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Dopo la morte della ristoratrice, il giornalismo è rimasto lo stesso. Ma ora i lettori si improvvisano debunker

  • di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

18 marzo 2024

Dopo la morte della ristoratrice, il giornalismo è rimasto lo stesso. Ma ora i lettori si improvvisano debunker
Cacciatori di fake news. Però, completamente a caso. Dopo il suicidio di Giovanna Pedretti, la ristoratrice di Lodi accusata di aver inventato una recensione finta del proprio locale, il giornalismo online (e non solo) è ancora fondato su notiziole inutili e non manca quasi mai di dare in pasto ai lettori le generalità dei "protagonisti" di ogni fatterello che nemmeno meriterebbe la diffusione su scala nazionale. In compenso, qualcosa è cambiato: gli utenti social si improvvisano tutti debunker a vanvera

di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

Cacciatori di fake news. Il suicidio di Giovanna Pedretti, la ristoratrice di Lodi accusata di aver inventato una finta recensione al proprio locale, è stato una sconfitta bruciante per l'informazione online e per i social tutti. A gennaio 2024 si accese un profondo dibattito online come in tv parlando, in certi casi a sproposito, di "gogna mediatica" verso la piccola imprenditrice. Il punto vero, però, era (ed è tuttora) la fame di click e views delle principali testate nostrane, pronte a pubblicare qualsiasi stupidaggine per un po' di (in)sano clickbaiting. Nel caso di Pedretti, si trattava dello screen di una recensione omofoba e abilista che in poche ore divenne virale, sparata nella homepage dei principali siti di informazione, grazie anche alla risposta tranchant della donna. Successivamente, Selvaggia Lucarelli e il compagno chef Lorenzo Biagiarelli hanno evidenziato alcune incoerenze di quello scatto, mettendo in dubbio la veridicità dello stesso. Se ne interessò perfino Rai 3, andando a intervistare la ristoratrice incalzandola come fosse una pericolosa narcotrafficante a piede libero. Poi, il triste epilogo che tutti purtroppo conosciamo. Da quel momento è cambiato qualcosa nel giornalismo nostrano e, soprattutto, nel modo in cui chi di dovere sceglie e pubblica quelle che ritiene essere "notizie"? No, nemmeno di una virgola. In compenso, i lettori si improvvisano tutti debunker. Nei modi più ottusi possibili. Perché a loro non gliela si fa. O forse sì. Ancora più di prima. 

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Un post condiviso da Basilio Petruzza (@basiliopetruzza)

"Diffondete fake news!" è l'accusa che si legge più spesso tra i commenti di un qualunque post social delle principali testate italiche, come anche dei sitarelli di intrattenimento. Questo accade pure quando il contenuto è un editoriale, una recensione oppure esprime, semplicemente, una opinione con cui si potrà essere legittimamente concordi oppure no. Ma un'opinione, appunto, non può essere "falsa". È capitato anche a MOW, nella persona di chi scrive, di ricevere commentucoli di siffatta sorta. Di fronte a una stroncatura della serie Netflix SuperSex, forse fin troppo liberamente ispirata alla vita di Rocco Siffredi, abbiamo letto: "Invece, io ho visto in giro pareri entusiasti. Quindi, questa è una fake news!". Verifica delle fonti? Voto 10. 

Il caso di Giovanni Pedretti avrebbe potuto (e forse anche dovuto) spingere chi decide le sciagurate sorti delle linee editoriali a tirare una minima il freno a mano, in favore di un'informazione più attenta e selettiva. O, almeno, non proprio da baluba. Questo, però, non è successo. E allora i lettori hanno maturato un disprezzo sempre crescente verso la categoria degli scrivani del web (non tutti sono giornalisti di professione, si sa) perché convinti di essere migliori, più attenti. O comunque stanchi di sentirsi presi in giro. Con chi ce l'hanno veramente? Forse è il caso di approfondire come funziona l'informazione online. E di farsi un preventivo segno della croce. 

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Un post condiviso da Il Messaggero (@ilmessaggero.it)

L'informazione online è fatta da persone. Persone che decidono e persone che eseguono. Le decisioni vengono prese, sciaguratamente, seguendo i trend del momento, ossia gli hashtag più forti. In questo senso, quando è arrivato nelle varie redazioni lo screen della recensione negativa al ristorante di Pedretti per via di #omofobia #abilismo e mancata #inclusione, tutti si sono, immaginiamo, sfregati le mani pregustando il picco di views e cuoricioni social in arrivo. E come mai nessuno ha verificato? Perché i pezzi "veloci", quelli che riportano notiziole che notizie a tutti gli effetti non sono, in genere vengono scritti da sciagurati che non possono dire "sì" o "no", ma solo mandare online. Nel più breve tempo possibile per bruciare gli altri e portare il sito, per primo, a scalare l'Everest dei click. Pagati a sputi (c'è gente, tanta gente, che prende per esempio un centesimo a parola e altri che non percepiscono alcunché in quanto stagisti), non devono pensare, devono pubblicare. Fast & Furious. Magari un minimo di quindici "pezzi" entro le 13, altrimenti salta la prestigiosa collaborazione. 

Selvaggia Lucarelli e Lorenzo Biagiarelli, nel caso Pedretti, non ce l'avevano certo con la ristoratrice, ma con l'approssimazione del giornalismo online che aveva trasformato una forse bufala in notizia d'apertura di interesse nazionale. E fin qui, tutto giusto. Il ristorante in questione, nel lodigiano, aveva 13 coperti. Non proprio il Billionaire. C'erano, di certo, cose più rilevanti di cui occuparsi in quei giorni. Prendersela con gli scrivani del web "che non verificano le fonti", però, non ha granché senso: a voler davvero cambiare qualche necessaria virgola nel modo in cui si fa informazione oggi, bisognerebbe andare alla radice del problema ossia prendere di mira lo sfruttamento di molti, moltissimi, le linee editoriali che inseguono trend farlocchi portando alla sciagurata pubblicazione di foto e dichiarazioni della tizia di turno che molla tutto e va a fare i milioni su OnlyFans. Oppure della marmotta californiana che è diventata tenerissima mascotte del corpo dei pompieri, della Tiktoker che racconta un primo appuntamento da incubo perché lui si è riufiutato di pagare il conto, della mamma inglese preoccupata perché la figlia dei vicini tiene i pidocchi in capa. E chissenefrega? 

Il giornalismo, se così si può chiamare, dopo la morte di Giovanna Pedretti, è rimasto tale e preciso. Pubblica qualunque boiata, agogando like e views. Non è cambiato nulla nelle linee editoriali che, infatti, continuano a dare spazio e rilevanza a fattarelli a volte divertenti, ma privi di qualunque notiziabilità (avete letto, per esempio, tutti quei titoloni su Angelina Mango che ha tagliato "8 secondi" de "La Noia" per andare all'Eurovision? Pazzesco). Non mancando, ovviamente, di fornire nomi e cognomi dei protagonisti della vicenda narrata. Dal macellaio fascio al disperato che si tiene il cadavere di mamma in casa da mesi perché ha 4 euro sul conto e tuttora vive con la pensione materna. Vogliamo capire che questa diffusione di generalità, su larghissima scala, può essere ed è pericolosa? No. Nemmeno dopo che c'è scappato il morto. Perché chi può cambiare davvero le cose resta convinto che sia lì, su quelle non notizie, meglio se raccon che i "lettori" (di titoli) clicchino con maggior fervore. "Lettori" di titoli che sono passati da leoni da tastiera a debunker improvvisati. Debunkano ogni cosa, pure le recensioni o gli editoriali d'opinione perché oggi perfino "fake news" è sciaguratamente diventato trend. Non era questo il punto. Ma va bene lo stesso. Va bene lo stesso? 

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