Poliedrico, dinamico, liquido. Sono le parole che utilizza di più per definirsi. Carlo Pastore è un creativo che racconta e si lascia raccontare dalla musica. L’11 aprile andrà in scena l’evento realizzato da lui e dai ragazzi del MI AMI Festival, “un’opera live” - come la definiscono loro - alla Triennale di Milano. Un concerto in diretta che va oltre il concetto di streaming, ma sarà qualcosa di più. Anche perché “lo streaming è un mostro” che deve essere sconfitto, permettendo al pubblico di tornare agli eventi. “Non capisco perché in chiesa le persone ci possono andare e agli eventi all’aperto no. Non siamo discotecari come Briatore. Noi siamo responsabili”. E sul confronto Sanremo-MI AMI Festival: “La nostra non è una kermesse, non è una gara, non è in tivù. Il MI AMI ha bisogno della condivisione della gente nello stesso posto e crea un immaginario e una magia che è irripetibile altrove”.
Chi è Carlo Pastore?
Cazzo, partiamo forte. È una domanda molto difficile. Sicuramente un essere umano, niente di più e niente di meno, ma visto che ci si identifica con il lavoro che uno fa, sono uno dei due direttori del MI AMI Festival. Conduco programmi sia in radio sia in tivù. Mi piace costruire progetti culturali, musicali e artistici. Questo è quello che faccio. La musica è sempre stata il mio radar ma ho sempre cercato di raccontarla altrove e la musica mi ha portato dove non avrei pensato, facendomi fare altre cose.
Se dovessi scegliere per te un solo job title?
È impossibile definirmi in un solo job title. Io sono come la musica che ascolto, non codificabile. Non c’è un codice esatto per definire quello che faccio. Chi lavora nella musica è abituato ad avere più mansioni nello stesso tempo. Come chi lavora nel mondo dell’intrattenimento. Spesso creo dei progetti da zero e li seguo fino alla loro effettiva produzione. Per me è una cosa assolutamente normale. Non sei solo una cosa, sei più cose contemporaneamente. Secondo me per lavorare oggi bisogna sapere fare più cose, non esiste la specializzazione, soprattutto in questo settore. Nel mio caso mi occupo di festival, editoria, comunicazione, quindi sono cose che si intersecano in maniera molto più fluida di quanto qualsiasi definizione potrebbe fare separandole.
Ho visto che hai iniziato a usare Twitch. Cosa ne pensi?
È una piattaforma molto potente. Anche perché è una piattaforma di proprietà dell’uomo più ricco del pianeta (Jeff Bezos, presidente di Amazon, ndr) e questo non è un fattore trascurabile. È un asset importante in ogni strategia di comunicazione. Molte aziende si stanno avvicinando a questa piattaforma che ingaggia il pubblico in maniera molto diretta. Il pubblico è molto attivo, è protagonista. Non so se Twitch sarà il futuro dell’intrattenimento. Credo che il futuro dell’intrattenimento sarà multipiattaforma. Vedo un futuro con tanti canali, sicuramente Twitch sarà tra questi. Ha già un presente molto forte, soprattutto per i gamer, ma lo sta diventando anche nell’offerta con canali generalisti importanti. Io tendenzialmente non lavoro con le piattaforme, ma con i brand che coinvolgo su una precisa piattaforma.
Dalle dirette video ai podcast. È arrivata la terza stagione de Il Trequartista con Giorgio Terruzzi.
Sì, è iniziata con Fernando Alonso. Ci sarà una puntata al mese. È un progetto molto bello che è ovviamente legato alla penna di Giorgio Terruzzi perché lui è uno dei migliori storyteller di sport che ci sono e ha una personalità palpabile ed è una qualità incredibile. Secondo me è interessante il connubio tra la sua professionalità sullo sport e il mio essere outsider di questo mondo. Credo che questa scommessa sia stata vincente. Il motivo per cui funziona, secondo me, è proprio per quello che rappresenta. Il trequartista sta in mezzo alle linee, non ha un ruolo predefinito, statico, ma anzi è liquido, un po’ come la società moderna. Ed è anche il mio approccio alle cose, dinamico, fluido, ci muoviamo attraverso i compartimenti stagni con velocità. È quello che ci viene richiesto dalla contemporaneità. Anche perché credo che ci sia bisogno di raccontare gli sportivi, ma in generale i personaggi, in maniera tridimensionale. Sono sempre più mediati da uffici stampa, manager, dalla narrazione che fanno loro stessi e i media tradizionali.
Passiamo al mondo degli eventi: che effetto ti ha fatto Sanremo senza pubblico?
Ogni anno marca il cambiamento di una stagione musicale. A volte lo fa in maniera positiva, altre volte no. Negli ultimi anni è riuscito ad allinearsi al mondo della musica contemporanea che una volta gli era completamente avulsa. È il motivo per cui in molti lo hanno paragonato al MI AMI. Molti degli artisti di questa edizione sono passati da noi. Non per questo sembra il MI AMI. Sanremo rimane Sanremo. Dal punto di vista musicale penso che molte canzoni siano molte interessanti.
Dimmene una brutta?
Ma no, dai. Non ci sono canzoni brutte tout court. Storicamente Sanremo presenta canzoni trascurabili per la maggior parte e due o tre pezzi che rimangono. Quest’anno secondo me siamo sopra la media: c’è Madame, La Rappresentante di Lista, Dimartino e Colapesce. Ce ne sono.
Secondo te perché?
Perché quest’anno Sanremo è stato l’unico evento per i musicisti, per gli artisti. E quindi tutti, ma proprio tutti, hanno provato ad andare a Sanremo. Quest’anno Sanremo era l’avamposto della speranza per la musica italiana. La pandemia ha messo un grosso punto di domanda sulla carriera di molti artisti. Non si suona, i dischi escono, ma non puoi promuoverli, non puoi fare gli in-store e Sanremo è stata un’ancora di salvataggio per molte carriere. Non a caso tanti degli artisti passati da lì sono tutt’ora passati dalle radio, molto più adesso che in passato. Sanremo continua a essere un grande macinatore di attenzioni. È un grande spettacolo nazional popolare e deve continuare ad esserlo.
Il paragone tra MI AMI e Sanremo ti inorgoglisce o ti infastidisce?
Ma da un certo punto di vista se molti degli artisti che per anni sono venuti al MI AMI quest’anno sono stati lì, significa che abbiamo saputo interpretare e spingere i gusti della musica italiana. Il nostro obiettivo è quello di aiutare la musica. Noi dipendiamo dai musicisti, dai dischi che escono. Gli artisti hanno in mano la palla. Noi siamo la festa intorno al palco, ma poi sul palco ci vanno loro.
Siete stati l’Academy di Sanremo?
Se pensi che tra i quattro finalisti di Sanremo Giovani ci sono due cantanti che si sono esibiti decine di volte al MI AMI come Wrongonyou e Davide Shorty, potresti pensarlo. Ma non credo sia proprio così. A me non dispiace che gli artisti che passano da noi vogliano andare a Sanremo. Se vogliono andare, liberi di farlo. Noi però ci siamo e continuiamo a fare il nostro Festival che però è molto diverso da Sanremo. Non è una kermesse, non è una gara e non è in tivù. Il MI AMI ha bisogno della condivisione della gente nello stesso posto e crea un immaginario e una magia che è irripetibile altrove.
Cosa ne pensi di un futuro degli eventi in streaming? Anche se magari grazie alla vaccinazione si torna prima del previsto in presenza.
Ci credo veramente poco all’organizzazione sulla vaccinazione. Purtroppo, dovremo ancora combattere contro la sostanziale impossibilità di fare quello che abbiamo sempre fatto ossia gli eventi con il pubblico. Spero che quest’estate, come lo scorso anno, si possa fare qualcosa. Chi fa eventi come il nostro si prende una responsabilità. Vera, però, non come i discotecari alla Briatore che hanno rovinato una percezione del pubblico solo per grattare più soldi. Sarebbe disgustoso quest’estate all’aperto che non fosse possibile fare gli eventi con il pubblico seduto. Ogni giorno in chiesa ci sono le messe coi fedeli al chiuso e non capisco perché noi non potremmo fare concerti con gli ospiti seduti e distanziati all’aperto. Per chi fa eventi dal vivo lo streaming è un mostro.
Come lo combattete questo mostro?
Abbiamo deciso di combattere questo nemico con un sogno. Abbiamo realizzato un prodotto che non è un semplice concerto si chiama “Il film del concerto” di Andrea Laszlo De Simone che è un artista amato anche fuori dall’Italia. In Francia lo hanno definito il nuovo prodigio della musica. E infatti abbiamo avuto tanti biglietti acquistati in Svizzera, Belgio, Olanda. Ecco, questo è il bello dello streaming.
Dove si svolgerà l’evento?
Abbiamo puntata su una location bellissima come la Triennale in un momento in cui non ci sono mostre, spettacoli o concerti e l’obiettivo è quello di ridarle vita dopo un lungo sonno. E Andrea Laszlo racconta in maniera onirica l’esperienza del concerto restituendone la bellezza intatta e pura al netto della presenza del pubblico, fondamentale per gli eventi dal vivo. Questo è un po’ il senso del film del concerto.
Dove si può vedere?
Allora, la prima sarà alle 21 di domenica 11 aprile su DiceTV. Basta andare sul sito della biglietteria e acquistare il biglietto. Dal biglietto viene generato un codice che ti viene inviato pochi minuti prima della diretta e quel codice ti permette di accedere allo spettacolo. I prezzi partono dai 12 euro più i diritti prevendita per il biglietto. Poi è possibile acquistare la locandina e la t-shirt dell’evento. Volevamo fornire anche qualcosa di fisico, di concreto.
Quanti spettatori vi aspettate per essere felici?
Non abbiamo aspettative. Nei locali c’è la capienza, nello streaming no. Sicuramente non ci aspettiamo di fare i numeri di DuaLipa. Anche perché è una nostra produzione al 100%. Camminiamo con le nostre gambe, cercando di fare qualcosa di unico e irripetibile con un artista che sta crescendo molto e sta iniziando a lasciare il segno.