Di “culo” si parla spesso nel linguaggio popolare, per lo più in senso metaforico. “Luigi è culo e camicia con Giovanni”, per alludere al rapporto molto stretto tra due persone. “Aver culo al gioco”. “Un colpo di culo nella vita”. “Che culo”. E c'è pure “in culo alla balena”, meno usato del più classico “in bocca al lupo”, che si scambiano anche i pazienti prima di finire in sala operatoria. Non sempre il “culo” peraltro è associato alla fortuna. Spesso anzi indica situazioni sfortunate, come ad esempio quando “lo hai preso nel culo”. Le fregature bruciano come le fistole nel culo. Si può, pur senza giungere a questi estremi, “prendere per il culo” qualcuno, o magari “fargli il culo” per qualcosa che ha fatto o non ha fatto. Si può anche essere disposti “a dare il culo” per ottenere un determinato risultato o “a leccare il culo” a qualcuno, se ne vale la pena. Fino ad una delle espressioni più liberatorie del linguaggio popolare, il “vaffanculo”, diventato persino lo slogan di un movimento politico, espressione peraltro che può costare cara, persino l’espulsione da scuola a uno studente, roba da ricorso in tribunale.

Quando invece uno ha un problema in quella parte del corpo, la prima cosa che prova è la difficoltà a comunicarlo, quasi che pronunciando quella parola si vadano a toccare chissà quali meccanismi della riservatezza. Qualcosa di analogo accade per il cancro. È sempre più diffuso, nelle molte forme in cui ti può aggredire, e tuttavia guai a chiamarlo con il suo nome. “Formazione”, “neoformazione”, “neoplasia”, che può essere “iperplasia” (“hai avuto culo”), “displasia” (“ce l’hai nel culo”), “metaplasia” (che non so cosa voglia dire, ma credo non abbia ache fare con la metafisica), fino alle formule più recenti “lesione produttiva” e “lesione vegetante”, e qui resti secco. Si pensa di sconfiggere il cancro abolendo la parola. Un po’ come è vietato parlare di “neg*i” pensando così di aver eliminato la discriminazione razziale.

Ne ho le palle piene di queste ipocrisie linguistiche. Il nome proprio del cancro è cancro, il nome proprio del dolore è dolore e il nome proprio del culo è culo, anche quando è malato. Sfido chiunque a provare il contrario. Si potrebbe scrivere una metafisica del culo, ma non è questa la mia intenzione. Oggi però bisogna stare anche attenti a usare questa parola, perché solo a toccare il tema “buco del culo” si finisce facilmente per violare un tabù ed essere attaccati di omofobia. Che stronzata. Ma tranquilli, qui banalmente la storia seguente nasce da un ascesso proprio lì, nel buco del mio culo. Un dolore lungo a volte è una chiave che può aprire una porta. Devo aver letto qualcosa del genere da qualche parte ma non ricordo dove. Essere sani, insomma, non ci consente di capire tutto. Ma è tempo che io smetta di annoiarvi e racconti la storia…. la storia del mio culo.
