Non credo sia tanto una questione di pregiudizi. Né una questione di presunta antipatia. Men che meno una faccenda di razzismo, figuriamoci, oggi semmai potrebbe valere il contrario, tutti guardano lì con quella brama che a tratti rasenta anche l’irrazionale. No, credo che il motivo per cui ancora oggi nessuno ha ufficializzato il dato oggettivo che vuole Gigi D’Alessio come il vero genio (incompreso) della musica leggera italiana è più una questione di pigrizia. Perché viviamo tempi iperveloci, iperconnessi, dove tenere il passo con tutto è praticamente impossibile, non fai in tempo a appassionarti di qualcosa che già è passato di moda e ne è arrivata un’altra, di cosa, che l’ha sostituita nel cuore della gente, e quindi nel mirino dei media, non riesci a trovare la frase a effetto per commentare sui social il “caso del giorno” che già di “caso del giorno” ne è arrivato un altro, il precedente dimenticato, come mai esistito, quasi una gara agonistica di quelle per gente che pratica il digiuno intermittente e passa il tempo a allenarsi, almeno da qualche parte abbiamo bisogno di andare con calma, volendo stare anche fermi. E il luogo in cui pratichiamo l’immobilismo, spesso, è quello dove si generano certi giudizi radicali, ferrei, destinati a non cambiare nel tempo, perché va bene basculare su tutto ma almeno dei punti fermi ci servono. Ecco, parliamo di musica. Gigi D’Alessio è un genio. Parto da qui. Uno che ha una conoscenza della materia che al Conservatorio si trova alla voce “Composizione” di stampo classico, sa quindi come costruire la giusta armonia per dar vita alle giuste melodie, che conosce i trucchi, perché trucchi sono, sì, ma da mago, per praticare la dinamica, quei crescendo e calando che rendono le canzoni “mosse” al nostro ascolto, capaci cioè di provocarci quei subbugli emotivi in grado di commuoverci, uno che ha una voce educata, nel senso che è in grado di cantare con la sola voce, senza trucchi, lì, non da mago ma da imbonitore, penso a chi usa l’autotune non per ragioni di stile, ma per ragioni di incapacità al canto, uno, soprattutto, capace di scrivere sia hit buone per il grande pubblico, il grandissimo pubblico, la massa, sia canzoni colte, dove il bel canto si sposa con la ricerca etnica, sì, leggete bene, roba che in genere non viene associata al suo nome appunto per pigrizia, mica altro.
Perché per i più, parlo dei più non che lo seguono, ascoltano le sue canzoni, vanno ai suoi concerti, lo amano, ma i più che lo guardano pigramente pensando già di conoscerlo, Gigi D’Alessio è quello di Mon Amour o di una di quelle hit che ovviamente sono state scritte esattamente con lo scopo di diventare una hit, e fosse così facile scriverle le avremmo scritte tutti, e ora staremmo ai Caraibi a lanciare ghiaccioli ai delfini, complici i diritti d’autore, senza però sapere che Gigi D’Alessio è molto, ma molto di più, quando sarà diventato da pochi minuti venerdì sulle piattaforme di streaming sarà possibile ascoltare il nuovo singolo Nu Dispietto, e la cosa dovrebbe risultare più che chiara anche a chi già pensa di sapere tutto. Gigi D’Alessio è un grande compositore, un ottimo interprete, un cantautore che a lungo è stato oggetto di un pregiudizio, certo, e anche di un certo razzismo d’antan, Napoli non è sempre stata la Napoli di oggi, quella di Geolier, che non ha caso lo ha voluto al suo fianco a intonare Nun chiagne, andando a vincere la serata dei duetti, e di Mare Fuori, e volendo anche di certe antipatie, per quel suo non nascondere un’amicizia con Berlusconi, che non a caso lo volle al suo matrimonio/non matrimonio con la Fascina, ma è soprattutto un genio della musica, uno che può giocare con l’alto come col basso, e pensateci, non è faccenda poi così semplice come a raccontarla. Riusciva a pochi, in passato, questo miracolo, penso a Lucio Dalla o a Pino Daniele, non a caso entrambi suoi amici, come è suo amico, oggi, Enzo Avitabile, che invece da quei pregiudizi non è mai toccato, pigramente relegato al ruolo di artista alto, lui che da sempre gioca con la musica popolare e le tradizioni. Nu Dispietto è una canzone che, ascoltandola, ho avuto la fortuna di poterlo fare in anteprima, perché sì, io e Gigi D’Alessio siamo buoni amici, fraterni aggiungerei, amicizia nata dal reciproco amore per la musica, sia chiaro, non siamo cresciuti insieme, non abbiamo fatto la scuola o il militare insieme, ci siamo conosciuti da adulti parlando appunto di canzoni, Nu Dispietto, dicevo, è una canzone che, ascoltandola, evoca tutto un mondo di sentimenti, la malinconia dolente tipica delle canzoni napoletane, di suoni che profumano di Mediterraneo, siamo perfettamente nel campo della world music, finché almeno lo spauracchio dell’appropriazione culturale che ha spinto il Teatro Metropolitan di New York a avvisare i propri spettatori che la Turandot di Puccini è un’opera che svilisce la cultura cinese non arriverà a vivisezionare la musica napoletana, figlia delle commistioni di così tante culture, quella araba, quella spagnola, quella mediterranea tutta, appunto, vera origine della canzone italiana, sia messo agli atti senza se e senza ma, e figuriamoci che c’era qualche coglione che lamentava che a Sanremo Geolier potesse cantare non in italiano, Madonna mia. Ascoltandola, sulle prime, vivo anche io in questi tempi pigri e iperveloci, mi sono chiesto a che grande artista avrei dovuto paragonare il Gigi D’Alessio di Nu Dispietto per fare colpo sul lettore, non perché azzardare paragoni fosse sbagliati, è una canzone di una bellezza lancinante, ascoltatela, quanto piuttosto perché se accosti nomi che, pigramente, teniamo fermi su posizioni distanti nella tavola di Mendeleev della musica pop odierna si tende poi a generare polemiche, spesso inutili. Ho ovviamente pensato a Pino Daniele, perché è stato Pino Daniele, per primo, credo, a portare la canzone napoletana a spasso per gli altri continenti, facendola accoppiare di volta in volta col blues, con jazz, col funky, certo in ottima compagnia di un manipolo di enormi musicisti, dallo stesso Enzo Avitabile a James Senese, per fare un paio di nomi, ma citare Pino Daniele parlando di Napoli sarebbe stato forse davvero troppo scontato, pigro, e nonostante una iniziale rivalità tra i due, dovuta più a quel che si diceva intorno, è noto che poi sia nata un’amicizia sincera, quindi no, Pino Daniele non andava bene. Così ho pensato a altro, a quella commistioni di suoni mediterranei, appunto, il maestro Adriano Pennino ha curato gli arrangiamenti, ma la canzone è indubbiamente sua. Ho pensato quindi a evocare il Peter Gabriel che in passato ha impiegato le sue energie a cercare per il mondo suoni che provenissero dalle radici, per presentarle al mondo occidentali, la sua Real World, insieme alla Luaka Pop di David Byrne capaci di imporre nell’immaginario collettivo una musica popolare che non suonasse più come qualcosa di basso, appunto, ma di colto, intrinsecamente colto. Quindi era il nome di Peter Gabriel che ho pensato di fare, seppur musicalmente, a parte il fatto che Gigi D’Alessio, perfezionista, è ricorso nel tempo a suoi collaboratori storici, penso al bassista Tony Levin, in forze anche ai King Crimson di Robert Fripp, seppur il suo bassista di fiducia è quel genio tutto italiano di Pino Palladino, uno dei migliori al mondo, era il nome di Peter Gabriel che ho pensato di fare, seppur musicalmente i due mi sembrassero poco vicini, come resa, e avrei rischiato di fare più un dispetto che un omaggio. Ma poi mi sono detto: ma perché mai devo fare paragoni? Nel senso, indicare la luna non significa certo dover dire che anche Giove ha dei satelliti, per specificare di cosa stiamo parlando, no?
Quindi, mi sono detto, ascoltando ancora Nu Dispietto, che vede Gigi duettare con una voce femminile che di quella malinconia partenopea è chiara incarnazione, ma il cui il nome è ancora celato dal mistero, lo scopriremo più avanti di chi si tratta, quello che andava fatto era specificare una volta per tutte che Gigi D’Alessio è un genio. Un raro esempio di chi sa davvero tenere insieme l’alto e il basso, come il Baglioni di Oltre, quello che, mica è un caso, ricorreva proprio ai musicisti di Peter Gabriel, e che a suo tempo ha subito lo stesso tipo di lettura pigra. Pensate a quello che succede a Morgan, per dire, un artista cui viene riconosciuto un genio musicale, reale, che però spesso è più in potenza che in atto, almeno pubblicamente, relegato nelle parole dette invece che in quelle cantate, più i dischi incisi e mai pubblicati di quelli messi sul mercato, genio cui viene sempre accostata la parola sregolatezza, per certe sue vicende personali, le cacciate dai programmi, un suo passato anche burrascoso. Morgan è un genio, ma il tutto rientra in quella lettura pigra di cui sopra, scontata, dove l’essere un genio è poco più di una didascalia che poi non sortisce quasi mai effetti reali. Gigi non viene riconosciuto per il genio che è, alla stessa maniera. Ma è parimenti un genio, apprezzato da un pubblico trasversale, riconosciuto dai colleghi, uno che ha dominato di volta in volta le classifiche, le cui canzoni sono cantate in coro ai concerti, ma che difficilmente approderà mai al Club Tenco, ritenuto troppo pop per meritarsi un posto in quel contesto. Ecco, sarebbe il caso di togliere certe fette di salame dagli occhi, anzi, dagli orecchi, perché Nu Dispietto, canzone che ha anche grandi potenzialità commerciali, specie oggi che Napoli è Napoli come non mai, affonda le radici nella tradizione canora napoletana, sentire l’armonia su cui è costruita, tira in ballo suoni che spaziano di qua e di là del Mediterraneo, intreccia due voci importanti, su un tema universale come l’amore finalmente incontrato, e lo fa in una maniera che, lo avesse fatto un Enzo Gragnaniello in passato con Mia Martini, citazione non fatta a caso, avrebbe fatto il giro dei salotti buoni, signora mia. Mi picco di essere stato il primo a aver premiato Gigi, era il 2019 al Premio Lunezia, che mi aveva chiesto di indicare chi ritenevo meritasse quell’onorificenza, e quella volta a farmi lasciare a bocca aperta era stata Mentre a vita se ne va e L’ammore, quest’ultima che aveva fatto scansare la pigrizia a Fiorella Mannoia, fino a quel momento nella pigrizia nei confronti di Gigi impigliata. E mi picco, ora, di essere il primo, spero e credo non il solo, a riconoscergli quel ruolo di genio della musica che in genere viene speso su altri nomi, a riprova che anche chi decide di giocare nel campionato del pop deve saperlo fare con competenza e talento, specie se ambisce a che la propria musica resti nel tempo e diventi patrimonio di molti, se non di tutti. Nu Dispietto, ora la curiosità di sapere chi duetta con lui è tanta, è un brano che farà battere molti cuori, e solo chi è in grado di suonare le corde dell’anima è in grado di farlo, fossimo indietro nel tempo ci sarebbe forse un Marco Giusti a forzare la mano a quei salottini, come ai tempi fece con Nino D’Angelo, che poi approdò a Tano da morire di Roberta Torre come alla splendida Senza giacca e cravatta, la voce di Brunella Selo, anche in quel caso, complice fondamentale. Stavolta a fare Marco Giusti sono io, che a quei salotti non ho accesso, temo e al tempo stesso spero, ma ci metto la faccia e lo attesto radicalmente: è Gigi D’Alessio il genio del pop, ascoltate Nu Dispietto per credere.