Approda al cinema Patagonia, film d’esordio del giovane regista abruzzese Simone Bozzelli, già vincitore di un Mtv Video Music Award per la regia del video di I Wann BeYour Slave dei Maneskin. Un film ambientato, a discapito del titolo, nella sua terra, un on the road tossico, nel senso che ci mostra un rapporto tossico, di dipendenza psicologica, che ha per protagonisti Yuri, ragazzo-bambino tenuto a freno da una famiglia tutta al femminile, e Agostino, un Peter Pan da incubo che lo porterà dalle feste per bambini all’organizzazione di rave party. Ecco, i rave party. Eravamo rimasti che in Italia, primo segnale del pugno di ferro di un governo di destra che in realtà si sta dimostrando alquanto molle su tutto, i rave party erano stati messi al bando, il ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, a mostrare gli addominali di fronte all’opinione pubblica, la premier Giorgia Meloni a fargli la claque. Di più, eravamo rimasti che qualsiasi incontro non autorizzato con più di cinquanta persone fosse inquadrabile come rave party, in linea del resto con la nuova legge della strada, non nel senso di codice di comportamento non scritto dei delinquenti, parlo proprio della legge che regola il codice della strada, dove basta che qualcuno sembri sotto l'effetto di droghe per portare al ritiro immediato della patente, quindi chi soffre della sindrome dell’occhio stanco è avvisato.
Qualcosa di cui si è dibattuto, al momento del disegno di legge, ma che poi, inghiottito in questa contemporaneità di ora e qui, dove ogni giorno c’è un tema del giorno che sembra inevitabile, salvo poi scomparire l’indomai, dimenticato per sempre. Nessuno che ci abbia anche solo fatto sapere se questa legge sia mai stata applicata, con buona pace di artisti come Cosmo che, legittimamente, se l’erano presa a male come sempre si dovrebbe fare di fronte a certe storture legislative. Inghiottito dentro il buco nero dell’attuale informazione, più attenta a sparare in prima pagina il nome del nuovo cane dei Ferragnez che a provare ad approfondire argomenti che sfuggano a una lettura superficiale del mondo, fosse anche di quella porzione asfittica di mondo nella quale abitiamo. E dire che occasione per riparlarne ce n’erano anche state, penso al recente disastrato Burning Man Festival, certo non un rave party, inguainato dentro un’organizzazione paramilitare, biglietti costosissimi per potervi accedere, costante monitorizzazione sotto l’occhio vigile del Big Brother social, a suon di reel e stories, ma comunque da riferire a quell’ambito controculturale che prende le mosse dalle Taz, in italiano Zone Temporaneamente Autonome che coi rave party hanno più che qualcosa a che spartire, come a un immaginario cyberpunk e anche vagamente post-apocalittico, sulle colonne di Io Donna direbbero “a la Mad Max”, tutto cyborg e mutoids.
La storia l’avete sentita tutti, immagino, lì nel deserto del Nevada, in quella città temporanea che risponde al nome di Black Rock, a proposito di Taz, nell’omonimo deserto, sorto laddove un tempo si trovava un lago, città temporanea creata ogni settembre proprio per ospitare il Burning Man Festival, dove vigono le leggi del baratto, unici beni acquistabili ghiaccio e caffè, ognuno autonomamente a farsi carico dei propri spazi, generatori di corrente, cibo, acqua, vessilli e stramberie varie, di colpo è arrivato una tempesta. Sì, in un luogo desertico, sorto sul letto di un lago essiccato, è arrivato un carico d’acqua di quelli che in Italia verrebbero chiamati “bombe” e che in genere vengono accompagnati nei medesimi media da frasi quali, “in poche ore è scesa la pioggia che in genere cade in un anno”. Solo che nel deserto Black Rock di acqua in genere non ne piove proprio, e sicuramente non era previsto piovesse durante un evento che ha nello spettacolare incendio di un gigantesco uomo cyborg, statua di volta in volta fatta di tubi, di marchingegni futuribili o futuristici, il suo culmine. Così, di colpo, quella che di solito è sabbia e terra arsa si è trasformata in fango, tanto fango, tantissimo fango. I buffi personaggi vestiti come fossero dei cosplayer di Tank Girl si sono ritrovati ricoperti fin sopra ai capelli, le loro ali di plastica, i loro ammennicoli a la Stephenson irrimediabilmente danneggiati, le vie di fuga, molti lì sono usi spostarsi in bici o a bordo di mezzi non troppo diversi dai carri di carnevale che siamo usi vedere a Viareggio e Cento, impraticabili. Una sorta di inferno in terra, dove appunto al fuoco, iconograficamente habitat naturale del diavolo, si è sostituita l’acqua, immagino agli occhi dei bigotti la medesima del Diluvio Universale di biblica memoria. Una catastrofe, con una vittima, fatto che rende impraticabile, ovviamente, una qualsiasi forma di ironia a riguardo. Ricapitoliamo, quindi.
Il Governo Meloni propone, come primo disegno di legge urgentissimo, un giro di vite contro i rave party, andando a indicare ogni raduno non autorizzato che preveda la partecipazione di oltre cinquanta persone come tale. Esce un ottimo film d’esordio, Patagonia, che in parte si muove nei meandri dei rave party, l’Abruzzo e in parte Roma come location del tutto. Il Burning Man Festival del Nevada, più iconico evento legato all’immaginario delle Taz di Hakim Bey, e di conseguenza al mondo della controcultura che ha nei rave party una propria forma d’espressione, è stato devastato da una tempesta di pioggia, che ha messo a repentaglio tutti i partecipanti, portando anche alla morte di uno di essi. A chiusura di questo zig zag tra notizie e suggestioni, proprio in questi giorni esce per i tipi di Shake Edizioni la raccolta di scritti postumi proprio di Hakim Bey dal titolo "All’ombra delle macchine malate", nel quale il sommo guru della controcultura affronta temi attualissimi quali la deriva suicida intrapresa dall’umanità attraverso un uso sbagliato della rete, caspita, proprio il filosofo delle Taz, con conseguente precipizio nel baratro ordito dai mass media, noi umani vittime delle macchine, e grazie al Dio dei freak che il nostro non abbia voluto affrontare l’attualissimo tema dell’AI, non ce ne sarebbe davvero stata per nessuno. Se è vero che a Hollywood nessuno ha più di cinque gradi di separazione da Kevin Bacon è pur vero che stiamo assistendo a una contemporaneità nella quale di gradi di separazione tra il ministro Piantedosi e l’anima volata da qualche parte di Hakin Bey, la barba lunga alla Tiziano Terzani, la mente più aperta di quanto noi umani potremo mai avere, di gradi di separazione ce ne sono soltanto due: uno in Patagonia e uno nel Black Rock Desert del Nevada.