La foto della bambina di Kiev con lecca-lecca e fucile è presto diventata un’icona - simbolo della resistenza ucraina all’invasione dell’esercito russo. Nove anni, nastrini blu e gialli, i colori della bandiera nazionale, ad adornarle i capelli, lo sguardo rivolto all’orizzonte del possibile fuoco “nemico”. Il fotografo Oleksii Kyrychenko, racconta che l’immagine è lì a mostrare sua figlia. Lo scatto giunge dal fronte della capitale, Kiev. “Il fucile è mio – dice ancora – e gliel’ho dato scarico”. Aggiunge: “Lasciate che la foto venga condivisa. Ho fatto questo scatto per attirare l’attenzione del mondo sull’aggressione russa in Ucraina”. Prevedibilmente, la foto di Oleksii Kyrychenko è diventata virale. Condivisa sui propri social anche dall’ex presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Su Twitter, l’ex primo ministro della Polonia dal 2007 al 2014, postandola, annota: “Per favore, non ditele che sanzioni più severe sarebbero troppo costose per l’Europa”.
Spiace dirlo, eppure la migliore riflessione, perfino doverosamente emotiva e segnata dalla partecipazione, sulla foto della bambina-ucraina-con-fucile-e-lecca-lecca trascende la tragedia particolare della stessa aggressione dell’Armata russa di Putin contro uno stato sovrano. Andrebbe infatti contemplata nell’al di là d’ogni possibile adesione al suo valore simbolico, al peso emotivo che essa assume, di più, che, giustamente, pretende. Secondarie, non rilevanti, perfino le considerazioni che si possa trattare di un’immagine “costruita”, uno gesto mediatico rispondente a una chiara manipolazione. Ossia che un genitore, chiedendo alla figlia minore di mettersi in posa, ne abbia “utilizzato” l’infanzia, l’innocenza. Secondaria perfino, semiologicamente parlando, che la si assimili al registro storico delle foto di “propaganda”, dunque ai molti esempi di comunicazione ideologica, in quanto caricata di un sottotesto ulteriore “partigiano”, bellico. I giornali, i media, i vecchi “rotocalchi”, da sempre, come indica la celeberrima foto di Robert Capa dove appare l’istante del miliziano morente nella guerra di Spagna, fronte di Corbova, 1936, pubblicata dapprima dalla rivista francese “Vu” e infine su “Life” nel luglio 1937, hanno fatto altrettanto proprie le immagini dell’infanzia in armi, in guerra. Sia detto nonostante la foto del miliziano si accompagni a un infinito dibattito sulla sua presunta non autenticità, così per amore di semplificazione visiva, narrativa e politica. Recita lo slogan-manifesto dell’Agenzia Magnum: “Una foto vale più di mille parole”. Le immagini infatti hanno il potere assoluto, quasi magico, di riassumere la storia in tempo reale, nella sua immediatezza, raccontando le occorrenze tragiche delle cronache di guerra; in questo caso dell’aggressione russa all’Ucraina.
Nell’esatto momento in cui osserviamo la foto della “nostra” bambina, provando “vicinanza”, empatia, adesione a ciò che mostra nel suo profondo, dobbiamo sapere altrettanto che, nell’opposto polo della guerra, ideologicamente, umanamente a noi distante, lontano, vive, non meno presente, un’altra ideale foto che corrisponde alla medesima adesione emozionale; ciò accade anche se noi, al momento, ignoriamo lo scatto dove appare l’altro, il bambino “nemico”. Facendo ritorno ancora ai rullini di Robert Capa nella guerra di Spagna, in questo nostro caso, potremmo mettere a confronto la foto dove si scorge un piccolo miliziano repubblicano: un fucilino giocattolo in spalla, la minuscola giberna e le buffetterie sopra il maglioncino di lana invernale abbottonato fin sul collo, la bustina del Battaglione “Acero” sul capo, stampigliata con l’acronimo UHP, “Uníos Hermanos Proletarios”; Barcellona, 1936. Molti di noi, in nome di un sentire “civile”, siamo amorevolmente risucchiati dallo sguardo di quel bambino che sentiamo prossimo, aderiamo alla “sua” guerra, ne riconosciamo lotta antifascista, il suo “No pasaran!”.
Nello stesso momento, sul fronte opposto, nel bando franchista, ovvero fascista, appare invece la foto del piccolo Restituto Valero, dove era nato durante l’assedio, in braccio al colonnello difensore dell’Alcázar di Toledo. La sua immagine, lui a due anni, era stata utilizzata dalla propaganda franchista. Allo stesso modo del bambino della Repubblica, anche quell’altro appare in divisa militare, sebbene da “legionario”, due suore sembrano sorridergli alle sue spalle, ne cantano in coro l’affetto. Ogni fronte ha insomma la “sua” foto dinanzi alla quale commuoversi, manifestare retorica, versare lacrime, adesione propagandistica. Non occorre aver letto Roland Barthes, semiologo, ovvero saper decifrare i segni, per comprendere questa semplice, simmetrica, verità delle cose. Chi volesse però porre il nodo della “parte giusta”, sappia che, una volta adulto, Restituto, divenuto da adulto ufficiale, capitano paracadutista, si distinguerà per un pronunciamento antifranchista, ritrovandosi espulso dall’esercito stesso per aveva aderito alla Unión Militar Democrática. Restituto Valero, “El Niño del Alcázar”, è morto 83enne nel marzo del 2020. Del piccolo miliziano fotografato da Capa nulla sappiamo, neppure il nome, il destino, ci resta il suo sguardo proprio dell’infanzia. Per la bambina in armi a Kiev sogniamo ora la pace, di più, la vittoria sui crimini altrui.