Don Antonio Mazzi torna con un libro e anche con le sue invettive – cariche di buone intenzioni – rivolte soprattutto all’interno della Chiesa, ma i cui effetti potrebbero riverberarsi all’esterno, nella società e soprattutto sui giovani per i quali ha speso tutta la sua vita. Il presbitero, che ha fatto la storia con la comunità Exodus in aiuto degli ultimi, degli emarginati e dei tossici, propone oggi “Il dialogo del sorriso” (Cairo editore), che in buona sostanza significa tornare a “testimoniare”. Che non vuol dire soltanto portare “il buon esempio”, semmai “fare del bene che prima di tutto fa bene a noi. Un atto egoistico positivo, che di riflesso ricada anche sugli altri”. Lo abbiamo intervistato, scoprendo che a 92 anni ha lavorato più in questo periodo di pandemia che in tanti altri momenti della sua lunghissima attività di “prete di strada”.
Don Mazzi, lei che non era certo abituato a portare avanti le sue attività dall’ufficio, come ha vissuto questi due anni di pandemia?
Il problema non è dentro o fuori. Alla fine, quello che non potevo fare fuori l’ho fatto in video, via mail o telefono. Ho lavorato molto di più. E in realtà ho potuto constatare che è stato un momento in grado di aiutare i ragazzi delle nostre comunità a riflettere. Diversamente da altri, loro hanno sofferto meno la reclusione. Ti faccio un esempio. Un giovane l’altro giorno mi parlava del suo viaggio per arrivare in Italia, Ci ha provato tre volte dall’Africa sui barconi, quando ce l’ha fatta si era messo a spacciare e ha conosciuto la galera. E ora che è da noi, gli viene da ridere quando qualcuno si lamenta per il lockdown. Per lui è una delle tante avventure. Non può capire come i giovani all’esterno, spesso della media-alta borghesia, cadano in depressione.
E secondo lei come mai alcuni giovani hanno reagito così male alle conseguenze della pandemia?
Perché sono fragili e a me spaventa. Ma ancor di più mi spaventa la fragilità degli adulti. La pandemia non è la fine del mondo, dobbiamo spiegarglielo, e queste restrizioni servono per salvare noi stessi e gli altri. Non bisogna creargli dei complessi, è solo un modo diverso di vivere.
Gli psicologi hanno lanciato dei segnali di allarme.
Questi psicologi sono loro stessi figli della media borghesia. Ma la vita è questa, bisogna dirlo ai giovani. Io ho passato la guerra, il terrorismo, tante difficoltà e periodi simili, solo che oggi non si ricordano più quelle situazioni. Oggi la prima difficoltà diventa un dramma. E invece non insegniamo più a interpretare quelle difficoltà, anzi, gli addossiamo un carico ulteriore.
Ha segnalato la fragilità degli adulti. Che cosa direbbe a chi, tra i genitori, ha ancora dei dubbi sui vaccini?
Il problema non è cosa dire, ma come testimoniare. Bisogna andare lì in mezzo, con la mascherina e distanziati con grande serenità. Non si tratta di chiacchierare, ma di testimonianze alternative. Le parole le porta via il vento. C’è modo e modo di interpretare il domani. Stando a certe ricostruzioni il futuro della terra sarà tutto un deserto. Insomma, cerchiamo di avere le giuste proporzioni.
Quando parla sul futuro della terra, si riferisce per caso alle manifestazioni che vedono tanti giovani impegnati al fianco di Greta Thunberg?
Questa Greta l’hanno fatta diventare come la Madonna. Si permette addirittura di prendere in giro Obama. Va bene, ma penso che ci debba essere anche un limite nel dire e fare le cose. In questa società in un giorno si diventa la Madonna e il girono dopo Caino. È una società senza interiorità, superficiale, nella quale tutto si ferma all’esterno. I giovani credono che la fine del mondo sia vicina, invece si deve riuscire a porre le questioni nella giusta misura. Abbiamo ucciso la speranza!
Lei è stato ordinato nel 1956, ben 55 anni fa. Ci pensa mai a quanta strada ha fatto?
No, però è una storia. Sono stato fortunato. Le vicende mi hanno obbligato a prendere delle decisioni, da quando sono diventato prete dopo l’alluvione del Po, passando all’attività a Primavalle, una delle borgate più difficili di Roma dove ho capito cosa sono le periferie. E ancora a Verona dove ho lavorato sull’inserimento dei disabili negli ambiti professionali e mi sono trovato al fianco dei primi obiettori di coscienza. Poi a Milano dove ho incontrato il terrorismo e la droga. A tutte queste situazioni ho risposto e queste risposte mi hanno permesso di vivere intensamente.
Si è mai pentito di aver preso i voti?
No…no… se tornassi indietro mi batterei di più per un iter dei preti più libero. Meno da coltivatori di galline. E prima di tutto lascerei la libertà di scelta di sposarsi o meno. Fare il prete non è legato a al matrimonio, c’è dietro un obiettivo molto più forte, vero e autentico.
In una intervista ha detto che il problema della Chiesa è che è piena di “preti falsi”. A cosa si riferiva?
Al fatto che sono diventati segretari del Padre Eterno. C’è chi è impiegato nell’ufficio del Comune e chi nell’ufficio del Paradiso. Stanno lì dalla mattina alla sera a registrare i battesimi, le cresime e i matrimoni e intanto abbiamo perso il concetto del “pastore”. Che vuol dire lavora per le strade, stare con la gente, rischiare quando c’è da rischiare e mangiare quando ce n’è e non mangia quando non ce n’è. Abbiamo preti che gestiscono un sacco di soldi, vescovi che vivono in palazzi enormi e poi predichiamo la povertà e la carità… È arrivato il tempo delle testimonianze!
Che tradotto sarebbe dare il buon esempio?
Non solo, perché d’are il buon esempio è legato all’essere in pace con te stesso. Ma fare del bene prima di tutto fa bene a noi. È un atto egoistico positivo. Quindi, di riflesso, ricade anche sugli altri.
Come vive le critiche, che spesso le sono arrivate per l’apertura alle sue comunità a tanti vip?
Le prendo e me le merito. Lascio che la gente dica. È normale che uno come me venga criticato. Almeno sono onesti, se non mi criticassero sarebbero disonesti. Le accetto in tranquillità. Più che le critiche dall’esterno, però, sono quelle dall’interno che mi infastidiscono. Da parte di quei preti che vogliono una vita molto diversa dalla mia. Io dico sempre: vale più un oratorio di una chiesa. Sennò Don Bosco non sarebbe esistito. Ma se uno dice così il monsignore di turno si indispettisce.
Papa Francesco sta cambiando la Chiesa nel verso che lei auspica?
Sarebbe necessario che facesse scelte più forti. L’ho sentito e dice “io preparo qualche cambiamento”, perché è convinto che sia più facile cambiare la gente che il Vaticano. Le grandi scelte prima o dopo dovranno avvenire e oggi ci sono grandi gesti da parte sua, anche interessanti, ma bisogna passare alle scelte. La Chiesa deve perseguire la via della povertà. Non si può continuare a spendere milioni di euro. I cardinali è opportuno che vadano in Africa, invece di avere decine e decine di dipendenti.
Quindi si augura una Chiesa un po’ più povera.
Non un po’, molto più povera. Cristo in questo mondo è stato un povero. I farisei di allora non potevano capire il perché di questa scelta e anche adesso sono rimasti uguali. Così oggi abbiamo il fariseo che passa e lascia morire per strada un povero perché deve andare a fare la liturgia e nello stesso tempo un ateo che si ferma e aiuta perché ha la coscienza è del buon samaritano.
La politica in questa fase che ruolo ha?
I politici rappresentano gli adulti di oggi. Persone fragili senza grandi ideali. Mentre Mario Draghi ci ha ridato credibilità internazionale e abbiamo di fronte sfide epocali, i politici cosa fanno? Litigano per quello che dovrà diventare Presidente della Repubblica…Quando dovrebbero essere loro a insegnare ad affrontare seriamente la vita, invece fanno della vita una commedia. Ma purtroppo in Parlamento ci sono quattro ignorantoni…
Forse gli potremmo consigliare il suo libro, “Il dialogo del sorriso”.
Mah, solo se hai una vita interiore sai cosa significa la parola “serenità”. Se non ce l’hai ti lasci prendere da tutto quello che arriva da fuori. C’è una coscienza da recuperare, perché la politica non è solo un fenomeno sociale, ma anche morale. È una virtù. E oggi come oggi vorrebbe dire testimoniare le virtù della società.
Dopo tanti progetti realizzati, ha ancora un sogno nel cassetto?
Sì, il cambiamento radicale della scuola. O ne creiamo una nuova che serva davvero ai giovani, oppure rischiamo che diventi l’ennesimo fallimento. La famiglia è fragile, la Chiesa è fragile, la società idem. Quindi, bisogna recuperare dalla base i giovani per insegnargli a dare alla vita un vero significato. Fino a ieri la scuola era il luogo della formazione intellettuale. Oggi deve diventare un luogo anche di educazione. Com’è possibile che i programmi siano ancora simili a 50 anni fa? La scuola deve affrontare questo tempo. E sarei anche per il voto ai 16enni…
Se ne era parlato, ma poi la proposta è caduta nel vuoto.
Io darei la possibilità di votare ai 16enni, perché intanto sdarebbe importante farli votare. Quando è stato il momento di vaccinarsi sono quelli si sono dimostrati più ricettivi. Questa curiosità li porterebbe a sentirsi più responsabili. A quell’età, spesso, sono più maturi di tanti 30enni e saprebbero vivere appieno questa nuova avventura.