Sarà annunciato domani, giovedì 7 ottobre alle 13, il vincitore del Premio Nobel per la Letteratura 2021. E dopo le restrizioni del 2020 per la pandemia da Covid 19 - che hanno portato all'annullamento della cerimonia di consegna dei riconoscimenti il 10 dicembre, giorno dell'anniversario della morte di Alfred Nobel, con la premiazione in diretta tv - anche quest'anno i vincitori per la scienza e per la letteratura riceveranno i premi nei loro Paesi di residenza e non a Stoccolma. I nomi, per regolamento, come sempre sono segretissimi e la short list super blindata è all'esame dei giurati, per cui è un'impresa impossibile indovinare il nome del vincitore. Nel frattempo, però, sono partite le indiscrezioni sul Nobel per la Letteratura e si scalda il toto-scommesse che riserva qualche sorpresa rispetto ai nomi che circolano da anni. Noi di Mow, nell’attesa, lanciamo la provocazione: e se lo vincesse Michel Houellebecq? L’abbiamo rivolta a dieci grandi scrittori italiani, che ci hanno risposto sull’autore di libri oggi capitali almeno per comprendere la nostra epoca, da Estensione del dominio della lotta a Le particelle elementari, da La possibilità di un’isola a La carta e il territorio, che oltre a Sottomissione e Serotonina – i più mainstream – sono stati in grado di radiografare la crisi del capitalismo e a prevedere le stagioni del terrorismo islamico e delle manifestazioni dei gilet gialli. Non succede, ma se succede… è il leitmotiv che circola, con qualche distinguo, fra gli scrittori che abbiamo interpellato e che ringraziamo per la disponibilità, che sono: Aurelio Picca, Barbara Alberti, Carmen Pellegrino, Camillo Langone, Cosimo Argentina, Fulvio Abbate, Viola Di Grado, Massimiliano Parente, Nicola Lagioia e Paolo Di Paolo.
Per lo scrittore Aurelio Picca, che in molti in Italia accostano per stile e attitudine all'autore francese, sarebbe giusto che Houellebecq ricevesse il Nobel: “Perché è uno dei pochissimi che usa e dona il suo corpo per raccontare la disfatta dell’Occidente. E la diabolicità e disumanità del mondo globale. Il suo corpo si trasforma in una carta moschicida. O quello di un lucidissimo pazzo che somatizza ogni percezione”.
Sulla stessa linea Barbara Alberti, che inoltre si augura non venga assegnato a una donna: “Mi rallegrerebbe se dessero il Nobel a un autore di stile, estremo, controverso, originale, coraggioso, nichilista a tratti, come è nichilista il mondo che racconta (il nostro). Uno che si fa mille domande e non ne risolve nessuna, si interroga senza risposte, e crea, tenta, provoca, inventa, spaventa, e alla fine di un libro ti lascia sempre con un punto interrogativo, che è quello della irresolubile condizione umana. Sarei anche contenta se al Nobel stavolta non dessero seguito alla nefanda linea politica per cui oggi i premi bisogna darli per forza alle donne in quanto donne, attitudine sessista e paternalistica, molto offensiva per le donne”.
Anche per Carmen Pellegrino non ci sarebbe niente di strano, anche se la sua preferenza in realtà sarebbe indirizzata ad altre scrittrici: “A Michel Houellebecq perché no? È uno dei pochi scrittori che ancora osa descrivere il futuro come fosse in atto. Poi, può piacere o meno. Considerazioni sull’uomo – su Michel Thomas, il suo vero nome, per intenderci -, valutazioni con la pesa del moralismo sulle sue contraddizioni dovrebbero restare fuori dal dibattito letterario. Ciò detto, vorrei che il Nobel andasse a Anne Carson, e non perché sia donna: anche considerazioni di questo tipo dovrebbero restare fuori dal dibattito letterario. Oppure, da anni lo spero, a Jamaica Kincaid. Entrambe, in modo diverso per storia personale e appartenenza, significano qualcosa nella storia della letteratura; entrambe raccontano la disillusione umana senza mai cedere al cinismo. Entrambe lavorano sul cuore arcaico della lingua, fino a trovare la parola che riduce lo scarto tra ciò che può essere detto e ciò che non potrà mai (o mai più) essere detto".
Camillo Langone, invece, spera che il Nobel a Houellebecq non lo assegnino mai: “Spero che non vinca, perché è il mio scrittore vivente preferito e mi sarebbe difficile continuare a leggerlo. Non vorrei succedesse quello che è successo, molto più in piccolo, con Emanuele Trevi vincitore dello Strega: in passato lo avevo apprezzato, e mi interessava leggere di Pia Pera, ma il premio romano è come se mi avesse incenerito ‘Due vite’ fra le mani. Perché, come diceva Flaubert gli onori disonorano, e per me l'onore conta”.
Cosimo Argentina, dal canto suo, ci ha lanciato un'altra provocazione: “Credo che i meriti letterari siano fuori dalle logiche del premio Nobel, quindi in quest'ottica no, Houellebecq non meriterebbe il premio. Come non lo meriterebbero Ellroy e Cormac McCarthy. Il Nobel va al retropensiero che uno scrittore si porta dietro. Almeno questo ci dice l'accademia negli ultimi decenni. L'ultimo autore consolidato nella narrativa che lo ha vinto è stato Coetzee. Io, provocazione per provocazione, lo darei a Ibrahimovic o a Vasco Rossi. Houellebecq è un gran poeta e alcune sue opere di narrativa restano. Ma si porta dietro bollature ambigue che ne fanno un nuovo Borges, con le dovute differenze di spessore”.
Di provocazione in provocazione, Fulvio Abbate assegnerebbe il Nobel al migliore amico di Houellebecq, che però non è una persona: “In realtà il Nobel andrebbe assegnato a Clément, che ha avuto un meraviglioso funerale al cimitero dei cani di Asnières-sur-Seine, fuori Parigi, che compare nel più straordinario sceneggiato che sia stato prodotto, ovvero ‘I Compagni Di Baal’ di Pierre Prevert del 1968. Un mio caro amico, comune a Houellebecq, cioè Fernando Arrabal, mi raccontava che lo scrittore francese a casa custodisce ancora le sue gigantografie fotografiche e i suoi giocattoli come, e qui potrei fare una citazione bassa, ‘quando lei se ne andò, per esempio, trasformai la mia casa in un tempio’, oppure una citazione più alta con ‘La camera verde di Truffaut’. Quindi credo che Houellebecq lo meriti, ma in realtà il Nobel dovrebbe essere assegnato alla memoria del suo amato welsh corgi".
Pur apprezzando il collega francese, Viola Di Grado ci ha segnalato un'altra scrittrice che, secondo lei, sarebbe più meritevole del riconoscimento: “Il vero scrittore, quello da premiare, è quello che inventa una voce (che è una precisa confluenza di stile narrativo e narrazione, cadenza ritmica e del pensiero) prima inesistente. Dunque, sia Michel Houelebecq che Joyce Carol Oates sono da premiare. Ma se dovessi scegliere premierei Oates, perché oltre ad aver inventato nuove voci ha continuato a diversificarle e a produrne di nuove, come se avesse in testa non una ma almeno cinquanta operose scrittrici. Più preziosa ancora dell'invenzione è la capacità straordinaria di non cedere mai al pilota automatico letterario: alla ripetizione di sé”.
Non si è fatto scappare la provocazione Massimiliano Parente, che da par suo ha colto l'occasione per una invettiva verso questo tipo di riconoscimenti: “Nobel per la letteratura a Houllebecq? Non lo prenderà mai, e non per ragioni di merito, che comunque non avrebbe: Houllebecq ha scritto dei bei romanzi, dei quali il più famoso, ‘Le particelle elementari’, è anche quello che ha la scrittura di un giallo di serie b. Il più bello è ‘La possibilità di un’isola’, il più noioso ‘La carta e il territorio’, infatti ha vinto il Goncourt, poi si è giocato la carta sul territorio dell’islamismo apocalittico, dei valori che non ci sono più, dell’Occidente degradato (senza l’assenza di moralismo di ‘Piattaforma’ però), tutte cose fritte e rifritte e già datate sul nascere, ma che piacciono molto alla sociologia del lettore medio e del giornalista medio. Per il resto è troppo noto, troppo in vista, per avere il Nobel, nell’epoca del multiculturalismo denunciata da Harold Bloom, devi rappresentare una minoranza, culturale o etnica o semplicemente che ogni volta si dica: e questo chi cazzo è? Louis Glück, Olga Togarkzuk, Svjatlana Aleksievič, perfino Kazuo Ishiguro, segno che di letteratura non capiscono un kazuo, poi Bob Dylan, non un Philip Roth, non un Richard Ford, non un Don DeLillo, non un David Foster Wallace prima che si mettesse la corda al collo, e in Italia lo hanno dato a Dario Fo, mica a Aldo Busi o Alberto Arbasino, neppure a me che tanto sono già postumo; insomma il Nobel per la letteratura con la letteratura non c’entra niente, c’entra con la sociologia, c’entra con l’impegno, per cui va bene pure darlo a Bob Dylan, ma Houllebecq no, sebbene sarebbe certamente più importante dei succitati autori, ma non è prevedibile neppure a chi lo daranno i parrucconi di Stoccolma, cercano con il microscopio l’insignificanza letteraria, l’impegno senza letteratura, l’ideologia, le opere non contano, forse potrebbero darlo a Greta Thunberg per i suoi tweet, sempre che non si accorgano di Michela Murgia o di Chiara Valerio, avrebbero molte chance”.
Mentre Nicola Lagioia, oltre a indicarci un altro nome secondo lui meritevole del Nobel tanto quanto Houellebecq, ha segnalato che presto entrambi saranno in Italia: “Houellebecq è un grande scrittore, tanto è vero che lo abbiamo voluto ospite al Salone del libro di Torino (dal 14 al 18 ottobre) e siamo felicissimi che abbia accettato. Non era la prima volta che lo invitavamo, è dal primo anno che dirigo questa rassegna che ci provo. Io personalmente lo leggo da ‘Estensione della lotta’. A proposito del Nobel, ci sono due scrittori a cui sono affezionato che per ragioni diverse sarebbe bello venissero premiati. Uno viene dal cuore dell’Europa ed è Michel Houellebecq, l’altra invece viene dal cuore delle Americhe ed è Marilynne Robinson, erede di scrittori come William Faulkner, John Steinbeck, Walt Whitman e per certi versi Toni Morrison. Loro due sono testimonianze da latitudini e con poetiche diverse che dimostrano come ancora oggi si continui a scrivere grandi opere letterarie. Certo, poi è necessario vedere il contesto, capire se c’è una società in ascolto di queste voci. Ma loro hanno una grandissima sensibilità, benché la traducano sulla pagina in maniera molto diversa. Ma non ci vedrei nulla di male se lo vincesse uno di loro. E infatti, non a caso, al Salone del libro di Torino di quest’anno avremo ospiti entrambi".
Infine Paolo Di Paolo, che considera lo scrittore francese "un gigantesco outsider", ci ha ricordato perché è così centrale nella letteratura contemporanea: “Non credo che Houellebecq prenderà il Nobel, né quest’anno né più avanti. Troppo provocatorio, troppo ispido e problematico anche rispetto ai parametri del politicamente corretto. Houellebecq è un gigantesco outsider. C’è qualcosa in lui di sproporzionato, se vogliamo di incongruo a un premio come il Nobel. Sarebbe come dare premiare chi nega il senso stesso di quella storia, come avere l’incendiario al palazzo di Stoccolma dove si riceve il riconoscimento, a uno che guarderebbe dall’alto in basso e in modo un po’ sprezzante chi glielo ha assegnato. Se invece i giurati prima o poi dessero il premio a Houellebecq, riconoscerebbero opportunamente quello che, non solo ai miei occhi perché penso sia una visione trasversale a livello europeo, ha rappresentato lo scrittore, che lascerà forse l’immagine più scomoda, ma nello stesso tempo più nitida e veritiera, di che cos’è stato l’Occidente a cavallo tra il ventesimo e il ventunesimo secolo con tutte le nostre passioni storte, i segni di decadenza, l’impossibilità di trovare equilibrio tra i desideri e una idea di libertà sproporzionata. Un Occidente senza fede che si è autocondannato all’estinzione. Anche solo per i posteri e al di là dei premi, i suoi libri serviranno a capire come eravamo meglio di moltissimi altri. Come Balzac o Dickens per l’800 francese e inglese. E come narratore sociale travestito da provocatore mi pare che Houellebecq non abbia eguali”.