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X Factor più che un talent musicale
è diventato un corso motivazionale

  • di Gianmarco Aimi Gianmarco Aimi

17 settembre 2021

X Factor più che un talent musicale è diventato un corso motivazionale
La prima puntata del talent di Sky ha dimostrato tutti i limiti di un format ormai arrivato al capolinea. Dai giudici ai concorrenti, tutti sono talmente piegati al dio “mercato discografico” da risultare già mangiati e digeriti dal pubblico. Infatti, basta scorrere i commenti sui social della trasmissione e la recensione potreste comporla come un puzzle con le critiche degli utenti. Ma una parola buona i giudici non la negano a nessuno, facendo annegare il telespettatore nella noia mortale

di Gianmarco Aimi Gianmarco Aimi

“Purtroppo è cambiato (in peggio) e non è riuscito ad attirare la mia attenzione come le passate edizioni (già l'ultima mi aveva deluso). Tutto troppo artefatto, precostruito, la maggior parte dei concorrenti (forse tutti) di ieri hanno già una carriera musicale e forse discografica ed era ben visibile a occhio nudo. Sono lontani i tempi in cui una sconosciuta sedicenne di nome Francesca Michelin impressionava la giuria con la sua voce (era famosa solo nel suo gruppo parrocchiale). Punto”. Il bello di vivere nel 2021 con a disposizione i social è che a volte le recensioni te le trovi già fatte. Questa, impeccabile, arriva direttamente dai commenti della pagina Facebook di X Factor a firma di Francesco D'Effremo Barabba. Non so chi sia, sul suo profilo si definisce “Bello in maniera esagerata, Simpatico, Intelligente, Colto ma soprattutto Modesto”. Tralasciando l’estetica, che di questi tempi è un terreno particolarmente scivoloso, di certo ha colto nel segno sulla prima puntata del talent di Sky ormai arrivato (o trascinatosi) alla quattordicesima edizione.

Il format è ormai trito e ritrito, la piattaforma su cui va in onda è obsoleta per ospitarlo, i quattro giudici, Manuel Agnelli, Emma Marrone, Mika e Hell Raton, sono ottimi artisti - ognuno nel proprio campo - ma appaiono troppo vincolati ad un copione scritto dagli autori dal quale non riescono (o non vogliono) mai uscire. Sui loro giudizi ci torneremo più avanti. I concorrenti, intanto, in questo brodetto ormai intiepidito, hanno mangiato la foglia e appaiono più scafati di chi dovrebbe giudicarli: sanno come vestirsi, come atteggiarsi, quali brani portare, come parlare o se è preferibile stare in silenzio. E sono tutti preparatissimi. Addirittura, i più scarsi sembra che abbiano avuto un giudizio preliminare da parte di qualcuno per livellare le storture più evidenti, infatti non si stupiscono delle critiche perché l’importante è comunque apparire.

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Nella prima edizione in cui sono sparite le categorie e le etichette, la vera assente non giustificata è la musica. Non perché manchino i talenti, ma perché il talento appare già instradato verso la commercializzazione. Quindi già mangiato e digerito. Dei buoni prodotti musicali pronti per il mercato discografico, in grado forse di durare il tempo di un singolo per poi ricadere nel dimenticatoio. Quel che manca davvero è l’ispirazione. In questo profluvio di standardizzazioni (tecniche ed estetiche), dove le proprie qualità sono sempre al servizio del “percorso discografico”, non c’è niente che venga fatto a perdere, nulla che si esprima per una esigenza reale al di là delle mode e delle tendenze. Basta prendere a esempio i Maneskin, l’ultima scoperta di valore a X Factor. Chi nel 2017 avrebbe scommesso un euro sul ritorno del rock? Nessuno, dite la verità. Eppure, quei quattro ragazzini – dotati di talento e buona volontà per svilupparlo – presero la cosa più vecchia in circolazione e la resero rivoluzionaria. Non a caso, a X Factor arrivarono secondi mentre in seguito hanno stravinto Sanremo e l’Eurovision fino a diventare una band globale. È la naturale conseguenza di questo atteggiamento. Di chi, fregandosene del mercato, alla fine lo ha conquistato. Nel talent di Sky, i concorrenti presenti finora hanno dimostrato un comportamento opposto: so cosa vogliono da me e glielo porto. Il risultato: tanta buona volontà senza emozioni.

Senza contare i giudizi di chi sarebbe chiamato a valutare, che potrebbe avere il merito di indirizzare le esibizioni successive. Il problema è che qualcosa di buono lo trovano in tutti, senza esclusioni. Anche in chi si presenta con una base ridicola e sbiascica quattro frasi in rima. Un po’ di simpatia non si rifiuta a nessuno. Non è più una selezione per trovare un artista (se mai lo è stata), ma un corso motivazionale. In fondo, se non tutti diventeranno musicisti, in tanti potranno convertire il quarto d’ora di celebrità sui social. Tutto progettato per il qui e ora. Con buona pace dell’arte, che dovrebbe invece puntare all’assoluto. In Inghilterra il suo creatore, Simon Cowell, dopo 17 edizioni ha deciso di chiudere i battenti. In Italia teniamo duro, ma visto l’andazzo non sembra mancare tanto alla fine di un format che ha fatto il suo tempo.

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