“L'uomo è qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo? Tutti gli esseri hanno creato qualcosa al di sopra di sé e voi volete essere il riflusso in questa grande marea e retrocedere alla bestia piuttosto che superare l'uomo? Che cos'è per l'uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l'uomo per l'oltreuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna”
Così parlo Zarathustra, Friedrich Nietzsche, 1883/1885
“I feel at a stage in my life where I can overcome anything. I can conquer everything. People who never take risks in their life will never climb it to that next level”
UFC 196, Conor McGregor, marzo 2016 (da leggere con forte accento irlandese alla Peaky Blinders).
Conor McGregor è un Oltreuomo.
Conor McGregor è Notorious, così come s’intitola il documentario sulla sua storia, uscito ieri 17 novembre su Netflix a firma di Gavin Fitzgerald. Notorious, in inglese, vuol dire famigerato e ben conosciuto. Suona bene, sa di gangster. Dà un senso di totale potenza.
Conor McGregor, per chi vivesse sulla luna (ma dai, ormai anche quelli che campano esclusivamente di pane e Juventus lo conoscono…) ha 32 anni, viene da Dublino ed è il fighter più conosciuto al mondo. Ha più follower di Donald Trump su Instagram. E’ stato il primo campione del mondo in due diverse categorie di peso, piuma e leggeri.
La sua barba rossa, gli occhi chiari, il petto tatuato col gorilla in stile traditional che fa tanto film di Ken Loach sui portuali irlandesi. L’urlo che emette alle cerimonie del peso è un “ghigno, di dolorosa vergogna”, per riprendere il passaggio di Zarathustra. Ti annienta già così.
E’ un tributo monarchico quello del documentario “Notorious”.
Non c’è spazio per riflessioni sulle MMA, sul significato della vittoria e della sconfitta, sul rapporto con i genitori o con la fidanzata di lungo corso, Dee Devlin. Sì, ci sono i classici “lei ha sempre creduto in me anche quando non avevamo un euro”. Sprazzi del passato da poveraccio spiantato ce ne sono, ok. Conor che va a fare sparring con un compagno e non hanno nemmeno i soldi per il caschetto di protezione. Primi piani sulle bollette da pagare. Conor e Dee che vivono ancora con Margaret, la mamma di McGregor, perché non ce la fanno a campare da soli.
Stop.
Il resto è tutto un soldi, paranoie da infortunio, sudore, allenamenti indiavolati, gomitate spaccazigomi, Land Rover e Mercedes. 90 minuti totalitari sul periodo di massimo splendore di Conor McGregor: dall’approdo in UFC (l’Ultimate Fighting Championship, la sigla più importante e famosa del mondo delle MMA) alla vittoria del primo titolo mondiale contro José Aldo, all’epoca il miglior combattente del mondo imbattuto da dieci anni. Le sfide con Nate Diaz nella categoria dei pesi welter, a 77 chili, quando Conor è tutt’al più un peso leggero di 70 chili.
Impressiona l’atteggiamento di McGregor sul ring e fuori dal ring.
Sul ring è un cane. Non ti molla. Pressa, tira dei colpi potenti e precisi, è aggressivo. Combatte come uno che deve scannarti ma non per cattiveria, per semplice indole.
Nelle conferenze stampa ha un lessico elaborato e pungente, devasta psicologicamente gli avversari, che cincischiano e abbozzano dei banali “fuck you you fuckin faggot”, tutti in tensione con la mascella serrata. Conor scherza e ride e ironizza, schernisce, ti mette a nudo.
La sfida con Aldo è l’emblema della sua strategia: lui, Conor, che arriva nel pre-match vestito da dio con completo sartoriale e sorridente, panciotto e cravattina color lavanda, José in felpa nera incazzato duro, già in para per una potenziale sconfitta. Conor gli è entrato nel cervello. Infatti Aldo va KO al primo round, con un destro in controtempo di Conor che lo lascia steso a terra.
Purtroppo, il documentario si interrompe di botto. Accenna solamente alla sfida con Floyd “Pretty Boy” Mayweather del 26 agosto 2017, quella che fa fare un salto definitivo a Conor nel mainstream. Utili generati da quel match: 600 milioni di dollari. Borse ufficiali per i due atleti: 100 milioni per Money Mayweather e 30 per l’irish Conor. 4.3 milioni di utenti PPV.
Ancora peggio, il documentario non menziona per nulla il crollo di Conor degli anni a seguire, ossia la rivalità con Khabib, le cinture che gli vengono tolte, il match perso con Khabib dopo mesi e mesi a fare trash talking, le risse, i pulmini sfondati con la transenna… in piena linea con l’ego smisurato di McGregor, delle sconfitte non si parla.
Molti sportivi e appassionati delle MMA odiano McGregor. Odiano l’UFC, odiano la spettacolarizzazione di questo sport voluta dal presidente della UFC Dana White, che secondo loro ha trasformato l’ottagono in un circo come la WWE, Smackdown & Raw alla Giacomo Ciccio Valenti. Ci sta eh, il purismo esisterà sempre.
Intanto è solo grazie a McGregor se le MMA sono entrate nell’immaginario della gente. Senza di lui, sarebbero rimaste appannaggio di chi le pratica o ne è veramente innamorato. Invece mo’ pure tuo zio juventino calabrese si eccita e mastica di arti marziali miste. E Khabib? Più forte, più tecnico, ma non trasmette quanto Conor. Storia bellissima quella del daghestano, ma Conor è oltre.
Conor McGregor è the face of the game, come scrive nella sua bio instagram. Lo sarà sempre, anche quando perderà. Anche quando se ne andrà.
Questo è il lascito da Oltreuomo.
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