Il Festival di Sanremo è cominciato con ascolti prodigiosi (54,7 % di share), le tradizionali stecche e l’allure della solita messa cantata. Però in drag. La serata inaugurale è stata un carrozzone allo stesso tempo ecumenico (con Amadeus che ha militarizzato minuti e minuti di scaletta perfino per spiegare agli ottuagenari da casa come risintonizzare il teleschermo per vedere la Rete 1 in serenità) e schizofrenicamente carnevalesco: Orietta Berti en travestì da Bulbasaur borchiato, La Rappresentante di Lista costretta in un banalissimo Gioca Jouer (che però nel ritornello dice “culo”, ah signora mia, la trasgressione), Achille Lauro che, perché sì, si auto-battezza sul palco guardando i telespettatori con aria compiaciuta del tipo: “Sì, ci siete cascati di nuovo: sto qua per il terzo anno di fila con la stessa canzone ma stavolta c'ho un coro gospel dalla storia trentennale solo per farlo fischiettà dietro a me, puppa!”). E nessuno che si chieda: “...Che succede?”. Le nostre speranze per salvare, almeno a livello di credibilità, questo Titanic ubriaco che invece di manovrare per evitare l’iceberg del sacro politically correct, ci rema verso con vigore, sono tutte rivolte al super ospite di questa sera, mercoledì 2 febbraio anno del Signore 2022: Checco Zalone.
Interpreti maschili con voci incredibili (c’è chi sospetta che Mahmood sarà il primo artista nella storia a vincere la kermesse grazie allo jodel), altri con una vocalità certamente più spossata ma fedeli alla linea: nessuno che si sia presentato privato di rouche, fiorazzi in 3D sulla giacchetta, capello fluido, aspetto caricaturalmente androgino, accenni fetish (ciao, Meduza!) nell’outfit che fanno subito OnlyFans. Tanto che l’unico, a parte l’occhialaio matto Dargen D’Amico, vestito da comune mortale, Rkomi in nero leather pseudo-centuaro, a prima vista è parso subito un’anomalia bislacca, un parvenu. All’Ariston? Senza make up?? Ora, davanti a tutto questo parterre di strass e bizzarrie che manco la cabina armadio di Cristiano Malgioglio, ci sovviene alla mente un eroe: Checco Zalone, la divinità italiana del box office, il vero campione dei Mondiali 2006, l’unico eletto che potrebbe svoltare sto Festival con una sola, mitologica performance. In questo speriamo. E, uniti, ve lo raccontiamo.
Checco Zalone, a parte la volta in cui s’è messo a scriver film con Paolo Virzì, è da sempre un genio del male. Dal palco di Zelig in avanti, il suo personaggio, quello del pugliese zotico e brutale che non comprende distopie tipo l’esistenza di una dimensione parallela come Milano centro, ha conquistato tutti, fluidi e non, grazie a sketch, film e soprattutto canzoni che oggi non potrebbero mai nemmeno essere pensate. Figuriamoci eseguite. Se non come sentenza di morte. Fortunatamente, il giurista Luca Medici (questo il suo titolo di studio e nome all’anagrafe), ha avuto il tempismo di nascere in quell’epoca dorata in cui ridere delle iperboli della società non era ancora considerato alla stregua di un crimine di guerra. E l’essere rovinosamente dissacrante, dunque, è stata la chiave del suo successo nazionale. Grazie, Checco. Anche per quella in cui che ti sei travestito da frontman dei Modà e hai duettato su un palco Mediaset con Giuliano Sangiorgi dei Negramaro. Sì, questo non c’entra. Ma i meriti vanno riconosciuti.
Dicevamo: considerato che la figura più politicamente scorretta presente oggidì sul palco dell’Ariston prende forma e nome di un certo Rosario Tindaro Ciuri Fiorello, un rancoroso conduttore che al massimo ti piazza uno sketch sulla prostata dei polpi e ride da solo mentre, armato di pistola a termometro frontale, tenta di sparaflashare tutti gridando: “Sono la terza dose!”, ecco, visto che questo è il massimo della rottura (non specifichiamo di quale tipologia) che possiamo ottenere da una serata di Sanremo 2022, noi abbiamo un sogno. Che Zalone calchi il prestigioso palco festivaliero intonando la seguente perla del suo variopinto repertorio musicale:
Zalone, non hai bisogno di inventarti niente di nuovo. Noi, invece, da umili telespettatori, ci siamo sfrantumati le tondeggianti parti dei nostri organi riproduttivi davanti a questa messa cantata in cui nessuno è mai, non volesse il politically correct, fuori post. Vai, entra a schiaffo con la grandisoa ottusità del tuo Checco di dieci anni orsono e prendili per il culo tutti, avidamente. Facci volare sulle ali degli uomini sessuali, della tua fidanzata “burkina” perché l’amore è quando ti fa diventare grosso il cuore, descrivici come solo tu puoi e sai fare, la banalità dei testi di molte (forse, troppe) canzoni in gara come hai fatto in faccia a Jovanotti sul palco di Zelig intonando l’immortale (e verissimo) verso: “A te che hai scritto sei il mio grande amore e il mio amore grande e magari per questa cazzata qui oggi ti senti pure Dante”. E allora sì, che la nostra maratona sanremese di 25 ore previste e 2 secoli percepiti, avrà finalmente un gustosissimo senso. Siamo una squadra fortissimi e (forse non) superpagatissimi. Tu, il nostro capitano. Attacca. Musica, Maestro!