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Caro Aboubakar Sumahoro,
rappresentare una minoranza non
ti fa essere per forza intelligente (e onesto)

  • di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

22 novembre 2022

Caro Aboubakar Sumahoro, rappresentare una minoranza non ti fa essere per forza intelligente (e onesto)
Stipendi non pagati, maltrattamenti, lavoro nero e fatture false, queste le accuse sulle quali la Procura di Latina ha aperto una inchiesta. E persino chi lo ha candidato, come Agelo Bonelli dei Verdi di sinistra, la considera ora “una leggerezza”. Parliamo del caso esploso intorno ad Aboubakar Sumahoro, in particolare alle cooperative che avrebbero gestito la moglie e la suocera e che sarebbero responsabili di aver sfruttato i dipendenti, quindi con un modus operandi ben lontano dai valori espressi dal neo parlamentare. Lui si dispera e piange in video: “Mi volete morto”. Ma caro Sumahoro, non basta sembrare intelligenti e onesti per esserlo davvero (al di là del colore della pelle)

di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

Facciamo un po’ di sano razzismo culturale (da siciliano posso e devo permettermelo): Aboubakar Sumahoro sembra uno di quei rivoluzionari africani che non fai in tempo a voltarti che diventano dittatori. Ho detto “sembra” e io sto esprimendo soltanto mie impressioni, non conosco le carte dell’indagine al di là da quanto apprendo dai giornali e non sono un organo inquirente, ma mi “sembra” che anche l’agire di Aboubakar (e moglie) sia molto incentrato sul “sembra”, dagli stivali di gomma in Parlamento (con il pugno alzato) al famoso video con bimbo piangente sullo sfondo dell’audio. E mi sembra che Aboubakar non si sia reso conto che, noi italiani, il “sembra” ce lo palleggiamo, nonostante la schiera di influencer (veri o wannabe) e di gruppi rock in reggicalze: noi, quando uno piange, vogliamo vedere le lacrime!

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Aboubakar Sumahoro entra in parlamento con gli stivali in segno dei braccianti sfruttati che vorrebbe rappresentare

Per una serie di motivi storici e culturali, noi perculiamo. Quelli come Aboubakar, in Sicilia, li chiamiamo “tragediatori” e abbiamo anche una lunga tradizione di “prefiche” (che non sono le fiche di prima) pagate per piangere e disperarsi. Poi, che Aboubakar dica, senza ironia o autoironia “potrete seppellire me, ma non le mie idee” ci pone dritti dritti nell’ambito nella farsa, o nel delirio di certa società civile (non solo volete la società, per di più la volete civile) che manifesta, proclama, si indigna, poi magari non fa nulla di concreto, ma si sente portatrice di idee, scrive su se stessa una cristologia masturbatoria (e non sei il primo Aboubakar, uh se non sei il primo!). La retorica del “non si sfruttano le persone” ne ha fatto arricchire tanti, dai sindacalisti agli imprenditori illuminati, non è che arrivi tu, Aboubakar, dici quattro parole in croce già sentite, già triturate, già sputtanate, e pensi non solo di avere idee, ma idee non seppellibili.

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Aboubakar Soumahoro e la moglie Liliane Murekatete

Anzi, diciamo che la retorica del “in nome del popolo (sovrano)” è stata ampiamente abusata, in Europa, ma anche in Africa. Credo non serva annoiare il lettore con l’elenco dei dittatori africani (dai quali mi “sembra” Aboubakar abbia mutuato retorica e movenze – la moglie invece mi ricorda Imelda Marcos, vedova di Ferdinand Marcos, a capo di un regime poco democratico nelle Filippine, sarà la pettinatura o i foulard, vai a sapere) che sono saliti al potere per il popolo, grazie al popolo, sul sangue del popolo, e poi si sono dimostrati peggiori dei regimi che hanno rovesciato.
In buona sostanza: spero che Aboubakar e la moglie, ma anche la suocera e il cane e il gatto, si dimostrino innocenti, quello che voglio dire, e non sto parlando nella fattispecie di Aboubakar, è: non che se uno è di colore dobbiamo per forza dirgli che è intelligente (e onesto).

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