Si sta facendo ancora un gran parlare, almeno tra appassionati di musica, della notizia che vuole Damon Albarn, mente e voce di Blur, Gorillaz e un numero troppo elevato di situazioni per essere tutte citate qui, reo confesso di una sorta di furto perpetrato ai danni di Omnichord. La questione, parlo del presunto furto, è semplice: in un video apparso in rete Damon fa sentire a Zane Lowe, che lo sta intervistando per il suo podcast, come il tipico incedere della megahit dei Gorillaz Clint Eastwood sia preso di sana pianta da un preset di Omnichord, Suzuki OM-300, senza neanche una minima variante. In realtà non è la prima volta che Damon Albarn racconta questa cosa, ma il vederglielo fare così impunemente, anzi, divertito, ha decisamente fatto sbroccare un numero incredibile di hater. La cosa che in effetti più colpisce del video è il divertimento con cui il cantante dei Gorillaz fa ascoltare a Lowe il preset, andando poi a rapparci su la linea melodica, come se prendere un preset lì da anni e costruirci su una hit da miliardi di stream fosse la cosa più naturale del mondo. Il fatto che quello strumento fosse in commercio dal 1981, con dentro quella linea di piano e di basso, su quel determinato ritmo, e che nessuno prima dei Gorillaz, venti anni dopo, abbia cavato fuori quella hit da quella macchina, potrebbe farci intuire che in effetti Damon Albarn è il genietto multiforme che col tempo abbiamo imparato a conoscere, questo a prescindere dal noto inciso “l’artista mediocre copia, il genio ruba”, in questi giorni usato da molti aficionados del nostro per difenderlo, sempre nell’agone fangoso dei social. Del resto, e qui non si può che scendere ancora più a fondo coi piedi nel fango, che in musica da tempo immemore si sia inventato poco è faccenda ormai tanto assodata da non meritare che una citazione en passant, le note sono sette, la retromania di Simon Reynold, a seconda che si voglia passare per l’uomo della strada (le note sono ben più di sette, dai) o quelli fighi che citano il nome figo col suo libro più figo.
Ora, partendo dal presupposto che il giro estrapolato dalla macchina Suzuki in questione da Damon Albarn non sia un giro armonico abusato, che so?, il giro di Do, fatto che giustificherebbe una certa scarsa originalità nella melodia, ma un preciso preset preso e replicato, resta che Clint Eastwood non sia solo quel riff, ma tutto quello che ci è finito intorno, ivi compreso il videoclip geniale disegnato dal fumettista Jamie Hewlett, parte integrante della band che inizialmente vedeva con Albarn, Dan The Automator e Del Tha Funkee Homosapien, negare l’evidenza sarebbe come pensare che la mela di Newton è stato un momento meno importante per la storia della fisica perché le mele c’erano sin dalla notte dei tempi, citofonare Adamo e Eva per avere conferma.
Tanto quanto non è stato il trovarsi al posto giusto nel momento giusto, lì a dormicchiare sotto un albero nella calura di un dopopranzo estivo, a aver portato a scrivere nel 1687 la legge della gravità, dubito che aver cavato fuori dall’Omnichord quel determinato preset sia stata solo una gigantesca botta di culo, Albarn ha dato modo di dimostrare il suo talento e il suo ingegno con un numero imprecisato di canzoni e di progetti, certo Clint Eastwood è una delle sue creazioni più fortunate, ma non certo l’unica.
Sulla questione del furto, del rubare (così viene raccontato oggi questo passaggio, per altro tirato fuori dal diretto interessato senza che la cosa fosse stata scoperta da nessuno, compreso chi quel preset ha composto, i preset sono un assemblaggio di linee di basso, armonie e ritmi costruiti seguendo qualcosa di non troppo dissimile da quel che oggi si fa sotto la direzione degli algoritmi, non certo composizioni frutto di ispirazione), si potrebbe aprire un discorso a parte, perché è in effetti del genio prendere le intuizioni non sviluppate di chi genio non è e elevarle all’ennesima potenza, l’idea spesso più forte della sua messa in opera, il bacio della buonanotte dato dal genio capace di rendere unico qualcosa che era già lì sotto gli occhi di tutti, o di alcuni, per farne qualcosa di prezioso. Questo, appunto, ci dovrebbe dire senza possibilità di essere smentiti, ma neanche di essere messi in dubbio, che il tanto chiacchierare che oggi si fa sull’invasione di ChatGPT, il prototipo di chatbot basato su intelligenza artificiale e machine learning ideato da OpenAI, atto a mettere in connessione umani e intelligenza artificiale, è in realtà sport sterile, non è ipotizzabile che la scintilla del genio alberghi dentro le macchine, capaci sì di creare hit a tavolino, scrivere articoli al posto di stagisti sottopagati, ipotizzare trame avvincenti per serie tv che abbiano tutti gli ingredienti giusti al punto giusto, ma assolutamente impossibilitate a vedere quel che visibile non è perché ancora non visto: l’arte, signora mia.
Immagino che in questo momento ci siano detrattori in odor di nerditudine che staranno vagliando una a una le tracce che compongono il repertorio di Blur, Gorillaz, The Good the bad & the Queen, Rocket Juice & the Moon e gli album solisti del nostro, pronti a dimostrare con la tipica pignoleria che solo chi parte da una tesi per poi andare a trovare le pezze d’appoggio che le confermino, immagino nel mentre Albarn, impegnato nella promozione del nuovo album dei Gorillaz, Cracker Island, starà già pensando a chissà quanti nuovi progetti, del resto uno che ha messo su band con Paul Simonon dei Clash, Flea dei Red Hot Chili Peppers e Tony Allen, senza contare tutte le sue altre collaborazioni, magari proprio usando ChatGPT o altre diavolerie del genere (concessione al mio boomerismo), mica potrà stare troppo con le mani in mano.