BeComedy UK – vi basti la pagina Instagram da 420mila follower – è una realtà forte e “dark” (che è anche il titolo dell’ultimo tour portato in giro dall’agenzia) che parla italiano, ride in italiano, ma guarda al mondo. Dietro quello che ormai è un brand garantito c’è Marco Di Pinto, 35enne originario di Barletta che ha trovato il suo Eden creativo a Londra, dove vive da 12 anni circa. Insieme ad Antonio Ricatti, che gestiva le serate pugliesi, ha fondato appunto Be Comedy. Una certezza, un marchio. Dove comedy non significa più cabaret o personaggi bonari muniti di battute televisive spesso prevedibili, bensì “stand-up”. Stand-up pura, non annacquata. Libera e cattiva. Lo abbiamo intervistato.
Partiamo dall'attualità leggera, Marco. Quella di Pier Luigi Bersani nei confronti del generale Vannacci può considerarsi tecnicamente una battuta? Perché adesso all'ex segretario Pd tocca un processo per diffamazione...
Mai avrei immaginato di poter un giorno dare ragione a Bersani. E mi chiedo: è possibile dare ragione a un c**lione che chiama c**lione un altro c**lione? Boh, forse sì.
Ora un passo indietro: come nasce BeComedy?
C’è tanta casualità. Quando avevo 17 anni ho scoperto un comico americano, Bill Hicks, che mi ha fatto letteralmente impazzire. Non avevo mai visto un uomo solo sul palco utilizzare parole così forti. Ma allora si può fare, pensai. Mi folgorò, io del resto venivo dalla tv italiana, dal cabaret, una comicità certamente diversa. Da quel momento mi si è aperto il mondo della stand-up comedy. Tanta libertà, nessun filtro. Approfondii anche George Carlin, così mi venne il talento di importare quel tipo di spettacolo anche in Italia. Quando mi sono trasferito a Londra i puntini hanno iniziato a unirsi. Organizzavo serate sia là che in Puglia. Le prime serate pugliesi erano durissime, ma gli esordi, su tutto il fronte, sono stati davvero faticosi. Tuttavia il format cresceva, riuscivamo a renderlo itinerante, e così nel 2017 è nata BeComedy, un’agenzia che organizza spettacoli di stand-up.
Come siete riusciti a ritagliarvi uno spazio a Londra?
Non è stato semplice. Perché se da una parte Londra si è rivelata ben più ricettiva di Barletta (sorride, ndr), è anche vero che ci siamo andati a scontrare con realtà esistenti da tempo. Abbiamo coltivato con pazienza la nostra nicchia intercettando i tantissimi italiani che abitano nella capitale inglese.
Anche la pagina Instagram, oltre all’agenzia, registra risultati importanti.
Sì, è esplosa durante il Covid. Ma nel 2021/22 è esploso tutto, le serate si moltiplicavano e i numeri social ci andavano dietro. La nostra è una pagina di divulgazione che promuove spettacoli, battute, personaggi.
Con Bill Hicks sempre come musa ispiratrice…
Sì, sono entrato anche in contatto con la famiglia, col fratello Steve. Le prime date che organizzavo (Milano, Monza, Pisa, ma anche lontano dall’Italia) erano serate-tributo in suo onore. Nel 2017 ho organizzato una serata anche al Comedy Store di Los Angeles, un palco calcato dai più grandi: Jim Carrey, Robin Williams, Louis CK. Sono partito forte, insomma. Ca**o, il resto potrà essere solo una me*da, ho pensato. Invece siamo riusciti a spaccare anche sui social. La svolta? Sottotitolare i video. Ebbene sì, perché in Italia con l’inglese abbiamo qualche oggettiva difficoltà. Oggi Be Comedy, oltre agli eventi dal vivo, organizza anche workshop per aspiranti comici.
A Londra che comici portavi?
Ho iniziato con Luca Cupani, che vive a Londra da tanti anni. L’idea, in partenza, era quella di avere comici internazionali. Poi abbiamo virato sulle serate in italiano e ora spingiamo la migliore stand-up italiana sia a Londra, al Comedy Store, che in tutta Europa (Amsterdam, Dublino, Bruxelles…). Gente come Max Angioni, Luca Ravenna, Stefano Rapone, Eleazaro Rossi… Siamo stati i primi a portare la stand-up italiana oltre i nostri confini.
Al di là del nume tutelare Hicks, quali sono negli ultimi 10-15 anni i comici che possono ergersi a modello per chiunque voglia fare stand-up come si deve?
Vado leggermente più indietro e parto da Louis CK e Bill Burr. Poi Andrew Schulz, esploso durante il Covid, che lavora alla grande sui social. Bravissimo col pubblico e anche nei pezzi. E ci va giù molto pesante. Dark humour puro, sebbene tengo a specificare: la stand-up non è sinonimo di dark humour. Sempre tra i più giovani, Mark Normand e Sam Morril. Tra le donne anche Taylor Tomlinson, che va forte anche se non mi fa impazzire.
E allora giù con l’inevitabile e trita questione: il politicamente corretto ha gambizzato la stand-up?
Si può ancora dire tutto, basta farlo con intelligenza. Vedo comici alle prime armi che partono beceri e cattivissimi pensando di fare black humour. Non è così, sono solo offensivi. Si pensano Jim Jefferies senza esserlo. Poi è vero che c’è la censura, pensiamo a quanti asterischi siamo tutti ormai costretti a mettere in mezzo alle parole per evitare di essere oscurati. Mi dicono: “Voi siete contro la censura e mettete gli asterischi”. E certo! Altrimenti la piattaforma – che gioca con le sue regole – mi tira giù la pagina. Tornando alla domanda: il contesto è importantissimo. E poi basta offendersi alla prima provocazione, se vieni a vedere uno spettacolo comico devi essere un buon incassatore.
Credi che questa generazione di comici stand-up italiani vedano ancora nella tv mainstream una sorta di obiettivo ultimo? O pensi che, viste le condizioni della medesima, ci abbiano messo una pietra sopra?
Mi piace paragonare la stand-up al rap. Quella fatta bene resterà sempre di nicchia, non arriverà mai in prima serata su Canale 5. Ma non è un problema, la tv non è l’unico mezzo che ti dà fama o popolarità. Se curi bene i social e il canale YouTube, puoi anche evitare di fare tv. La televisione mainstream è un obiettivo solo per i comici più pop, meno coraggiosi. Alcuni comici che promuoviamo hanno l’hanno già rifiutata, ma la loro carriera non ne ha risentito.
La tua opinione su Stewart Lee, per chi scrive il più grande genio comico dell’ultimo quarto di secolo.
Non lo apprezzo particolarmente, ma parlo attraverso un mio gusto personale. L’ho visto dal vivo e non mi ha impressionato. Qualcosa mi è anche sfuggito, a livello di linguaggio e riferimenti, ma l’ho trovato troppo politico. Detto questo, è una leggenda, un maestro. Nel mio giudizio c’è di mezzo il mio gusto, lo sottolineo. Tanto che nei nostri workshop mostriamo il suo pezzo sul furto di battute e l’altro in cui attacca Ricky Gervais quando questo dice che “non si può più dire nulla” Trovo anche interessante quello che ha detto proprio su Bill Hicks, sul fatto che la morte prematura di Hicks abbia regalato a Bill quell’immortalità a cui tutti i grandi comici ambiscono.
Novità in vista?
Beh, a novembre io e Tiziano La Bella usciremo con un libro che traccia la storia della stand-up comedy. Vorremmo farlo diventare la Bibbia del genere.