Il pentimento di Francesco Schiavone, storico boss dei Casalesi detenuto al 41 bis da 26 anni (attualmente a L’Aquila) è la notizia più importante da tempo in tema di lotta alle mafie, ed è anche una consacrazione per Nicola Gratteri, che da qualche mese è a capo della Procura napoletana, e che in questi giorni aveva polemizzato col ministro della Giustizia Carlo Nordio sull’introduzione del test psico-attitudinale ai magistrati: aveva proposto test alcol e droga per i parlamentari, suscitando reazioni a mezza bocca, ma nient’affatto tranquille. Schiavone anche in prigione è uno stakeholder della camorra. I suoi due figli, Nicola e Walter anche loro in carcere si sono già pentiti nel 2018 e nel 2021, ma lui aveva sempre smentito i pur ventilati segni di cedimento allo Stato. Ora è trapelata la notizia. Schiavone ha accettato il programma di protezione per sé e per la sua famiglia. Francesco Schiavone, detto "Sandokan" per una vaga somiglianza con Kabir Bedi, 70 anni compiuti il 3 marzo 2024, negli anni ’80 è stato l’uomo chiave, dopo Antonio Bardellino e Mario Iovine, della Nuova Famiglia, in guerra con la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Il suo nome si lega a una scia di sangue di delitti e regolamenti di conti, ed è stato l’uomo che ha contribuito a istituzionalizzare “o’ sistema”, l’establishment camorrista che ancora oggi vige in Campania, un para-stato con un’organizzazione capillare nella quale delinquenza vera e propria e “zona grigia” sono indistinguibili. Il giorno del suo arresto, l’11 luglio 1998 a Casal di Principe, nel suo bunker, "Sandokan" spuntò fuori con in braccio una delle figlie. Oltre alle armi furono ritrovati una Bibbia, e libri su Napoleone Bonaparte e su Mussolini.
La notizia del pentimento di "Sandokan" rischia di essere più grossa del pentimento di Tommaso Buscetta. Il boss dei due mondi ha spiegato a Giovanni Falcone come funzionava Cosa Nostra: gradi, “mandamenti”, attività, nomi. Quella che sembrava un’entità astratta e per molti non esisteva ha avuto una fisionomia. Chi negava la mafia è stato smentito, e lo Stato ha avuto finalmente di fronte un nemico decifrabile. Ma Buscetta al momento in cui decise di diventare un collaboratore di giustizie era ormai diventato una figura disorganica al sistema mafioso. Invece nel caso di Schiavone siamo di fronte a un insider. Un simbolo criminale, ancora temuto e rispettato. Fino a oggi. È importante, anche, che Schiavone si sia pentito con Nicola Gratteri. Il magistrato di Gerace, dopo gli anni a Catanzaro segnati da inchieste storiche contro la ‘ndrangheta, da settembre 2023 è procuratore a Napoli. Una posizione ancora più difficile di quella che aveva ricoperto in precedenza. Se a Catanzaro si trattava di combattere con una mafia spietata, potentissima e ricchissima, ma ancora non del tutto calata nelle istituzioni e a suo modo “rozza”, la situazione a Napoli a parità di minaccia criminale è ancora più sfumata, complicata, difficile da gestire “politicamente”. Qualcuno era pronto a scommettere che un magistrato poco politically correct come Gratteri a Napoli avrebbe potuto avere delle difficoltà. La vicenda di Schiavone per ora dimostra il contrario: la figura di Gratteri, in un panorama giudiziario segnato da vicende poco chiare (“dossieraggi”, polemiche interne alla Dna, eccetera), si impone sempre più come il magistrato duro e puro. Un Gratteri della Provvidenza.