Per il pubblico mainstream italiano P Diddy è rimasto cristallizzato al 1997, quando ancora si faceva chiamare Puff Daddy e la sua hit I’ll Be Missing You imperversava in tutte le radio. L’aveva dedicata al suo migliore amico, il rapper Notorious B.I.G., ucciso pochi mesi prima: un omicidio che è tuttora senza colpevole o movente. E un delitto, peraltro, di cui da anni si vocifera che potrebbe essere in parte responsabile – se non direttamente, almeno per aver alimentato la faida contro il rivale Tupac Shakur, anche lui eliminato da un killer senza nome in una brutta storia di vendette incrociate. Ma di tutto questo, da noi, è arrivata solo un’eco lontana, anche perché nel frattempo Diddy si era allontanato dai riflettori e lavorava soprattutto dietro le quinte, come produttore. La sua è una storia che conoscono soprattutto gli appassionati di hip hop, la platea generalista non si è mai data la pena di approfondire più di quel tanto. O così è stato fino allo sdoganamento di massa del rap e soprattutto all’avvento di TikTok, che lo ha riportato al centro dell’interesse generale per i motivi peggiori in assoluto: incriminato per una lunga serie di reati sessuali, oltre che per estorsione, da qualche giorno è detenuto in un carcere di New York in attesa del processo, che promette di essere uno dei più discussi di sempre. Ma perché, in un panorama come il rap in cui i personaggi controversi non suscitano mai particolare scandalo, tutti parlano proprio del suo caso? E soprattutto, che conseguenze potrà avere sul resto della scena?
Riassumiamo la vicenda per chi non la conoscesse: nel 2023 Cassie, cantante R&b ed ex compagna di P Diddy, ha sporto una denuncia contro di lui per abusi fisici, psicologici e sessuali, che sarebbero andati avanti per tutto l’arco della loro relazione (durata nove anni, dal 2007 al 2013). La storia è agghiacciante: sarebbe stata picchiata, stuprata e costretta a fare sesso con degli uomini pagati appositamente per abusarla. Lui aveva negato, dicendo che la sua ex cercava solo di estorcergli del denaro, ma la versione di lei sembra molto credibile, anche alla luce di alcune testimonianze inoppugnabili, come un video in cui il rapper la rincorre nella hall di un albergo, la colpisce con furia e la trascina nuovamente nella stanza. Dopo la sua denuncia, molte altre presunte vittime hanno cominciato a farsi avanti: donne che parlano del temperamento violento di Diddy, con vari episodi circostanziati a supporto delle loro tesi. Ma soprattutto raccontano di un sistema ben rodato di orge, definite “freak-off party”, a cui sarebbero state costrette a sottostare: festini frequentati da decine di persone famose e non, in cui molti sex worker venivano assoldati per fare sesso (non sempre consenziente, a quanto dicono) con i partecipanti. Il padrone di casa avrebbe filmato tutto; forse, si ipotizza, per poter ricattare i suoi ospiti. Pare infatti che le sue proprietà fossero disseminate di telecamere nascoste in ogni stanza, utilizzate per riprendere artisti, vip e sportivi in atteggiamenti intimi, imbarazzanti o addirittura illeciti.
Il motivo per cui tutto l’establishment americano trema sono proprio questi video, parte dei quali sono stati sequestrati durante le perquisizioni nelle ville di P Diddy a Los Angeles e Miami. “Queste feste potevano durare giorni, e includevano l’uso di varie droghe come ketamina, ecstasy e Ghb, che il rapper distribuiva alle vittime perché rimanessero docili e compiacenti”, ha spiegato il procuratore generale, lasciando intendere che gli inquirenti stanno già visionando il materiale e identificando le persone coinvolte. Il punto è che tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, quando il Diddy era all’apice della popolarità, le sue feste erano frequentatissime. Nelle foto di quelle “ufficiali” – non le orge, quindi, ma occasioni più mondane, come compleanni o lanci di dischi – compaiono numerosissime celebrità, da Leonardo DiCaprio a Naomi Campbell, da Oprah Winfrey a Mariah Carey, da Jay-Z e Beyoncé a Sarah Jessica Parker. Per non parlare della sua ex fidanzata dei tempi, Jennifer Lopez (c’è chi sospetta che il divorzio da Ben Affleck dipenda proprio dalla scarsa voglia di lui di essere coinvolto in questo scandalo), e dell’ex presidente degli Stati Uniti e attuale candidato repubblicano alla presidenza Donald Trump. È perfino saltato fuori un presunto brano di Justin Bieber, che all’epoca dei fatti era adolescente e molto inserito nell’ambiente di Diddy, in cui il cantante esprimerebbe forte disagio per quelle feste: probabilmente è stato creato con l’AI, ma fa ben capire il clima di isteria collettiva che circonda questa vicenda.
I social sono esplosi, con migliaia di persone a caccia di indizi o comportamenti sospetti che lascino trapelare un’eventuale frequentazione dei freak-off party da parte dei vip di cui sopra. Ovviamente è improbabile che chi riceveva un invito per una normalissima festa fosse automaticamente invitato anche alle orge, ma se fosse tutto vero è altrettanto improbabile che nessuno, nella cerchia di Diddy, abbia mai subodorato qualcosa di strano nei suoi atteggiamenti. Insomma, al di là delle implicazioni legali, sarebbe spiacevole scoprire che tutti, sapendo di una situazione potenzialmente tossica, avevano preferito voltare la testa dall’altra parte. La vera fonte di imbarazzo per i personaggi coinvolti, però, è probabilmente il fatto che si sentivano relativamente “al sicuro” a frequentare una figura come Puff Daddy: non un mezzo gangster come molti suoi colleghi, ma un rapper che di fatto era una figura pop, un professionista pulito e beneducato che piaceva alle radio e all’industria, un imprenditore di successo, senza troppi grilli per la testa o ingombranti scheletri nell’armadio. O almeno, così sembrava; le apparenze a volte ingannano. Era già successo qualcosa di simile con R Kelly, celeberrimo artista R&b (l’interprete di I Believe I Can Fly, la colonna sonora di Space Jam, nientemeno) condannato a 31 anni di carcere per avere ridotto in schiavitù sessuale numerose ragazze giovanissime. Nell’establishment tutti coloro che lo ammiravano e lo frequentavano abitualmente, rassicurati dalla sua aura di cantante sensibile e amato da tutti, sono evaporati di colpo. Ad ogni modo, è probabile che dell’affaire P Diddy si parlerà ancora molto a lungo. Da un lato, perché tra i ricchi e potenti Diddy ha tanti (ex) amici, ma anche parecchi nemici pronti a ballare sulla sua tomba: tra questi il rapper e produttore 50 Cent, con cui c’è una faida in corso dai primi anni Duemila, e che ha appena dichiarato di avere messo in cantiere una docu-serie Netflix sulla vicenda, che finanzierà personalmente (i proventi andranno alle vittime degli abusi). Dall’altro perché l’atteggiamento di Diddy, e soprattutto quello di tutti coloro che lo hanno circondato negli anni, testimoniano ancora una volta che nella scena hip hop e nell’industria musicale le donne vengono troppo spesso trattate come danni collaterali, merce di scambio, punching-ball, accessori di lusso o oggetti di poco conto. E questo è un problema con cui dobbiamo fare tutti i conti, perché nel 2024 tutto ciò non è più ammissibile.