Sulle varie questioni Stefano Zecchi ci ha ricordato che “est modus in rebus (“esiste una misura nelle cose”). Al professore ordinario di Estetica dell’Università degli Studi di Milano e volto noto della tv grazie ai suoi interventi basati su una grande preparazione – conditi da qualche battibecco -, abbiamo posto alcune domande sugli argomenti di più scottante attualità e, per ognuno di essi, ci ha dato una chiave di lettura originale. Dal Green pass che, in contrasto con altri intellettuali come Massimo Cacciari o Giorgio Agamben, per lui non è affatto uno strumento che nega la libertà individuale (“semmai è la gestione della pandemia a livello sanitario che la nega”), al vaccino che considera “il fuoco di sbarramento al virus” e sul quale auspica “la vaccinazione obbligatoria per tutti”. Passando per i femminicidi, tema sollevato anche dalla frase infelice della conduttrice Barbara Palombelli, che il professore addebita alla “mancanza di educazione sentimentale, che si basa prima di tutto sull’educazione estetica”. E ancora, ha confermato la sua contrarietà al Ddl Zan perché “l’educazione sessuale non potrà mai sostituire quella sentimentale” così come nutre ben più di una perplessità sull’utilizzo delle parole “inclusive” da parte della scrittrice Michela Murgia: “Mi sembra una esasperazione molto superficiale”. Ma si batte, invece, contro l’utilizzo ormai indiscriminato degli inglesismi: “Dove io sono presidente ho chiesto che non vengano usati, ma poi gli algoritmi ci penalizzano”. Fino alle conseguenze della Dad per gli studenti che non lo preoccupano più di tanto, a differenza “del divario socioeconomico che ha messo in risalto”. Mentre sul referendum che chiede la legalizzazione della cannabis, da padre di un figlio 17enne, si è detto “impreparato, imbarazzato e terrorizzato” per cui, invece di prendere una posizione netta, ha preferito ricordarci che, appunto, di fronte ai vari problemi “esiste una misura nelle cose”.
Professore, diversi intellettuali come Massimo Cacciari o Giorgio Agamben si sono detti preoccupati del Green pass che considerano una misura illiberale. Lei che ne pensa?
Che abbiano esagerato, inventandosi situazioni inesistenti. Semmai il problema del Green pass rimanda a una gestione molto approssimativa del Covid da parte del ministro Roberto Speranza. Il Green pass non diminuisce la libertà, nessuno che lo esibisce si può sentire minacciato nel farlo. È un discorso pretestuoso e narcisistico. Non c’è nessuna obiettività nel paventare libertà negate.
Quindi lei è più preoccupato della gestione generale della pandemia da parte del governo, rispetto al singolo provvedimento?
Ma certamente, anche perché siamo in una situazione drammatica di emergenza, con un virus assolutamente imprevisto e che ha una potenza invasiva mai vista prima. I paragoni con la Spagnola non reggono, visto che quella era un fenomeno tutto europeo. Questo ha fatto fuori milioni di persone nel mondo. Il Green pass rispecchia soltanto la mancanza di efficienza e intelligenza dell’amministrazione sanitaria. Si guarda il dito che punta alla luna e non alla luna, che sarebbe invece il modello di gestione della sanità.
Che cosa non le torna in questo modello di gestione della sanità?
Per esempio, perché il Green pass serve per i treni Frecciarossa e non per i regionali? È evidente, se lo obbligo ai pendolari si ferma il lavoro. Così come le metropolitane che sono ancora stracolme. Queste sono contraddizioni che mostrano l’inefficienza della nostra sanità. È inutile buttare tutta la questione in modo grottesco su nevrotici castelli in aria legati al complottismo sanitario internazionale, oppure dire che il Green pass lede i principi costituzionali. È il virus, semmai, che lede i principi costituzionali. Il vero fuoco di sbarramento contro il virus è il vaccino e per quanto mi riguarda io vorrei una legge che renda obbligatorio a tutti il doversi vaccinare.
Non sarebbe una imposizione ancora più forte del Green pass?
La minaccia alla libertà è la gestione della sanità, non il Green pass. È questa la miopia di tanti cosiddetti intellettuali che parlano in questi giorni, i quali esibiscono i loro narcisismi dicendoci che due più due non fa quattro. Ma capisco perché hanno tanto risalto, dipende da come è impostata la comunicazione, anche se poi la gente comune se ne frega. I docenti che hanno firmato contro il Green pass sono poco più dell’1%, se la cantano e se la suonano. Ma poi entra in gioco il sistema mediatico, soprattutto televisivo, che deve costruire situazioni conflittuali e finiscono per ingaggiare, nel vero senso della parola, questi “intellettuali” per fare audience.
Rimanendo alla televisione, avrà seguito le polemiche innescate dalla frase di Barbara Palombelli sui femminicidi: “A volte è lecito anche domandarsi: questi uomini erano completamente fuori di testa, erano completamente obnubilati oppure c’è stato anche un comportamento esasperante, aggressivo anche dall’altra parte?”. Lei come la interpreta?
Non è folle la frase, mi sembra soltanto detta male. Il tema del femminicidio è impressionante e dimostra che ogni uomo maschio è fuori da ogni educazione sentimentale, che si basa prima di tutto su una educazione estetica, la quale ti insegna il rispetto dell’altro, prima di tutto della sua immagine. Su questa base costruisci l’educazione sentimentale. L’educazione complessiva non può essere isolata a degli atteggiamenti particolari. Quella di Barbara Palombelli è soltanto una questione mal posta che ha suscitato legittimamente delle perplessità. I problemi sono ben altri…
Quali?
Che bisogna tornare a chiedersi quale sia l’educazione sentimentale dei paesi occidentali. In quelli orientali sappiamo che la donna viene massacrata, come ci ha dimostrato il caso della povera ragazza pakistana Saman, di cui non si parla più. Ma non sottovalutiamo la nostra di educazione che è carente sul piano sentimentale. Insisto su questo tema perché si basa sull’educazione estetica, per la quale non si potranno mai utilizzare degli escamotage per evitarla sostituendola con una educazione sessuale come vorrebbe fare per esempio il Ddl Zan.
Sul disegno di legge Zan lei rimane quindi molto scettico?
Certo, perché non potrà mai supplire l’educazione sentimentale.
Un’altra battaglia sui diritti civili sembra consumarsi sull’uso delle parole. Come sta portando avanti la scrittrice Michela Murgia con l’uso degli asterischi o della lettera “Schwa” per rendere la lingua italiana più inclusiva. Può essere utile o è un altro escamotage?
Trovo che siano delle esasperazioni. La parola ha certamente una cogenza sul pensiero e il pensiero una cogenza sulla parola. Ma c’è una complessità del logos che deve tornare a essere relazione sicura tra pensiero e parola. Non puoi isolare una parola dal pensiero così come non puoi isolare un pensiero dalla parola. Ce lo insegnano da Da Platone a Wittgenstein. In questo senso, ciò che sostiene Michela Murgia mi sembra molto superficiale. La questione del linguaggio è un problema serio, ma va affrontato con profonde riflessioni attraverso la grande tradizione filosofica e di linguistica applicata.
Mi sembra di capire che non le possano andare a genio neppure termini come catcalling, body shaming o body positive. O sbaglio?
Più che altro, qui si apre un’altra questione che mi sembra più importante. Io sono nel Consiglio Superiore della Società Dante Alighieri e ho chiesto ufficialmente che nei documenti pubblici non sia utilizzato per quanto possibile l’inglese. Un provvedimento che ho preso d’autorità anche come presidente del museo della scienza di Trento. Non ci dovrebbe essere una parola inglese che sostituisce quella italiana, se esiste. Ma qui si è sollevato un grosso problema e molto attuale, in particolare al consiglio della Dante Alighieri: che se in tante circostanze non si una l’inglese non si entra più nelle varie piattaforme o si viene penalizzati. La parola inglese, insomma, è ormai diventato un link per aprire altri link e così via. Per cui alla Dante Alighieri, che ha appena rinnovato la piattaforma, ha dovuto giocoforza utilizzare queste parole anglofone.
Siamo schiavi degli algoritmi?
Esatto! In più è divertente che in Europa usiamo la lingua della nazione europea che è voluta uscire dall’Europa. Sono appena tornato dalla Francia, dove invece sono molto sciovinisti in questo senso. Se lei usa la parola “computer” non le rispondono neanche, bisogna utilizzate “ordinateur”. A me questa idea non dispiace, solo che la globalizzazione ci spinge sempre di più a utilizzare linguaggi che non sono i nostri. L’Italia in particolare, che è definita dalla poesia, dalla narrativa, dall’arte, pagherà un prezzo molto alto nell’abbandono del proprio linguaggio.
Un linguaggio che dovrebbe essere insegnato a scuola, un altro settore che è stato scosso dalla pandemia. C’è chi sostiene che la Dad abbia causato danni ai ragazzi.
Ho seguito con molta attenzione la questione, anche perché mio figlio ha 17 anni e quindi sento tema molto vicino. Mi sono accorto che all’inizio i ragazzi hanno patito moltissimo, non sapendo come gestirla sul piano della comunicazione e della relazione. Poi, con una disinvoltura tipica dei giovani, c’è poco da fare gli ipocriti, la Dad ha cominciato ad andargli benissimo. Non è vero che non avessero socialità, con i telefonini ormai si sentivano a ogni ora e si trovavano al pomeriggio in giro. Senza contare che per andare alla lezione delle 8 mio figlio, come tanti altri, poteva svegliarsi cinque minuti prima. E poi si sono ingegnati, hanno inventato delle App in grado di disturbare il segnale, per cui facevano saltare le interrogazioni. Quindi, capisco che possa avere avuto riflessi pesanti per certe persone sole, isolate e per chi non ha avuto un proprio spazio a disposizione. Ma la Dad credo abbia messo più in risalto il divario socioeconomico tra i ragazzi che ancora esiste.
Suo figlio per caso le ha anche parlato del referendum per la cannabis legale?
Mi coglie impreparato, imbarazzato e terrorizzato.
Come mai?
Impreparato perché non ho i termini medici e psicologici per affrontare la situazione. In più la vivo direttamente con mio figlio, per cui sono terrorizzato che possa entrare in una spirale pericolosa. Io sono del parere che se fumi uno spinello non ti fa niente, però se su persone fragili diventa una occasione continua di auto-esaltazione e suggestione è vero che ci può essere il passaggio alle droghe pesanti. Come sempre “est modus in rebus (“esiste una misura nelle cose”), per cui ci vuole la giusta mentalità, l’intelligenza e una psicologia forte per fumarne solo uno ogni tanto senza andare oltre. Questo è approssimativamente quello che penso e, sotto sotto, anche quello che spero.