sarà una scena in cui Vitale dovrà far fronte ad un conflitto interno tra la sua parte umana e quella più schietta. La mia preferita in assoluto.
Se potessi definire questo personaggio con degli aggettivi?
Io lavoro sempre per parole chiave. In questo caso direi: solitario, coraggioso e determinato. Perché Saverio Vitale è un uomo che sa stare al mondo, ha una sua sensibilità ma ad un certo punto riscopre l’importanza della scelta, di prendere posizione. C’è una scena a cui io sono molto legato che poi è una sorta di archetipo del potere in cui gli avvocati difendono gli indifendibili e i giornalisti non osano intervenire. Vitale con un impeto che non aveva mai provato (non gli spetta di parlare in tribunale, del resto è un fotografo) sarà lui che metterà in difficoltà gli avvocati. C’è un bel cambio del personaggio. È sempre così, quando realizzi che c'è un conflitto, allora lì trovi il personaggio. Se nella vita ci metti sessant'anni, in un film è questione di poche ore.
Con i The Jackal hai lavorato al grande successo, Generazione 56K ma anche Pesci Piccoli, com’è stato lavorare nel loro team? Sei riuscito a trattenere le risate?
Allora lavorare con loro è difficilissimo. Io ricordo che durante i primi giorni durante le cene, i pranzi, io stavo male con gli addominali per quanto i The Jackal mi facessero ridere nel privato. Per Generazione 56k ho fatto un provino tramite l’agenzia ed è stato il ruolo pù grande che avessi mai interpretato. Sulla piattaforma mi sono ascoltato tradotto in tutte le lingue e quella più inverosimile è il tedesco...