I Måneskin si prendono anche i Grammy, o almeno ci provano. In lizza come miglior nuovo artista, o se fa preferite come best new artist, con tanto di annuncio 'live' sul sito della Recording Academy. Nomination prestigiosa, non c'è che dire, ma già nell'aria a dire il vero, così per una volta ci permettiamo il lusso di dimenticare le diatribe sulla musica più o meno gradita e sperare nel santo grammofono. Certo, la concorrenza è più che agguerrita, ma i nostri partono già in vantaggio. Quale? La giovanissima età da record.
Ci spieghiamo meglio. Almeno per quanto riguarda il fronte italiano, dopo un attento vaglio degli altri vincitori e esaminati, Damiano & Co risultano non solo i primi italiani della categoria, ma anche quelli più giovani di sempre a ricevere una candidatura all’Oscar della musica. Quindi con un'eta compresa tra i 21 e 23 anni battano anche Gabry Ponte, che all'epoca della nomination (con gli Eiffel 65) aveva appena 28 anni.
Ma andiamo avanti, ai Grammy (o Granny per Rai Radio2: chissà che fine ha fatto il social media manager...), che all'Italia hanno dato sempre grandi soddisfazioni. Intanto che precisiamo, al contrario di quanto scrivono i più, che l'ultimo italiano ad aver vinto non è affatto Laura Pausini.
Sì, avete capito bene. Basta pensare alla combo dello scorso anno, con Francesco Turrisi, torinese doc ma “emigrato” a Dublino, che ha vinto con Rhiannon Giddens il Grammy per il miglior album folk. Allora, con buon auspicio per i Måneskin, riviviamo anche gli altri vincitori, fino a risalire al primo.
Guarda caso, nei primi Grammy del 1959, uno dei trionfatori assoluti fu proprio un italiano. E parliamo di Domenico Modugno con la sua “Nel blu dipinto di blu”, miglior canzone e registrazione dell’anno. Ma nello stesso anno intasca il trofeo anche il soprano Renata Tebaldi nella categoria miglior interpretazione vocale solista di musica classica (“Operatic recital”).
Siamo nel 1964, e il premio se lo aggiudica Nino Oliviero come miglior composizione strumentale (primo musicista italiano a riceverlo!). Passando al 1972 con Carlo Maria Giulini, direttore d'orchestra della Chicago Symphony Orchestra, che vince come miglior performance orchestrale. Invece nel 1973 a superare gli altri è Nino Rota, per la colonna sonora de “Il padrino”, mentre solo qualche anno più tardi (1979) è l’indimenticabile Luciano Pavarotti a incassare il primo dei suoi cinque Grammy (di cui l'ultimo come Legend Award).
Poco meno per il compositore Giorgio Moroder, che ne vince addirittura quattro: due già nel 1984 per la colonna sonora e la miglior composizione strumentale di “Flashdance”. Fino all’altro Maestro, Ennio Morricone, che porta a casa ben tre Granmy. Il primo nel 1988 per la miglior colonna sonora, “The Untouchables”. Ancora cinque grammofoni per il mezzosoprano Cecilia Bartoli, a partire dal 1995.
Arriviamo al 2006, e sul fronte del pop non ce n'è per nessuno. Queen Laura Pausini vince come miglior album latin pop (Escucha). Solo due anni dopo anche il dj Benny Benassi centra il Grammy, e nella categoria miglior musica remixata-non classica (“Bring the Noise - Benny Benassi Satisfaction)". Infine, nel 2011 a portare a casa il trofeo è il Maestro Riccardo Muti, e nel 2017 il violoncellista Giovanni Sollima.
A questo punto, al fronte di tali decorosi riconoscimenti, chissà se il quartetto romano riuscirà a eguagliare i precedenti. D'altra parte il passaggio per festeggiare all'Ariston sembra già garantito. Certo, non hanno ancora riempito i due stadi (come i Pinguini Tattici Nucleari), e dopo un mese di vendite, stai a guardare il pelo... Rock'n roll permettendo.