Sapete quando la vita scolora? Non so, vedi un volto, e ti afferra la desolazione. È tutto estremamente studiato. Una proporzione immodificabile, fino al prossimo giro di vanità. Chiara Biasi ha 4 milioni di follower su Instagram. Proporzioni decisamente obbligate, narici piccole e strette fino all’estinzione. Labbra nello stile degli anni in cui viviamo. Gli anni del filler tout court. E io non riesco a vedere, niente, niet. Non so un retro-paesaggio dietro uno sguardo. Una lontananza, una malinconia. Uno stato di guerra, la volitività. Niente. Perché 4 milioni di follower, cosa hai fatto? Mi chiedo. Una giovinetta. Punto. Non mi arrampico su altre definizioni. Lascia Pordenone, diventa amica della Ferragni, apre un blog. Booom. Brand, testimonial, matinée, odiosi francesismi o inglesismi, milanesità doppia, algida, da frequentare, come le passerelle e tutto quel che occorre per esserci, esserci nella dimensione del cool patinato, socialità da pixel, stivaloni in ecopelle, nudità smorte. Non è terribile, già soltanto adeguare il linguaggio all’anaffettività snob e nello stesso tempo caduca come una cosa defunta? Un linguaggio con termini stiracchiati di superbia e esotismi nemmeno tanto engagé.
La vita sfugge di mano, a guardarli, ma cosa sono, specie eletta nell’ordine gerarchico di una tribuna di pigmei? Cosa sono? A scanso di equivoci, sono la chiave di volta subumana dell’antenato Pithecanthropus erectus, con buona ragione pare detengano un’anima quanto ne possa contenere l’uomo della strada, certo eccome. Anime un tanto al chilo. Ma no no, sono influencer. La Biasi ha giornate impegnative, l’estetica come modus operandi. Una estetica esigente, che travalica la banalità di uno sberleffo esoso, uno chiffon. C’è un investimento e una torma di lemmi assurdi dietro cui nascondere deliziose banalità. Sembrerebbe che sparisca persino la morte, una agonia fantasmagorica, astratta, il discorso dei due matematici eccelsi che discutono di narrazioni superiori in un romanzo di Henry Miller, narrazioni anemiche e ossute, dove la vita per l’appunto appaia un concetto vago, riconducibile a una idea minima, una facezia, abitata da ghul balbuzienti e sciocchi. Un incubo, o la rimodulazione del reale secondo gli standard della neo categoria di opinionisti, al secolo influenzatori. Vedete? Tradotto in italiano diventa una sciocchezza, una roba ridicola. Influenzatori? Cosa: un tacco dodici irromperà nella mia esistenza, quotidiana, faticosa, capovolgendola? L’emotività ridotta a una bidimensione, a un refluo irrilevante, da giovarsi con un make up adeguato al topic del momento. Cancellare ogni inciampo maculato. Regolarizzare un ovale, un incarnato, stringere il vitino di vespa, di una tipa uguale a un milione o 4 milioni di altre. Una come un’altra, che però ha acquistato un attico in piazza Duomo, a Milano, nei dintorni del cosiddetto quadrilatero della moda. Ed è già un brivido di sconsolatezza, solo a ripeterlo, quadrilatero della moda, perimetro di ottimismi fugaci. Aperitivi in scioltezza, un tripudio easy ovunque, sventagliato da un confine di carne postuma, apparentemente dicasi contemporanei.
E il resto? Il resto non conta. Continuo a chiedermi quale eccezionalità abiti il quid estetico di Chiara Biasi. Perché lei? La sento parlare, apro un reel, un video abbastanza mondano, abbastanza prevedibile. Non trovo nulla. Auspico una capitolazione, la mia finalmente, che mi influenzino pure, abbiano questa capacità di annullarmi, proverei consolazione. Almeno avrebbe un senso il nonsense, o frasi-accetta (mannaie senza manico, direi) che la Biasi lascia guizzare nelle nostre insicurezze da poveracci, come fossero zufolii di glicini: “Non mi alzo dal letto sotto gli ottantamila euro”. Capito?