Il Ddl è stato fermato al Senato, ma in realtà ha già ottenuto quello che voleva ottenere. O meglio, al di là dei protagonismi dei politici o dei personaggi dello spettacolo – che possono essere dispiaciuti per interesse meramente personale -, gli attivisti per i diritti civili hanno raggiunto il loro scopo. Ancor più nel concreto, le persone che si sentivano discriminate, da quando si è aperta la discussione a oggi, possono sentirsi molto meno discriminate e con il passare del tempo la situazione sembra sempre più in via di miglioramento. Cosa mi rende così sicuro di questa tesi? Che basta guardarsi intorno, nella società reale e in quella virtuale, per capire che la questione, prima che giuridica, era culturale. E a livello culturale il mondo è cambiato e sta cambiando. È vero, chi scrive è bianco, eterosessuale, cisgender (che non ho ancora ben capito che vuol dire, ma da quel poco che ho capito credo di farne parte), non si è mai sentito discriminato per i propri gusti sessuali e probabilmente non può comprendere il travaglio di chi fino a ieri veniva deriso o escluso per questioni che dovrebbero essere private, personali e intime, quindi slegate da qualsiasi altro aspetto pubblico. Ma è proprio la gente come me a essere cambiata, grazie a una nuova sensibilità su tematiche che prima davamo per scontate – ancorati a stereotipi del passato - e che spesso scadevano (in particolare all’interno del “branco”) nella goliardia o nello sberleffo. Non era questo lo scopo?
Senza entrare in tecnicismi, anche prima della “tagliola” che ha scontentato molti, eravamo così sicuri che una legge avrebbe davvero punito certi comportamenti? Ed eravamo così sicuri che, in una macchina della giustizia già ingolfata, il percorso giudiziario sarebbe stata la via migliore per dirimere certe questioni? In alcuni casi probabilmente sì, nella stragrande maggioranza probabilmente no. Guardiamo invece cosa ha scatenato questo dibattito durato oltre un anno in Italia e che in altri paesi è in corso da tempo. Per farla breve: chi discrimina o compie atti deplorevoli verso i diritti civili delle persone viene sommerso dalla riprovazione sociale se non addirittura cancellato (ricordate la famosa cancel colture?). Non solo sui social, dove delle vere e proprie shit storm si abbattono su chi è responsabile di determinati atteggiamenti, ma persino nella realtà dove gli utenti, i consumatori, i cittadini ormai decidono con grande cognizione di causa chi considerare meritevole di essere ascoltato, da quali aziende acquistare prodotti e servizi e a quali modelli di comportamento aderire di fronte agli altri. Esiste ancora chi, consapevolmente o meno, discrimina sulla base della sessualità, del colore della pelle o di altri elementi slegati dal merito? Sicuramente sì. Sono una maggioranza influente in grado di determinare qualcosa? Decisamente no. Non facciamoci distrarre dal risultato parlamentare del Ddl Zan, perché la nostra classe politica sempre meno è in grado di rappresentare il cosiddetto “Paese reale”. Ne abbiamo avuta la riprova alle ultime elezioni, con la disfatta dei partiti che hanno inseguito i no vax, i no mask e i no Green Pass per poi trovarsi alle urne con un pugno di mosche. In fondo, anche nella lunga strada dei diritti, è sempre valida la massima di Lao Tzu: “Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce”, ma quel rumore è ormai così flebile che possiamo distintamente goderci la melodia della crescita di una nuova consapevolezza civile.