È arrivato settembre e le vacanze sono finite per tutti, compresi cantanti e musicisti che non hanno perso tempo per far uscire canzoni nuove, liberati dalla pressione di rincorrere la hit dell’estate. Il nome che fa più rumore è sicuramente quello di Shiva, che dopo i trascorsi in carcere esce con un album di ben 18 tracce, “Milano Angels”. Risale a due anni fa invece “Milano Demos”, di cui ripropone la copertina ma in in tinte non più rosse, come le fiamme del diavolo, ma di un azzurro freddo, lo stesso delle nuvole e del ghiaccio. Lo spartiacque tra l’inferno e il paradiso coincide per lui con la condanna per tentato omicidio e porto abusivo di arma da fuoco, scontata per quasi quattro mesi nel carcere di San Vittore e ora agli arresti domiciliari. Nel periodo di reclusione è nato anche il suo primogenito Draco, che ha potuto abbracciare solo al momento della scarcerazione. Indipendentemente dall’intenzione originaria di creare una saga, questi due dischi si legano tra loro e alla vita di Andrea, questo il vero nome di Shiva, tanto quanto alla cronaca. Qualsiasi cosa Shiva pubblicherà dal giorno dell’arresto in poi sarà passata in rassegna non solo da fan e giornalisti, ma anche da giudici e avvocati, per cercarvi dentro tracce di verità, che per ciascuno avrà un significato diverso.
La genesi del disco è frastagliata, si percepisce che alcuni pezzi probabilmente risalgono a prima dell’incarcerazione, mentre altri sono necessariamente successivi. Ne risulta un’opera poco coesa, in cui la musica assume un valore più per il recupero sociale del rapper che per l’impatto artistico. Shiva non si libera del personaggio che a forza di costruire è diventato la sua realtà, ribadendo le logiche di strada anziché superarle, “Questa è la vendetta descritta in un album” canta in “Take 5”. Tra omertà scambiata per orgoglio, promesse di vendetta e minacce di ricorrere alle armi (detenute abusivamente), ci sono spiragli di luce che lasciano pensare che prima o poi, in prigione o in libertà, il buon senso prenda il sopravvento su questo cinema di strada. Nella lettera al figlio o nelle canzoni d’amore lascia più spazio ai suoi pensieri, che si manifestano in modo cristallino soprattutto nei finali di alcuni brani, intonati come moniti, così in “Milano Angels” chiosa, “Son cresciuto in un posto / Dove gli angeli erano più facili da mandar via / E i demoni ce li siamo tenuti dentro / Ora che ne sono uscito, i demoni li temo /E gli angeli invece continuo a cercarli”
Se Shiva aveva i riflettori puntati, Wayne riappare sulle scene in modo meno appariscente, mantenendo volutamente un profilo basso. Tra tutti i membri della Dark Polo Gang, Wayne è stato quello con l’interesse per la musica più longevo e variegato di tutti. È stato lui a tirare le fila per unire la gang ed era lui che comprava software e hard disk per registrare in casa, lo stesso che aveva già provato ai tempi del liceo a far parte di un gruppo rock. Per questo c’è poco da stupirsi se l’EP “Una notte a Milano” appena uscito sotto Warner non è un disco né trap né rock, ma con sonorità pop dal retrogusto vintage. Wayne dopo un lungo periodo di cambiamento, a partire dalla squadra di lavoro, si ripresenta dopo il tentativo solista di “Succo di Zenzero Vol.2” in una nuova veste, liberato dall’auto-tune e da tutte le logiche della scena rap. Si fa accompagnare in questo viaggio di cinque canzoni da nomi non noti al pubblico mainstream, mostrando così l’intenzione di ritagliarsi una nicchia più ricercata e distante da quello che faceva con Side, Tony Effe e Pyrex, comunque presenti anche al release party e sempre ben accetti per progetti futuri, come ha dichiarato pubblicamente. Sono Edonico, Fasma e Wax a collaborare con lui per raccontare di quegli amori fatui incontrati nelle notti milanesi che gli fanno tanto rimpiangere l’idilliaca Roma, misura di tutte le cose (“Mi manchi come Roma centro”).