Fa strano pensare che la carriera teatrale di Glauco Mauri sia cominciata nel lontano 1952. Il suo primo spettacolo è stato il Macbeth per la regia di Orazio Costa. E poi sono arrivati Daniele D'Anza, Beppe Menegatti, Luca Ronconi e molti altri grandi drammaturghi. Mauri apparteneva a un’altra epoca, in tutti i sensi, e fino all’ultimo non voleva saperne di scendere dal palco, quello di un teatro, polveroso e autentico. Era infatti atteso al Vascello di Roma, proprio in questi giorni, con un testo di Wilde, dedicato a Roberto Sturno, il compagno teatrale di una vita scomparso anche lui poco tempo fa. E niente avrebbe potuto fermarlo (o quasi). Perché come diceva sempre: “Il teatro è una palestra, sono vecchio eppure mi fa sentire giovane non certo nei muscoli possenti che non ho più, ma nell'incuriosirmi ogni sera.”
Anche il cinema lo guardava con occhi affascinati. Basta pensare ai set con Dario Argento (Profondo Rosso) e Nanni Moretti (Ecce Bombo). Ma sarà sempre la forza di quel sipario che si alza nel buio della scena a trascinarlo via con sè in tournée, inebriato dalle opere e dalle parole di William Shakespeare, Goethe e Beckett. Anche questa volta, potremmo dire, è stato il teatro a portarcelo via. Ciao Glauco.