Che significato possiamo attribuire al concetto di “vita vissuta”? Parliamo di quotidianità, fatta di alti e bassi, di storie personali fatte di gioie e dolori, di qualsiasi tipo? O stiamo parlando di “vita vissuta” in un senso più ampio del termine, fatto anche di criminalità, droga, carcere, e quant’altro. Mondo Marcio, in una puntata del format Link in Bio di Esse magazine, ha detto: “Quando droppa Shiva è finita. Ha la penna carichissima. Pensa giustamente quanto non vede l’ora di droppare i pezzi, quanto sono carichi di roba, proprio di vita vissuta”. Cosa vuole dirci esattamente il rapper?
Che i pezzi di Shiva, dopo il carcere, avranno una carica diversa? Che racconteranno la vera “vita vissuta”? Perché invece quella che viviamo tutti i giorni cosa sarebbe, esattamente? Non siamo del tutto sicuri che per scrivere di “vita vissuta” serve finire in carcere. Shiva, a nostro avviso, non è sicuramente tra le penne più interessanti che abbiamo in Italia. Se dovessimo suggerire a qualcuno di ascoltare dei brani che raccontano un po’ di vera “vita vissuta”, gli consiglieremmo di ascoltare Speranza, o magari Massimo Pericolo. Il motivo è semplice: non basta solo il carcere per raccontare la vita vera. Sulla vita privata di Shiva, vero nome Andrea Arrigoni, si sa poco e niente. Probabilmente vivere a Milano Ovest, tra i quartieri più difficili di Milano, è un boost importante per la creatività, soprattutto quando si vuole raccontare il degrado, la vita difficile in quartiere, che poi è anche parte della “vita vissuta”. E Shiva rappa spesso della sua Milano, che gli ha dato in questi anni gioie e dolori. E già questo dovrebbe poter bastare, in qualche modo. In fondo, già così potrebbe aver dimostraro che non gli sarebbe servito finire in carcere per raccontare non solo la città, ma anche la sua “vita vissuta”.
Quindi, perché abbiamo tirato in ballo Speranza e Massimo Pericolo? Non li abbiamo scelti a caso, ma perché sono due artisti che hanno saputo raccontare la “vita vissuta” oltre al carcere, nel caso di Massimo Pericolo, e oltre ai problemi legati all’abuso di alcol e sostanze, nel caso di Speranza. Entrambi sono stati in grado di raccontare, nel corso della loro discografia, anche cosa significa vivere in periferia, o quanto sia una mer*a vivere in condizioni di difficoltà economiche. Non si sono limitati a “fare i duri”, se così possiamo dire, basando tutti i loro brani sulla “vita vissuta” in carcere. Quello che magari ci piacerebbe sentire da Shiva, arrivati a questo punto, è quanto effettivamente facciano schifo le condizioni delle carceri italiane. Un tema di cui si parla spesso, e di cui sarebbe interessante sapere di più da chi lo ha vissuto in prima persona. E chissà che Shiva non lo faccia, denunciando attraverso la sua musica, veicolo potentissimo di questi tempi, le drammatiche condizioni in cui vertono le carceri italiane. Noi un po’ ce lo auguriamo, sperando che la sua “penna carica” di “vita vissuta” sia fatta non di storie da gangster, sempre e comunque con le collane diamantate al collo, ma di storie che possano, in qualche modo, far ragionare le persone su tematiche di stringente attualità.