Il mondo dello spettacolo ha le sue luci e le sue ombre. E quando si spengono le luci della ribalta, per una ragione o per l’altra, sa diventare particolarmente subdolo. Ne sa qualcosa Giorgio Ganzerli, attore e comico che ha alle spalle una carriera di tutto rispetto nel cabaret della “Milano da bere” tra gli anni ‘80 e ‘90, nella televisione fra Rai e Mediaset dove ha partecipato a trasmissioni come Zelig, Scatafascio, Scorie, Convention, Glob, l’osceno del villaggio o Maidiredomenica, è stato tra gli autori di Tisana bum bum, Bulldozer, Tribbù, Stiamo tutti bene e tanti altri, mentre a teatro ha lavorato per la regia di Renato Sarti, Massimo Navone, Mimmo Sorrentino, Gianni Williams, Bruno Fornasari e Massimo Donati. A un certo punto, però, qualcosa si è incrinato e oggi Ganzerli lavora come autista di camion. Come mai questo cambio radicale? Ce lo ha rivelato lui stesso, ma senza troppi rimpianti: “Non avevo più una Lira” ammette. “Mi ricordo di quando ho letto sul giornale di Marco Della Noce, che interpretava il capomeccanico Ferrari, che dormiva in auto e mi sono detto: pensa che io non ho neanche la macchina”. Così, dopo anni in cui il telefono ha smesso di squillare, ha deciso di cambiare vita: “Per certi aspetti sto meglio, non ho aspettative rispetto a quando ero costantemente alla ricerca di uno spettacolo, del programma, di un ingaggio”. Anche perché, ha sottolineato, “se sei in affitto diventa dura vivere a Milano”. A 59 anni ha un figlio, avuto dalla collega Alessandra Faiella con cui è divorziato, gli mancano pochi anni alla pensione e nel frattempo ci ha raccontato di quando si poteva vivere di serate nei locali tra città e il resto dell'Italia, delle frustrazioni di Aldo e Giovanni (prima che arrivasse Giacomo) per non aver ancora avuto successo, del pubblico spiazzato dalle battute di Maurizio Milano, di uno sketch di cui si vergogna ancora oggi con Cochi Ponzoni (“gli Spice Viados, parodia delle Spice Girls”), dell’opera teatrale di cui va più fiero (Salmodia della speranza con Moni Ovadia) e di quanto sa essere cinica la tv in certi casi: “Ci sono dei silenzi che la rendono molto vigliacca”.
Giorgio, partiamo dall’oggi. A cosa stai lavorando?
Ti stupirò. Niente che riguardi lo spettacolo. Faccio l’autista. Ho appeso… qualcosa al chiodo…
È una battuta?
No no, faccio l’autista di camion.
Come mai questa svolta?
Dopo un lungo periodo, abbastanza lungo, dovuto a problemi economici. Questa professione di attore e comico, in anni dove non si quagliava, mi ha spinto a fare altro, anche perché nessuno mi avrebbe mantenuto. Sono stati periodi di difficoltà, anche estreme, e alla fine ho mollato il colpo. Devo ammettere che ero un po’ saturo. Una vita all’inizio molto ricca e divertente, poi le opportunità sono andate scemando. Non solo per colpa degli altri, ho delle responsabilità.
Quando hai iniziato a guidare i camion?
Prima del Covid, circa 3-4 anni fa. Non avevo più una Lira, detto papale papale. Mi ricordo di quando ho letto sul giornale di Marco Della Noce, che interpretava a Zelig il capomeccanico Ferrari, che viveva in auto e mi sono detto: pensa che io non ho neanche la macchina.
La pandemia quindi non ha influito?
No, ero già abbastanza esaurito. Per tutta una serie di motivi mi sentivo svuotato. È difficile come mestiere e dopo anni dove non ho lavorato mi sono detto: sai cosa c’è? Io mollo il colpo. E devo dirti che per certi aspetti mi sento meglio. Non ho aspettative, a differenza di prima quando ero costantemente alla ricerca dello spettacolo, del programma, di un ingaggio. Se non hai nessuno che ti mantiene o una base economica solida è dura. Che può essere semplicemente una casa di proprietà e se sei in affitto diventa difficile vivere a Milano. Non è stato facile cambiare. Il più è fare il salto, adesso mi trovo bene.
Vivi a Milano da molti anni, ma sei originario di Modena.
Sì, vivo a Milano dal 1987. Ormai è più il tempo che ho vissuto a Milano che a Modena, anche se sono ancora legato a quella città dove vive la mia famiglia.
Modena è dove ti sei diplomato all’Accademia San Geminiano.
Esatto, ma finita la scuola mi sono trasferito a Milano per rivolgermi alla compagnia Quelli di Grock e ho cominciato come factotum: da tecnico a autista. A un certo punto mi sono infilato in uno spettacolo che è andato anche all’estero. Poi grazie a Pongo (Massimo Pongolini), che era già famoso partecipando a Drive In e al quale facevo da tecnico nei suoi spettacoli, mi fece conoscere Giancarlo Bozzo di Zelig. Era aperto da poco. Mi presentai e da lì cominciai quasi tutte le sere ad andare a vedere gli altri.
E come hai cominciato a esibirti?
Mi dicevano che avrei dovuto provare con il cabaret ma io, venendo da Modena, non pensavo ci fosse ancora. Mi sembrava qualcosa di datato, mi veniva in mente Macario. Poi ho iniziato scrivendo mie piccole cose, non sono andato subito a Zelig ma negli altri locali. A Milano ce n’erano parecchi. Il locale principale dove mi sono esibito all'inizio era il Sorpasso, dove incontrai anche quella che poi divenne mia moglie, Alessandra Faiella.
Alessandra Faiella con la quale hai condiviso il palco.
Abbiamo condiviso palchi e anche un figlio, che è l’aspetto più importante. A un certo punto Alessandra è andata a lavorare con Dario Fo per Il Papa e la strega e quindi ci siamo presi una pausa, poi abbiamo ricominciato. Sembra di parlare di un secolo fa, invece sono passati 30 anni. C’erano molti locali, ci vivevamo bene e senza fare la televisione. Adesso quel mondo lì è finito. Con Alessandra non stiamo più insieme, lei mi ha aiutato ma non poteva per sempre.
Gli anni '80 e '90 a Milano, dopo i '60 e i '70 di Cochi e Renato, è stata l'ultima grande stagione del cabaret.
Erano anni belli. Adesso non ci sono più locali del genere. Anche Zelig è molto sottodimensionato. È tanto tempo che non vado, non so come siano messi.
Com'era il rapporto con Zelig e gli altri comici?
Zelig è un soggetto privato che fai i suoi interessi, non puoi pensare di trovarci amicizia. Forse è questo l’errore che è stato fatto da altri, che poi si sono lamentati. Lo spirito iniziale dei fondatori non poteva continuare a lungo, è una industria che pensa ai propri interessi, né più né meno. Comunque, all’inizio era molto divertente. Avevo voglia di fare, di scrivere, di buttarmi in qualsiasi cosa. Ricordo che c’erano tantissimi comici che ci provavano. Quando ho visto Maurizio Milani la prima volta non ci credevo, era troppo assurdo. Il pubblico rimaneva basito. Alcuni ridevano, ma la maggior parte rimanevano spiazzati. Oppure Aldo e Giovanni, senza Giacomo. Erano in crisi perché non riuscivano ad avere più successo. Se non ci riesci ti deprimi. Ce l'hanno fatta grazie all’ingresso di Giacomo Poretti, oltre alla loro bravura. Ma a quei tempi ne soffrivano.
Cochi e Renato li hai mai conosciuti?
Ho collaborato a Scatafascio con Cochi Ponzoni. Abbiamo messo in scena una cosa vergognosa. Eravamo io, Paolo Rossi, Cochi e Cacioppo che interpretavamo gli Spice Viados, la parodia delle Spice Girls. Spero che non esista più nessuna documentazione di quella roba lì.
Poi è arrivata la televisione anche per te.
Bisogna essere onesti, Scatafascio è stato un flop. Non andò bene. C’erano tutti i migliori comici, a parte me, da Paolo Rossi a Aldo, Giovanni e Giacomo, Bebo Storti, Raul Cremona e tanti altri, eppure andò male. Così l’idea iniziale sparì per trasformarsi in una sorta di Avanti un altro.
Ti piaceva fare la tv?
Mi ha sempre dato ansia. Il problema è che mi rivedevo e per me era terribile. E devo dire che in tv ai tempi si facevano cose che oggi non si farebbero mai. Programmi come Buldozer, Convention o simili sarebbero impossibili da riproporre. È qualcosa che sembra antico anni luce, anche se è passato poco.
Oggi si parla molto di influenze politiche sulla tv, ma allora c'erano?
Si sentiva l’influenza della politica. Alcune cose non le dicevi, ti auto censuravi, perché sapevi che avresti passato dei guai.
Dal ‘94 in poi sono iniziati gli anni berlusconiani.
La Gialappa's Band ha preso in giro Silvio Berlusconi, ma era un gioco prestabilito per far vedere che c’era libertà di parola. Invece tutto quello che avresti voluto dire mica te lo passavano davvero.
Qual è stato il momento di rottura con il mondo dello spettacolo?
Un momento brutto è stato quando ero a Glob, l’osceno del villaggio con Enrico Bertolino. Alla nuova edizione chiamai per sapere quando stava per ricominciare e mi hanno detto che non sarebbe ripartito. Mi sembrava strano. Siccome un po’ di conoscenze me le ero fatte e le sarte sanno tutto prima perché devono preparare i vestiti, ho chiamato un’amica e l’ho chiesto a lei. E mi ha confermato che si sarebbe fatto, i costumi erano in preparazione.
Un atteggiamento un po’ subdolo?
Sì, ma non è capitato solo a me, ma a tutti. È normale che dopo un po’ si voglia cambiare e può far male, ma è peggio questo silenzio. Che è un silenzio vigliacco. Ecco, se devo dare una definizione della televisione è molto vigliacca.
Poi però sei passato al teatro impegnato.
Quando la comicità a un certo punto mi stava un po’ stretta. Erano anni in cui se interpretavi un personaggio dovevi portarlo avanti all’infinito. Così ho gravitato per qualche anno con il Teatro della Cooperativa, con qualche spettacolo e ho partecipato a diversi lavori di Mimmo Sorrentino, opere drammatiche e molto cupe ma molto interessanti. Sono tornato alla comicità con Zuzzurro e Gaspare ne La cena dei cretini.
Di cosa vai più fiero a teatro?
La salmodia della speranza con Moni Ovadia. Una messa laica in Duomo a Milano. Interpretavo un nazista, che diceva cose terribili, di fronte a una platea composta da ebrei con la stella di David sul braccio e c’erano dei video dei bombardamenti aerei. In Duomo era sempre pieno e ci avevano detto che se avessero eletto Papa il cardinale Carlo Maria Martini quello spettacolo sarebbe andato in tutto il mondo. Ma invece hanno eletto Ratzinger...
E se dopo questa intervista il mondo dello spettacolo tornasse a chiamarti?
È capitato poco tempo fa che mi chiamasse una ragazza per un cortometraggio e ho accettato. Un altro per un provino telefonico, con il video neanche di persona, ma non mi ha preso. Se c’è qualcuno che mi chiama va bene, però non mi metto più a cercare. Ma se mi propongono qualcosa, perché no?
Hai 59 anni, alla pensione quanto ti manca?
Mi mancano 4-5 anni. Continuerò con questo lavoro e poi mi ritirerò da tutto. Ho iniziato a lavorare a 15 anni, mi sembra di aver già dato abbastanza.
C’è un errore che non rifaresti?
Ne ho fatti tantissimi. Il mio peggior nemico sono stato io stesso. Non c'è un errore in particolare. Dicono che ho un carattere di merda. A me non sembra. Dicono anche che me la menavo, che ero giudicante, un po’ un rompicoglioni. Chissà, forse tornando indietro proverei a lasciar passare certe cose, ma alla fine è andata così. In fondo è la vita, chi sbaglia paga.