Un'occasione persa. La terza edizione di Drag Race Italia è iniziata su Paramount +, dopo il trasloco (o l'esilio?) da Real Time. Enormi "melanzane" fatte all'uncinetto, ma soprattutto giulivi urletti delfineschi per tutta la durata dello show. Pare che ogni secondo, esploda un gattile. L'intenzione è certamente quella di restituire il brio, la verve e l'irriverenza delle serate en travestì (oggettivamente, sempre divertenti). Il risultato è una caciara insostenibile in cui annega perfino la gara. La prima prova a cui si sottopongono le 13 concorrenti "queen" arriva dopo ben ventisei minuti dall'inizio dello show. Ventisei minuti di niente. Però, glitterato. In giuria, Chiara Francini definita "insostituibile" ogni cinque minuti senza giusta causa, Paola Iezzi che si limita a essere "iconica" per copione e Paolo Camilli, con ogni probabilità il migliore della covata. Peccato solo prenda parola pochissimo, fagocitato come si ritrova da gridolini e schiamazzi. Giurata aggiunta per il battesimo stagionale, Myss Keta. Che non parla praticamente mai e a fine trasmissione stupisce tutti con "Pazzeska", hit che oramai ha quattro anni suonati e se li sente tutti. Esisterà mai qualcuno, al di fuori delle bolle social rainbow a ogni costo, disposto a volere davvero uno spicchio della pesca di Drag Race Italia senza poi uscirne con una terribile emicrania? Parafrasando il claim della conduttrice Priscilla: "Non diciamo strunzat".
L'ultima cosa che ci si aspetterebbe di trovare in uno show come Drag Race Italia è la retorica. E, invece, eccoci travolti da messaggi importanti, perfino monologhi afflitti stile Le Iene, inediti à-la X Factor (ma come mai niente - o quasi - playback?) e queen che si strappano le extension a bordo studio. Il "backstage" che mostra le affilate dinamiche tra concorrenti monopolizza gran parte del minutaggio. Solo che tutto sembra posticcio, già scritto, mai spontaneo. Forse anche a causa di un montaggio affrettatissimo, glitter cazzuola alla mano e via.
"Riesci a farmi bagnare anche mentre vado a fuoco". Chiara Francini, quando non imita Wanna Marchi, si esprime solo tramite doppi sensi e ha un'ossessione per lo scettro che chi verrà incoronata regina del talent, riceverà al momento della vittoria: "È così grosso, sono certa che tutte voi non vedete l'ora di prenderlo in mano", ripete lasciva. E La Sheeva è anche una delle drag in gara. Peccato che nemmeno lei riesca a spiegare il significato del proprio nome, o almeno non in italiano: "Viene da un gioco di parole tra il nome della divinità indiana (ci siamo quasi, ndr) e l'aggettivo 'lasciva' che si usa per definire una stronza che te la fa annusare senza poi dartela mai". Non proprio. Ma procediamo.
Dopotutto, aveva decisamente più rispetto per l'arte drag il tanto criticato - anche da MOW - Non Sono Una Signora, condotto la scorsa estate da Alba Parietti nel primetime di Rai 2. Il problema principale di Drag Race Italia resta, prendendo in prestito le parole del Sommo Paolo Sorrentino in Call My Agent - Italia, l'entusiasmo emmotivato. Ogni concorrente non fa tempo ad aprir bocca, ma neanche a comparire in scena, che è subito tsunami di "Adoro!", "Pazzesca!", "Divina!". Ottime reaction per qualche clip social, una vera e propria agonia se chi guarda dovesse mai avere intenzione di seguire davvero il programma. Per non dire, addirittura, la gara.
Il troppo storpia e Drag Race Italia ne è la prova. Così urlato da provvedere da solo a un buon quarto dell'inquinamento acustico su scala nazionale, purtroppo lo show resta cristallizzato nell'estetica en travestì, banalizzandola allo stremo. Ne escono fuori, inevitabilmente, macchiette, caricature fastidiosissime a ogni livello. Ma non importa: al solito, agli occhi di quelli che ben twittano - e che hanno, spesso e volentieri, partnership in #adv con la piattaforma di messa in onda del talent - non è possibile analizzare il programma da un punto di vista strettamente televisivo. Deve essere sempre tutto oro ciò che è queer (e luccica). Eppure... non è così.