Interno notte. No, non sto parlando della sceneggiato di Bellocchio sull’affaire Moro, giocando scioccamente tra Interno e Esterno, figuriamoci. Interno notte nel senso che è notte, d’inverno si può parlare di notte già verso le 22, credo, è buio ormai da diverse ore, e in effetti siamo al chiuso, dentro il Mediolanum Forum di Assago. È il 16 novembre 2022, siamo in tanti, a occhio e croce sui diecimila, anima più anima meno. Cesare Cremonini, è per lui che siamo qui, si accovaccia a beneficio di pubblico e di telecamera, chi è lontano può vederlo nei tre maxi schermi, uno maxi maxi, centrale, due più piccoli, laterali. Ha indosso pantaloni di pelle nera, t-shirt del medesimo colore, e durante la serata cambierà poi tutta una serie di giacche brillantinate fighissime. Adesso è in pantaloni e t-shirt, e sta lì accovacciato. Parla piano, confidenziale. Nella prima parte del concerto, almeno per le prime cinque parole, non ha detto altro che “ciao Milano”, da questo punto di vista avrà poi modo abbondantemente di rifarsi, ma al momento è accovacciato e si confida con noi diecimila. Parla di memoria, e lo fa specificando come la memoria sia fondamentale per vivere appieno certi passaggi della vita, perché uno pensa al momento che si sta vivendo, certo, ci pensa e soprattutto lo vive, ma la memoria di quel che c’è stato prima, personalmente, professionalmente, globalmente, fornisce a quello specifico momento un peso specifico differente. Un discorso che coinvolge e che a un certo punto si impenna, come una di quelle Vespe che a suo tempo lo hanno reso famoso, andando a sottolineare come essere lì, su quel palco, sia prendere consapevolezza di far parte, anche solo per un piccolo frammento, della memoria di tutti noi presenti, ricambiati con uno spazio nella sua, di memoria. Giusto il tempo di riavvolgere il nastro, dice, e poi.
A questo punto sugli schermi parte un video in rewind. Dell’esibizione precedente, sembrerebbe, ma potrebbe anche essere un video preconfezionato, a uso del momento. Il nastro si riavvolge, in effetti, le luci si spengono e parte una infuocata versione per voce e chitarra, o per dirla con lui, anche se in quel passaggio di concerto lui sarà al piano, poco cambia, per voce, chitarra e pubblico, di Qualcosa di grande. Lo show musicale riparte, infuocato, letteralmente.
È in questo preciso momento che realizzo, sono venuto al Mediolanum Forum di Assago per vedere un concerto di un artista che stimo, col quale ho lavorato, motivo che inizialmente mi ha spinto a decidere di non scrivere di questo concerto, decisione evidentemente capitolata nel giro di pochi minuti, credo che già alla terza canzone ho scritto al caporedattore dicendo che ne avrei voluto scrivere, sono venuto al Medilanum Forum di Assago per vedere un concerto di un artista che stimo, quindi, per il mio piacere personale, ma è in questo preciso momento che realizzo che sto assistendo a qualcosa di importante, per me, certo, ma non solo per me. Perché Cesare Cremonini sta portando a casa uno show di livello, qualcosa che se la gioca serenamente coi suoi pochi colleghi di fascia alta, penso a Vasco, Jovanotti, forse mi fermo qui, e se la potrebbe giocare con quelli internazionali, penso ai Coldplay, questo riferimento mi tormenterà tutta la sera, dal momento in cui ho deciso di scriverne, lui a muoversi scatenato come un Chris Martin con l’accento bolognese. Quella che sembrava una confidenza a un amico, il discorso sulla memoria, è in realtà un passaggio scritto di questo show, come lo saranno credo tutti i passaggi, perché uno show del genere, con videowall, effetti speciali di cui vi dirò a breve, fuochi d’artificio, pedane mobili e quant’altro, non può lasciare spazio all’improvvisazione, andrebbe tutto a puttane. Ma il salto di qualità, quello cui in effetti Cesare Cremonini ci ha da tempo abituati, una lunga falcata a ogni occasione, sta proprio nel far passare tutto questo come qualcosa di naturale, di messo su al momento. Uno show gigantesco che sembra costruito al momento per noi. Si chiama carisma, credo, oltre che grande professionismo, e si chiama, diciamolo una volta per tutte, predestinazione, perché a vederlo lì, su quel palco, mentre intorno a lui ruotano delfini e lune immagino radiocomandate, sì, a un certo punto il cielo del Forum, lasciatemelo chiamare così, verrà attraversato da delfini, non immagini, proprio delfini delfini, ovviamente sintetici, ma veri, tattili, che voleranno come se il Forum fosse una vasca, mentre lui canta al pianoforte, o sospeso su una piattaforma che lo porterà a cantare sopra le teste di chi segue il concerto dal parterre, una delle idee più forti, parlo di show, al pari con il pianoforte in fiamme che arriverà più in avanti, si chiama predestinazione, dicevo, perché a vederlo lì, showman a tutto tondo, ma con un repertorio solido, importante, capace di riempire una scaletta lunga lasciando comunque fuori qualcosa che buona parte dei presenti avrebbe voluto sentire, con i grandi repertori succede sempre così, non si può che pensare che Cesare Cremonini era predestinato sin da giovanissimo, ora ha quarantadue anni e arriva su quel palco come se ci fosse sempre stato, appunto alla pari con artisti più vecchi di lui, e su di lui si dovrebbe partire per provare a ridisegnare il futuro di un settore, quello dello spettacolo, che rischia davvero di andare avanti a strappi, invece che a progetti, lasciando che pianoforti in altri palchi prendano sì fuoco, ma un fuoco che più che illuminare lascerà cenere e brace dietro di sé.
Non mi sta venendo bene. Avevo deciso di non scrivere di questo concerto. Un concerto a cui inizialmente avevo deciso di non venire, proprio perché, credo succeda un po’ come in certe storie d’amore, dopo aver collaborato con qualcuno arriva il momento del fastidio, del non voler stare troppo vicini, perché tanto si è detto e forse è bene vivere un momento di decompressione, invece mi ritrovo qui a farlo, dopo aver visto e vissuto uno dei concerti più belli cui mi sia capitato di assistere, e considerate che qualche migliaio di concerti, in vita mia, li ho visti, compresi concerti di Cesare. Concerti che sono sempre stati di livello, ma che credo ora rasentino la perfezione, ma quel tipo di perfezione che non infastidisce, l’idea che la bellezza sia sopravvalutata è una cazzata lanciata non ho mai capito bene da chi, tutta quella faccenda della reginetta del ballo che in realtà è sciocca e cattiva, meglio la compagna di banco goffa e con l’apparecchio dei denti, tipica di certi filmetti americani, dove il cattivo è ovviamente il capitano della squadra di football e alla fine l’amica goffa, non raccontiamoci balle, scioglie i capelli, smette di vestirsi come se dovesse andare a scalare una montagna e si mostra a sua volta bella, pronta a baciare il protagonista, beh, tutta quella storia è una sciocchezza, perché quando qualcosa è bello è bello, e il concerto di Cesare Cremonini è bello, decisamente, poggiato su canzoni che il pubblico canta in coro, perché ci si riconosce, e perché sono canzoni che raccontano sfaccettature diverse della vita, mai appoggiate su soliti cliché, e lo fanno attraverso uno stile personale, il suo, ma che gioca con cifre differenti, c’è il pop-rock, citavo prima i Coldplay, e la presenza sul palco di Davide Rossi al violino conferma questa suggestione, ma c’è anche l’elettronica, c’è il momento ballad come quello votato all’ironia (prima o poi andrebbe riconosciuta la vena malefica di alcune canzoni di Cesare, da GreyGoose a Qualcosa di grande stessa), un repertorio importante che, per dire, lo fa stagliare nettamente su quella masnada di suoi colleghi che prova a ripercorrerne le tracce, penso ai Mengoni, per dire, o anche ai Tiziano Ferro, fermo a un repertorio assai più esile e datato, suo coetaneo ma decisamente invecchiato peggio.
Non mi sta venendo bene perché è difficile raccontare uno spettacolo così ricco, e soprattutto farlo senza sembrare poco obiettivo. E dire che avrei quasi sperato di rimanere deluso, per quel fastidio di cui parlavo prima, e perché, in fondo, ho un animo votato all’apocalisse, tendo a trovarmi meglio tra le macerie che in mezzo ai brillantini. Invece lo spettacolo cui ho assistito è di quelli che lasciano letteralmente a bocca aperta. Senza sbavature, tutto perfetto, ma di quella perfezione che, come certa bellezza, è così naturale da non lasciare mai spazio a crepe o ambiguità, sarà anche tutto scritto, per intendersi, ma non lo si percepisce mai, neanche per un secondo. Anzi, la seconda parte dello spettacolo, nella quale Cesare parla e scherza di più, forse perché l’adrenalina è più consistente in circolo, durante lo show perderà circa otto litri di sudore, anche in virtù del suo correre a destra e sinistra come un pazzo, certo, ma soprattutto per quelle bellissime giacche brillantinate, la seconda parte dello spettacolo, nella quale Cesare parla e scherza di più è decisamente folgorante, capace di farmi andar giù anche lo stare per più di due ore in mezzo a una folla così grande, festante, io che ormai mi sono accoccolato su una mia presunta misantropia.
Avevo deciso, incamminandomi verso la metropolitana che mi avrebbe riportato a casa, mia moglie al mio fianco, di partire in questo mio scritto da una vecchia partita di calcio cui ho assistito, temo, quasi quarant’anni fa, anzi, confermo quasi quarant’anni fa, era il 1984. L’ultima partita che ho visto nel vecchio stadio della mia città, il Dorico, lo stadio, Ancona, la città. Andava di scena una partita tra la squadra locale, che fino a quel giorno ha avuto la mia fede, e il Lanerossi Vicenza, squadra che a parte un passaggio fugace di Pablito Rossi, qualche anno prima, non aveva mai colpito l’attenzione di un giovane me stesso. In quell’occasione in campo c’era un ragazzino di cui avevo letto parole assai positive, un ragazzino di pochissimo più grande di me, io avevo quindici anni, lui diciassette. Il giocatore si chiamava, si chiama ancora, anche oggi che non gioca più, Roberto Baggio. In quella partita, poi persa due a zero a tavolino dall’Ancona, per invasione di campo dovuta a errori marchiani dell’arbitro, anche se la sconfitta era già maturata in campo, con due goal di Bigon e proprio di Baggio, in quella partita il Divin Codino ha fatto vedere numeri che, credo, mai sarebbe più capitato di vedere dal vivo, e di partite, come di concerti ne ho visti parecchi. Avrei voluto raccontare di quella partita, perché Baggio è citato in una delle canzoni che più è amata del repertorio di Cesare, Marmellata #25, e volendo anche evocato nel ritornello di Nessuno vuole essere Robin, anche se questa è una mia lettura immagino sbagliata, e lo avrei voluto citare per fare una sorta di autofiction, nella quale ammetto di non aver capito il suo valore, di Cesare, ai tempi di Special 50, canzone che confesso non mi ha fatto mai muovere più di tanto il piede, salvo poi restare spaesato, positivamente, nel sentire proprio quella Qualcosa di grande da cui in realtà ho poi deciso di partire. Avrei, in pratica, allestito un paragone tra fuoriclasse, dando per assodato che nessuno può mettere in dubbio il valore di Baggio, ma lasciando intravedere proprio quel fastidio di cui sopra, il mio nell’essere qui al Forum e doverne parlare, nonostante le mie iniziali intenzioni e nonostante quella forma di rigetto di cui ho anche troppo detto, e il mio nell’essere, ai tempi, lì a ammirare Baggio che ci umiliava, noi anconetani, la scena di un tizio che lanciava una corda sulla traversa per impiccare l’arbitro, dopo l’invasione, una delle più nitide ancora nella mia testa. Poi ho pensato di partire da uno dei passaggi più intensi di una delle canzoni più belle del suo repertorio, Poetica. Avrei voluto partire con un “anche quando poi saremo stanchi”, lasciando intendere come nonostante la stanchezza del trovarsi a metà di una settimana lavorativa, la sveglia che per me suona alle sei e quaranta, mi sono goduto ogni singolo passaggio. Qualcosa di più intimo, per rendere l’idea di intimità, quella del confidarsi con diecimila persone di cui vi ho raccontato proprio in esergo di questo pezzo. Ma ero venuto al Forum per non scrivere, e nel farlo ho deciso di lasciare da parte i miei canoni, quelli che vogliono che io parli d’altro, spesso in apparenza di me, per poi svelare di chi o di cosa in realtà stavo parlando. Credo che Cesare Cremonini sia una nostra eccellenza, anzi, ne sono sicuro e non vedo come potrei non esserlo. E credo di aver assistito a uno dei concerti più belli visti in vita mia. Poi, è ovvio, arriverà l’apocalisse, ma almeno mi troverà un po’ meno immusonito di come ci sarei potuto arrivare.