La cosa interessante è interagire con un profilo modesto, non è vero, un profilo basso, non è vero. Un profilo artatamente sottodimensionato, della serie: sono come voi. Non è vero. Una influencer che preferisce farsi chiamare: content creator. Oh. Cioè una che produce contenuti. Un po’ come dire: niente. Contenuti. Anche un video con le faccine lo può diventare, quei giochini che a noi infami signorine Rottermeier sembrano piuttosto idiozie da ruttatori seriali. E invece diventano contenuti. Quindi il nuovo trend sarebbe vergognarsi della definizione, influencer, ma fa un po’ tristezza. Perché? Buongiorno, mi presento, sono una produttrice di contenuti. In effetti funziona meglio che affermare: hello, stay tuned! Sono un’influencer! Qui farei partire una macarena. Ecco, carissima Camihawke, ti sia tutto perdonato. Lady Hawke, dici, ti ha ispirato, la misteriosa musa di un una raccolta poetica di Michele Mari. Camihawke produce contenuti.
L’edificazione di un neonato genere antropomorfico. La nobilitazione dell’incommensurabile sciocchezza. Betise allarmate per le sorti del mondo, esecutrici zelanti indecise tra stare qui o lì, nella bolla esistenzialista o nello store di Humana vintage. Producono contenuti. Ehi tranquilli, sono come voi. Profilo basso, che diventa altissimo. Per una legge veramente curiosa, speriamo nata sua sponte. Sono insicura, mi fanno male i capelli, ho avuto un sacco di problemi da ragazzina. Lo dice Camihawke. Ti fa sentire la cosa estremamente vicina. Dite? Vi credo. Empaticamente ci sta. Non viene da una periferia. No. Alta borghesia. Brianzola. Si è laureata in giurisprudenza, tuttavia era molto complicato vivere. Non è semplice vivere. Ha sofferto. Ci credo. Tutti soffriamo. Con un bel faccino o meno. Oh, non stiamo lì a discutere se soffri in un barrio di Librino o dello Zen di Palermo. Oppure soffri in un ampio esavani nella paciosa satolla Brianza, vista colli. Andiamo avanti. Camiwke diventa una influencer. Altrimenti detta: content creator. Come inizia? Con i video. Non chiedetemi altro, per favore. Sto ragionando nella dimensione de nun se sa che. Scrive un romanzo. L’urlo in copertina, o in quarta: a metà tra Jane Austen e Sally Rooney. Ok.
Andiamo avanti. Pare - mi piace usare la discrezione e la morigeratezza, nda - dicevo, pare che in un mese abbia venduto: 55 mila copie. Titolo: “Per tutto il resto dei miei sbagli”. Pare - bello esser previdenti, nda – che abbia chiesto al suo agente: entreremo mai nelle graduatorie delle categorie settoriale? Eh? Cosa? Categorie settoriali? Voleva dire forse: nelle classifiche? Capisco. Immagino uno dei miei amici scrittori domandarsi la stessa cosa, con identico linguaggio (impiegatizio, burocratico formale, da codice civile con una qualche verve dal sen sfuggita): entrerò mai nelle categorie settoriali? Un Céline de noantri: maledette categorie settoriali! Non so come sia andata a finire, chiedo anche io al suo agente: poi è entrata nelle categorie settoriali? E lo chiedi pure! Miserabile scribacchina scrivente amenità perverse da quattromila copie a esser buoni. Profilo basso, medio basso, sono insicura sono come voi. Sì certo. Diventa altissimo. Il solito detrattore aggiunge: profilo paracul*. Io chioserei con un punto interrogativo. Che ne dite? Il discorso è uno: in linea generale, sii davvero quel che meriti di essere. Se invece lo scegli: scegli per davvero. Non cambia nulla. Metti, incontri un idiota, ad esempio, augura a quell’idiota di esserlo per davvero. Io non saprei pronunciarmi tra un influencer e un content creator. Lascerei alla definizione “epigrafica bruttezza” ogni responsabilità. Bye bye.