Sono dentro Mediaworld. No, non sto praticando l’arte della metafora, sono proprio dentro un negozio della catena Mediaworld, quello di Rubattino per i feticisti, quando mi arriva un messaggio su Whatsapp da parte del caporedattore che mi chiede se può interessarmi scrivere della delusione tutta maschile per l’orgasmo simulato di Belen. Non ho idea di cosa stia parlando, e non avendo gli occhiali da lettura dietro leggo erroneamente “l’orgasmo simulato di Selen”. Rispondo di sì, anche se continuo a non avere idea di cosa stia parlando. Sono dentro Mediaworld per compare un televisore nuovo, il mio si è rotto. Anche non si fosse rotto, scoprirò di lì a breve, non avrei comunque idea di cosa stia parlando, perché non seguo Tu si que vales, e non lo seguo esattamente per i motivi per cui chi non segue Tu si que vales ostenta di non seguire Tu si que vales, che poi sarebbero anche i motivi per cui il centrosinistra ha perso le ultime elezioni, mi ritengo troppo colto per seguire questo tipo di programmi dozzinali.
Pensando però, mentre cerco di capire le differenze tra Odel e Qdel, al concetto di orgasmo simulato comincio a farmi tutta una serie di appunti mentali, che riporto di seguito.
Siamo in ambito pop, immagino, nel mentre ho letto meglio e ho capito che non era della pornostar Selen che si stava parlando, ma di Belen Rodriguez e del programma Tu si que vales, location dove detto orgasmo simulato è andato in scena. Sarebbe scontato, ma quando si parla di pop l’essere scontati è la cifra che caratterizza il tutto, partire dalla scena del film Harry ti presento Sally con Meg Ryan, a tavola, a simulare con un certo trasporto un orgasmo a beneficio di un perplesso Billy Crystal. Scoprirò solo una volta tornato a casa che l’intuizione riguardo la banalità della citazione è talmente sublime da essere stato, l’orgasmo simulato, esattamente una riproposizione di detta scena, con Gerry Scotti nei panni di Billy e Maria De Filippi in quella del regista Rob Reiner.
L’idea che ho – mentre chiedo cortesemente se una staffa per un 44’’ è in grado di reggere anche un 50’’ (non guardo la televisione generalista, aborro i palinsesti, ma almeno in età avanzata ambisco a vedere la televisione esattamente come fossi al cinema, luogo che, da quando casa mia ha cominciato a essere frequentata da bambini, nei panni di figli, ho smesso praticamente di frequentare) – l’idea che ho è quella di partire da Meg Ryan, nel mentre decaduta come spesso capita alle stelle di Hollywood, specie a quelle che abusano di chirurgia estetica (anche se spesso temo abusino di chirurgia estetica proprio perché in procinto di decadere, non tanto fisicamente, spesso ne abusano già in giovane età, quanto a livello di carriera, la pretesa che la gente rimanga per sempre giovanissima è una stortura tutta occidentale che prima o poi andrà scardinata), l’idea che ho è quella di partire da Meg Ryan e poi passare a altre situazioni in cui l’orgasmo simulato trova asilo, lasciando all’orgasmo simulato da parte di Belen, stando a quel che mi ha scritto il nostro caporedattore, deludente, almeno per noi maschietti, le ultime righe, quando ormai si sarà capito che dell’orgasmo simulato male da Belen in sé ci frega poco, e che ci piaceva più che altro dissertare sull’orgasmo simulato tout court.
Il primo step in questa dissertazione, quindi, di suo dovrebbe essere proprio quello che concerne personaggi come Selen, anche se oggi Selen non so esattamente che fine abbia fatto, e dovendo pensare io a una Selen 2.0 dovrei giocoforza ricorrere a un personaggio come Valentina Nappi, personaggio che ha fatto dell’essere non solo essere scopante ma anche essere parlante una sua peculiarità, probabilmente nel caso si trovasse anche su un set porno, ricordiamo che il crudele mondo del porno paga male e a scene, quindi più se ne fanno più si è pagati/e, probabilmente nel caso si trovasse anche su un set porno a non godere lo dichiarerebbe apertamente, dissacrando quello che, ci dicono sempre, è un luogo sacro per il patriarcato, il porno sfrutta le donne e lo si fa, Valentina Nappi a parte, solo a beneficio degli uomini. Questa faccenda, raccontata da tante pornostar ormai ex pornostar, quando si è ancora pornostar, Valentina Nappi a parte, si tende a non parlare troppo, e specificato in alcuni documentari, come il recente Pleasure, delle regista svedese Ninja Thyberg, film che racconta crudamente e anche crudelmente come il porno venga in effetti sviluppato, lasciando capire come quel che può provocare anche un piacere lussurioso in chi ne usufruisce è in realtà costruito sull’umiliazione, la violenza, fisica e psicologica, lo sfruttamento, una sorta de Il mio amico in fondo al mare, film diretto da Pippa Ehrlich e James Reed, e giuro che il paragone col porno non ha nulla a che vedere con il nome della regista, che è talmente emotivamente coinvolgente riguardo la fine che i polipi vanno a fare che indurrebbe chiunque lo guarda a abbandonare per sempre la pratica di mangiarli, lo dice uno che dopo aver passato una intera cena a sentire gente di varia natura affermare ciò, da mia figlia a Cristina Donà e il suo pard Saverio Lanza, apprezzando particolarmente il polipo ha ben deciso di non guardarlo mai e poi mai (non ho visto neanche Pleasure, ma non perché io sia una appassionato di porno, semplicemente perché come ho su detto non vado al cinema e in streaming non l’ho trovato). Dunque il porno è una industria che sfrutta le donne, come il calcio sfrutta i bambini orientali che con le loro manine fabbricano palloni cui dei milionari danno poi calci in stadi costruiti da schiavi, si veda i prossimi Mondiali del Qatar, ciò nonostante miliardi di persone lo seguono, il porno, e lo apprezzino, il calcio, siamo esseri fallati che non apprezziamo troppo chi ci sottolinea i nostri difetti. È evidente che il porno, tranne rari sottogeneri, sia in buona parte finzione, esiste una regia, un montaggio, le scene di cui sopra vengono spesso riproposte in più film, gli attori utilizzano trucchi, chimici e anche filmici, e più in generale quello che mostrano non corrisponde a niente di reale, a partire dall’atleticità agonistica cui il sesso sembra dover necessariamente rispondere, per non dire di misure e elasticità varie, figuriamoci se può essere un problema un orgasmo simulato nel porno. Ma quel sottolineare con smorfie e grida l’atto del godimento prevede che, seppur simulato, l’orgasmo sia ben simulato, il fatto che quello di Belen sia deludente è una delusione effettiva. Anche perché, ricordiamolo, Belen è Belen anche a partire da un noto sex tape, tutti ci siamo chiesti che cosa abbia in effetti visto il gatto sul comodino, e il suo essere o essere stata (leggo che ultimamente il suo aver fatto forse ricorso a chirurgia estetica la abbia in qualche modo declassata all’essere una Meg Ryan senza candidature all’Oscar) un sex symbol poco si accompagna a un orgasmo simulato, piuttosto meglio tacere.
La faccenda dell’industria crudele del porno – e so che mettendo quel “crudele” qualcuno penserà che io stia facendo del sarcasmo, e quindi sia a mia volta artefice di patriarcato, perché sullo sfruttamento del corpo della donna nulla c’è da fare sarcasmo, in realtà provavo a essere didascalico, e dicendo crudele intendevo proprio crudele, la faccenda quindi dell’industria crudele del porno, a beneficio del patriarcato – ha dato vita a un filone di porno cosiddetto etico, gestito da donne e, qui il punto, rivolto alle donne. Qualcosa che dovrebbe stare dalle parti del Dogma 95 di Lars Von Trier, uno che però è a sua volta oggetto di pesanti accuse di patriarcato, nonché abbastanza pornomane, quindi probabilmente ho fatto l’esempio sbagliato. Un porno che quindi non ci mostra costantemente l’umiliazione della donna, parlo non per presa visione ma per aver letto svariate interviste alle protagoniste, uso Google con il medesimo account dei miei figli e non ho ben capito come si cancella la cronologia, e che soprattutto la smette con questo punto di vista costantemente maschile, l’idea che alle donne piaccia essere presi a colpi di glande in faccia, per dire, o gli schiaffeggiamenti sul sedere prima della penetrazione, nonché certa foga olimpionica, faccio sempre per dire. Tutto reale, compresi quindi gli orgasmi.
Questo, cioè quello che ho appena detto, mi fa venire in mente che in una puntata della sesta stagione di quel capolavoro assoluto di Working Moms, serie ideata da Catherine Reitman, della dinastia dei Reitman, non cito il padre e il fratello, forse più noti, perché se no ricadrei di nuovo nel patriarcato, serie che adoro alla follia e di cui ambisco a breve di vedere la settima stagione, Dio volendo. Nella serie in questione, che racconta le vicende familiari e lavorative di un gruppetto di giovane donne alle prese con i loro lavori, anche importanti e impegnativi, i loro compagni, i loro figli, la società, Catherine Reitman interpreta la protagonista, Kate Foster, mentre Philp Sternberg, che è suo marito, interpreta Nathan Foster, marito anche nella finzione della protagonista. Questo corto circuito interessante, fornisce spesso una sottolettura alla trama, sottolettura che ci parla di complicità. In una puntata della sesta stagione, appunto, nella quale Kate Foster è vittima del suo troppo lavoro, va di scena un rapporto tra Kate e il marito, durante il quale Kate controlla compulsivamente la mail sul cellulare, provando a non farsi accorgere dal marito, ovviamente simulando un orgasmo per tenerlo buono. Il fatto che a mettere in piedi una scena del genere sia una donna, coinvolgendo il suo vero marito sul set, trovo sia piuttosto interessante, perché apre una fessura nel troppo spesso taciuto mondo privato delle camere da letto, i talami nuziali, che potrebbe lasciarci vedere scenari assai curiosi.
Questo, nella mia testa, doveva essere il penultimo passaggio della mia chiacchierata sull’orgasmo simulato, per arrivare poi a Belen. Magari ci avrei messo, qui e là, passaggi di respiro, di colore. Non so, avrei citato l’evidente e innegabile sincerità dell’uomo rispetto a quella delle donne, con organi genitali visibili, esterni. Avrei anche, tanto per far capire che ho studiato la materia, citato la faccenda di come le femmine del genere umano abbiano sviluppato il seno non solo e non tanto per questioni legate all’allattamento, non è dalla massa e dalla rotondità del seno che deriva la possibilità di allattare, ma quanto piuttosto per ricordare l’aspetto delle chiappe, visto che a un certo punto l’uomo ha smesso di camminare su quattro zampe, passando dalla copula doggy style a quella frontale, alla missionaria, siamo esseri semplici noi, un paio di curve e perdiamo la testa. Avrei anche fatto cenno alla teoria di come l’uso dei tacchi, che costringe la donna a una postura differente, col bacino in avanti, fatto che spinge i genitali femminili verso l’esterno, abbia in qualche modo contribuito a una mascolinizzazione della femmina, ecco il perché di certe manager stronze, per dire, come a dire, siamo sì più sinceri, ma anche più stronzi. Poi avrei sicuramente detto che l’uomo non può, anche volendo, simulare l’orgasmo, è una questione di meccanica, di idraulica, ma citando l’idraulica avrei poi dovuto ammettere che certe erezioni mattutine non sono esattamente farina del nostro sacco, il più sano c’ha la rogna. Poi sarei appunto passato a Belen.
Solo che, tornato a casa, scopro che in effetti all’interno di una puntata di Tu si que vales, l’Italia’s Got Talent di casa Mediaset, Maria De Filippi, vai a capire perché, ha chiesto a Belen e Gerry Scotti di riproporre la famosa scena di Harry ti presento Sally, per andare a guadagnare poi punti per la loro gara, gara di cui ignoro totalmente regolamenti e funzionamenti. Quindi Belen si è infilata una parrucca bionda, megryanizzandosi, e ha invitato Gerry a raggiungerla al centro del palco con un signorile “Mi dovrai far venire lì”, fatto che ha interdetto la gelida Maria. Dopo di che i due hanno fatto del loro meglio, portando a casa una scenetta degna di una recita di fine anno alle elementari, se mai alle elementari si chiedesse ai bambini di simulare orgasmi, il tutto tra i fischi, veri e simulati, di Rudy Zerbi e Teo Mammuccari, gli altri due giudici del talent in questione. Una cosa imbarazzante, la scenetta, e forse ancor più imbarazzante la serietà con cui Zerbi e Mammuccari l’hanno commentata, stiamo parlando di Tu si que vales, di Belen Rodriguez e di Zerbi e Mammuccari, intendiamoci. Sul perché ci si aspettasse da Belen una prova recitativa degna di Meg Ryan mi sfugge, a parte la faccenda del sex symbol, ma quello che davvero mi lascia perplesso, assai più di quanto non sia stato il personaggio interpretato da Billy Crystal nel film di Rob Reiner, che per la cronaca da sempre confondo col compianto padre di Catherine Reitman, problema mio, è perché ci sia gente che passa il sabato sera a vedere una minchiata del genere, quando volendo si potrebbe passare il tempo a cercare il vecchio sex tape col gattino o qualche filmato d’epoca con Selen, oh, magari simulava anche lei, ma da professionista, al punto che ai suoi eventuali orgasmi simulati corrispondevano spesso parecchi orgasmi simultanei, potere del porno e del patriarcato.