Ho preso parte lo scorso weekend alla quinta edizione di “La Mia Generazione Festival”, kermesse nata dalla mente di Mauro Ermanno Giovanardi (per noi, che c’eravamo ai tempi, semplicemente Giò dei La Crus), e che intorno alla Mole di Ancona, incidentalmente la mia città natale, ha raccolto negli anni tutti i protagonisti o quasi di una generazione che a cavallo tra gli anni Novanta e il decennio successivo sé è affacciata con crescente successo nella scena musicale italiana. Diciamo la Generazione Tora! Tora!, per semplificare. Un Festival interessante cui non avevo preso parte per due semplici ragioni. La prima è che si è sempre tenuta nel primo weekend di settembre, per me mortale perché ho quattro figli scolarizzati. Inoltre, in genere fino a pochi giorni prima sono esattamente da quelle parti, Ancona, e tornarci appena partito mi sembra improponibile. La seconda, altrettanto semplice, è che proprio il mio essere di Ancona mi ha fatto vestire i non troppo originali panni del profeta che non può esserlo in patria. Vuoi perché così funziona da tempi biblici, vuoi perché magari sto sul cazzo a qualche politico locale, che vedendomi lavorare fuori potrebbe pensare che magari posso portare il mio know how in città ma non come una risorsa - risorsa che comunque rimane solo ipotetica, perché io di tornare a vivere ad Ancona manco ci penso - bensì come un ostacolo alla loro sopravvivenza.
A “La Mia Generazione Festival” ho avuto il piacere di incontrare grandi artisti, alcuni anche piuttosto giovani, penso a Hu o Emma Nolde, amici di vecchia data come appunto Giò o Cristina Donà, amici più recenti come Serena Abrami e i suoi sodali, i Leda. Il mio ruolo era quello di condurre i talk, appuntamenti all’ora dell’aperitivo per introdurre gli artisti sul palco durante le serate. Questo dopo aver dialogato con Cristina Donà giovedì sera, in quella che era una specie di première del Festival. Nel primo talk ho conversato con tre delle quattro cantautrici che si sarebbero esibite, Emma Nolde, Hu e Marta Del Grandi, quest’ultima ospite degli headliner della serata, i Casino Royale, Whitemary giustificata d’ufficio causa ritardo dei treni per via dello sciopero che ha bloccato mezza Italia. Nel secondo, invece, avrei dovuto incontrare i Zen Circus, headliner della seconda serata. Dico “avrei dovuto” perché - Pisa merda - Appino e soci hanno ben visto di non accettare l’invito a Festival iniziato, per incomprensioni col proprio manager. In sostanza hanno detto che non erano stati avvisati e che ormai era troppo tardi - Pisa merda - al che abbiamo optato per invitare tutti gli altri artisti in scena, Abrami, Nudha, Alessandro Fiori, e intavolare anche la presenza di Massimo Cotto, presentatore della kermesse, e di Leonardo Colombati, scrittore romano ospite del Festival. Titolo della serata, ovviamente: “Pisa merda”, anche se poi si è finiti a parlare dello stato dell’arte, con Colombati che ha sostanzialmente ammazzato tutti gli artisti presenti, andando a dire che, per come le cose si sono messe, nessun artista deve o può pensare di campare della propria arte, come del resto non fanno i poeti o i narratori, tutti a lavorare dai lattai o alle poste per sostentarsi. Un discorso dai chiari intenti provocatori che ha però portato molti dei presenti sul palco, soprattutto Cotto e la Abrami, e anche nel pubblico, a lamentare un certo cinismo. Per altro con una certa dose di incoerenza, visto che lo stesso Colombati campa con la sua scuola di scrittura, scuola che ha in quanto scrittore, non certo in quanto lattaio o postino.
Risultato: ottimo talk, coinvolgente e molto seguito. A un certo punto, però, Colombati si è ritrovato a raccontare di come, vicino all’albergo, qualcuno gli abbia scassinato la macchina fottendogli il prezioso iPod, contenente non so quanti giga di musica d’annata, immagino tutto sano rock’n’roll. Evidentemente ignora, Colombati, lo spirito maligno della mia città natale, che tende a colpire nei modi più disparati chiunque abbia l’ardire di andare in qualche modo fuori da un certo cammino. Città popolana, dichiaratamente di sinistra, che poco avrà apprezzato il sentir parlare di artisti costretti a mollare il sogno di fare cultura per via del mercato, e lo avrà colpito per mezzo di un ladruncolo che, è scritto, avrà scambiato quel prezioso iPod per una sigaretta elettronica e, non essendo capace di accenderla, lo avrà buttato ai pesci, presumibilmente i guatti del porto antico. Come deve averlo ignorato Appino, povera anima natia di quella Pisa merda più volte evocata, che dopo aver snobbato i cittadini nel talk, è stato colpito da un tremendo attacco di coliche renali, finendo all’ospedale di Torrette dove gli hanno praticato una qualche bomba di antidolorifici. Vedi poi tu se non facevi prima a venire a scambiare due parole su quel palco - Pisa merda. Altrove lo avrebbero chiamato karma, immagino, ma questa è Ancona, città di mare e di portuali, di vattafadantelculo e di moscioli. Io preferisco pensare che si tratti di uno spiritello anarchico che si è impossessato di un metaforico gabbiano, predatore dei mari che non disdegna di infastidire anche gli umani e di mangiare financo la monnezza.
Il Festival ha avuto grandi momenti live: penso al concerto iniziale di una sempre più gigantesca Cristina Donò, al bel Decamerock di Massimo Cotto e Mauro Ermanno Giovanardi, accompagnati dalle note sapienti di Francesco Santalucia (quando tirerete fuori altra musica coi Volosumarte, Francesco?) e Chiara Buratti, penso ai set elektroclach di Whitemary e della stessa Hu, alle note adulte e originali della giovanissima Emma Nolde, accompagnata in un brano dall’eroe local, Baltimora, vincitore dell’ultimo X Factor. Penso ai grandiosi Casino Royale, con un Alioscia in gran spolvero e Patrick al suo fianco solido come una roccia, anche se non aver fatto “Sempre più vicini” è una ferita che difficilmente si sanerà (occhio ai gabbiani). Penso a Nudha, da poco passata da un soul di chiave Stax a un rock decisamente femmineo e spigoloso, o ai miei adorati Leda, a mio avviso una delle più belle realtà del rock italiano, con Serena Abrami che è una perla davvero preziosa. Penso a Alessandro Fiori, cantautore che in un paese normale verrebbe portato in giro su un trono come fosse Cleopatra, e che da noi invece si vede scippare la Targa Tenco da Marracash. Detto ciò, presenza solare e assolutamente iconica del Festival è stata quella di Guido Harari, che proprio alla Mole ha in mostra le sue opere fino a inizio ottobre, con il titolo “Remain in light”. Aver avuto la soddisfazione di essere fotografato da lui, e ancor più vederlo dare dritte su come fare foto a mia figlia Lucia, aspirante fotografa, ha reso questa mia parentesi anconetana decisamente più meritevole. Sicuramente più di quanto non abbiano fatto, seppur le loro intenzioni erano positive, i tanti amici e conoscenti venutimi a dire che erano contenti di vedermi coinvolto in questo festival (al quale Giò, va detto, mi aveva invitato anche altre volte). È stata una piacevole parentesi: amici e conoscenti, non fateci la bocca. Giò, grazie comunque a te e all’organizzazione. Romeo e Chiara, siete stati deliziosi.
E i Zen Circus? No, i Zen Circus non li ho poi visti, anche se la botta di antidolorifici credo abbia fatto buon effetto, perché mentre mi recavo con mia figlia al vicino Four Roses, bar aperto tutta notte a due passi dalla Mole - per mangiarci due polacche, le caratteristiche brioches con glassa e pasta di mandorle che si trovano solo in zona (e immagino in Polonia) - ho sentito che attaccavano a suonare. Non li ho sentiti perché, io, coerentemente, se dico Pisa merda intendo proprio Pisa merda. Senza se e senza ma.