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Diaz, da Netflix alla realtà
(e alla promozione di alcuni responsabili)
si riapre la ferita

  • di Alessandro Mannucci Alessandro Mannucci

9 novembre 2020

Diaz, da Netflix alla realtà (e alla promozione di alcuni responsabili) si riapre la ferita
Proprio mentre vengono promossi due agenti che nel 2001 furono condannati per l’irruzione nella scuola definita da “macelleria messicana”, su Netflix viene riproposto il film di Daniele Vicari

di Alessandro Mannucci Alessandro Mannucci

Pochi giorni fa, il 28 ottobre, la promozione alla carica di vicequestore di due agenti da parte della ministra dell’interno Luciana Lamorgese e del Capo della Polizia di Stato Franco Gabrielli ha destato un vespaio di polemiche. Perché i due agenti in questione sono Pietro Troiani e Salvatore Gava, gli stessi che la sera del 21 luglio del 2001, durante il G8 a Genova, si resero protagonisti, assieme a un numero imprecisato di agenti (non sarà mai chiarito quanti), di uno degli episodi di violenza più efferati nella storia della nostra repubblica: l’irruzione alla scuola Diaz.

I fatti sono tristemente noti a tutti: siamo alla fine del summit, la città di Genova è stata teatro di episodi di violenza e tensione tra le forze dell’ordine e i manifestanti che hanno raggiunto il culmine con la morte di Carlo Giuliani; il giorno successivo, tra le 22 e la mezzanotte, un gran numero di agenti in assetto antisommossa penetra nella scuola, messa a disposizione dal comune di Genova come dormitorio comune per i manifestanti, già sede del media center e dell’assistenza legale dell’organismo promotore. Qui inizia una vera e propria mattanza: la polizia si scaglia con brutale, irrazionale violenza contro gli occupanti: persone di diversa etnia, età, estrazione sociale che partecipano al social forum e si preparavano a passare la notte. Centinaia di inconsapevoli vittime vengono pestate a sangue. 63 persone finiscono in ospedale, molte delle quali in prognosi riservata. Uno, il giornalista inglese Mark Covell, in ospedale ci arriva in coma. Per gli altri, arrestati e trasferiti nella caserma di Bolzaneto, non finisce qui: vengono interrogati per ore, lasciati nudi, ricoperti di sputi e insulti. Amnesty International definì quella notte “La più grande sospensione dei diritti umani dopo la seconda guerra mondiale”, il vicequestore aggiunto Michelangelo Fournier, presente quella notte, parlò di “macelleria messicana” (un’espressione desueta, già usata dal capo partigiano Ferruccio Parti nel 1945 per esprimere la ripugnanza di fronte ai macabri fatti di Piazzale Loreto il 29 aprile). Troiani e Gava vennero condannati a 3 anni e 8 mesi e all’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni: il primo per aver introdotto due Molotov nella scuola dando così consistenza all’alibi del blitz, il secondo per averne accertato il “ritrovamento”. Reintegrati gli agenti nel 2017 da Gabrielli (nonostante lui stesso ammise che a Genova “ci fu tortura”), oggi i due si trovano a occupare cariche elevate. «Questa incomprensibile promozione non può che minare la fiducia già precaria verso lo Stato», hanno dichiarato Massimiliano Iervolino e Giulia Crivellini dei Radicali italiani; Per Erasmo Palazzotto, parlamentare di Liberi e Uguali «è grave che siano concesse promozioni e avanzamenti a membri delle forze dell’ordine già condannati per violazione dei diritti umani. Serve introdurre i codici identificativi per le forze dell’ordine». Se ne parla solo da 19 anni.

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Nella scuola Diaz nel 2001

Non so se ci sia un collegamento, ma ieri Netflix ha introdotto nel suo catalogo il film-denuncia di Daniele Vicari “DIAZ - Don’t Clean Up This Blood”. Uscito nel 2012 e accolto tiepidamente dalla critica nel nostro paese, la pellicola ha vinto il premio del pubblico al Festival di Berlino: all’epoca, saturo delle immagini trasmesse da mille telegiornali, lo snobbai. Ignoravo il fatto che Domenico Procacci di Fandango avesse prodotto il film in piena autonomia (con l’unico aiuto fornito dalla coproduzione con Francia e Romania) dato che nessuna casa di produzione statale o pubblica voleva sporcarsi le mani con un tema controverso. Vicari avrebbe voluto girare a Genova ma senza alcun supporto economico “locale” dovette spostarsi a Budapest, su un set ricostruito in modo egregio. Il valore civile del film, il suo impegno nel voler descrivere quei 9 minuti terribili e ciò che segue o precede, non si discute, ma data la gravità dell’evento c’è il rischio che metta in ombra le qualità cinematografiche. Che ci sono: Vicari usa la camera in modo rozzo, nervoso, per descrivere situazioni che sfuggono a qualsiasi logica, legando con indubbia maestria le immagini realizzate sul mastodontico set rumeno a spezzoni di footage originali. Predilige saggiamente una narrazione corale, dove le vite e i destini di civili e poliziotti si intrecciano in un mosaico di dolore e follia allucinata, una notte in cui la democrazia si girò a guardare dall’altra parte. Colpisce allo stomaco, quasi come le manganellate del film, la messa in scena della violenza perpetrata dagli agenti a manifestanti inermi (anche se i protagonisti di suddette violenze sostengono che quello sullo schermo, rispetto a ciò che avvenne davvero, fosse Bim Bum Bam): Vicari per 30 minuti gestisce la tensione come grandissima maestria. Se molte immagini sono di grande potenza, certi dialoghi (come quello che ci introduce al personaggio di Elio Germano, il giornalista che al collega di redazione alla Gazzetta di Bologna fa: “Ti tendi conto? A Genova succede quello che succede e noi dobbiamo stare qui davanti ai computer!”) non sono proprio cose alla Aaron Sorkin. E l’affastellamento di cliché a volte fa assomigliare il film, non fosse per la confezione, a una fiction pomeridiana della Rai: il poliziotto buono dagli occhi acquosa (Santamaria), i poliziotti cattivissimi dalla sprangata facile (tutti gli altri), i manifestanti (coi dreadlocks che ascoltano Manu Chao), i questori (con la faccia annoiata che fumano e parlano male della magistratura). Ma l’atmosfera e il clima da tragedia incombente della prima ora del film da soli valgono la visione. Vicari dichiarò all’indomani dell’uscita del film a cinematografo.it che “apparentemente Diaz è un action-movie, ne ha tutte le caratteristiche: cariche della polizia, irruzioni, pestaggi. Ma la struttura profonda del film è quella di un horror”. Vero: mentre la violenza negli action è contestualizzata e giustificata da uno sviluppo narrativo logico, nell’horror il pericolo arriva quando non te lo aspetti, la violenza non ha una progressione scandita dalla storia. L’horror non ha logica. Come sembra non averne troppa la decisione di promuovere Troiani e Gava a vicequestori.

 

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