Iniziano i live (dunque le fasi finali) di X Factor. Si scorrono i nomi (o si guardano le foto) dei concorrenti e scatta il riflesso pavloviano della polemica: “le donne sono solo due su dodici”. Sessismo. Maschilismo. In sintesi, vergogna. La disparità (per chi non sa parlare di altro, la “discriminazione”) trae origine dal fatto che quest’anno nel talent show in onda su Sky sono state abolite le categorie (under uomini, under donne, over e gruppi) e dunque i giudici nelle proprie scelte non sono stati vincolati da alcun cromosoma XX vs XY Factor. Si è deciso quindi di giudicare gli artisti per questioni artistiche. Una scelta di apparente normalità che però appare rivoluzionaria in un mondo sempre più preda delle ossessioni identitarie, che oltre alla politica (con quote rosa, doppia preferenza di genere e altre forzature) ha contagiato quasi ogni branca dello scibile umano, compresi i film, considerando che per aspirare all’Oscar ora un cast deve assomigliare obbligatoriamente alle barzellette di una volta (tra i protagonisti almeno uno deve essere asiatico, ispanico/latino, nero/afroamericano, indigeno/nativo/nativo dell’Alaska, mediorientale/nordafricano o nativo delle Hawaii o di altre isole del Pacifico, o in alternativa almeno il 30% degli attori deve essere composto da donne, minoranze razziali, Lgbtq, persone con disabilità cognitive o fisiche, o che sono sordi o con problemi di udito).
Giudici e produzione sono stati chiamati a giustificarsi (“ma di cosa?”, avrebbe dovuto essere la risposta). È il perfetto esempio della schizofrenia del dibattito pubblico del politicamente corretto: o le donne sono capaci quanto gli uomini di emergere, dunque non servono le quote e se emergono gli uomini erano evidentemente più meritevoli, o le donne sono “inferiori” e dunque c’è bisogno delle quote. In sintesi, o ha ragione X Factor, o ha ragione il prima acclamato e ora vituperato storico Alessandro Barbero, la cui tesi è che le donne risultino in media meno aggressive e spavalde degli uomini, quindi svantaggiate negli ambienti più competitivi.
“Ci è stata data la possibilità di scegliere una squadra – ha spiegato Emma Marrone, a sua volta unica donna in giuria (che ha in squadra Vale Lp, unica esponente femminile assieme a Nika Paris, che è nel team di Mika, mentre per Manuel Agnelli e Hell Raton ci sono solo “fiocchi azzurri”) – e abbiamo fatto scelte artistiche sulle quali lavorare con la massima cura. Forse le donne che si sono presentate non erano pronte per i live. Buttare sul palco una persona non pronta ad affrontare i live e ciò che succede dopo è uno spreco di talento ed è qualcosa che non porta niente a nessuno. Fino a quando ci chiameranno quote rosa, rimarremo l’anello debole della società”. Il talento non ha sesso, come non lo ha la capacità politica, solo per rimanere in ambienti in cui le quote sono vigenti. Hanno invece sesso, per esempio, i minatori: sono tutti maschi e stranamente non c’è una femmina che si lamenti.
Allora, è il caso che gli indignati in servizio permanente si decidano: ha ragione X Factor o ha ragione Barbero? Una cosa esclude l’altra. E, sempre rimanendo sull’altro dramma del giorno, come possono gli stessi che si stracciano le vesti per l’affossamento del Ddl Zan, pensato a tutela ulteriore di alcune minoranze, bollare e soprattutto trattare come terroristi, estremisti o, nella migliore delle ipotesi, come parassiti a cui farla letteralmente pagare i no vax e i no green pass, ossia altre minoranze che come i gay o i trans non infrangono alcuna legge, ma che a differenza degli Lgbtq sono oggettivamente e pesantemente discriminati in primis dallo Stato?