Il libro, molto chic e curato, documenta un eccesso “cool”, quasi aesthetic potremmo dire, per giocare con la vaghezza delle categorie contemporanee. I dischi, beh… i dischi, tolta una parte degli extra, si conoscevano già e sono ancora oggi una cannonata. Irrimediabilmente freschi, scaltramente equilibrati, ipotesi wave-pop che si fanno lussuosa concretezza da classifica. Lei è Debbie Harry, loro sono i Blondie, straight from (le mille luci di) New York City. Al loro nome è legato uno dei tre, quattro, box del 2022 più completi, sontuosi e attraenti attualmente in commercio. S’intitola Against the odds 1974-1982 (per le varie versioni, dalla più condensata a quelle più complete, sia in formato vinile che cd, vi rimandiamo alle pagine di www.discogs.com) e, rimasterizzato a Los Angeles e inciso negli Abbey Road Studios, fa sul serio, soprattutto nelle sue versioni più esaustive: la sfilata comprende i primi sei album dei Blondie (la seconda fase della produzione, da No exit del 1999, è ignorata) più una serie di bonus tracks, 36 delle quali completamente inedite. Mica uno scherzo perché – come afferma Chris Stein, cofondatore e chitarrista del gruppo, dalle colonne di Mojo Magazine – alcuni nastri sono stati letteralmente salvati dall’acqua, nella fattispecie da un paio di inondazioni che hanno travolto la sua abitazione di Manhattan.
Fan e appassionati si trovano quindi in mano, in piena epoca streaming, un oggettone ingombrante ma sexy che gioca su due livelli che si intersecano di continuo. Da una parte il corpus musicale dei Blondie (prezioso: si va da hit quali Atomic, rianimata dal primo Trainspotting di Boyle, all’onnipresente Heart of glass passando per una sfilza di deep cuts degni di attenta investigazione), dall’altra il look di una band che, puntando sul physique du rôle della gattina Harry, sin dai primi vagiti ha orchestrato un enorme scherzo ai danni dei benpensanti rock. Suonavano dal vivo al CBGB, ma i loro pezzi – magari in versione estesa – venivano passati anche allo Studio 54. Si reggevano sulla classica ossatura voce/chitarra/basso/batteria, ma flirtavano con i suoni che facevano ondeggiare la testa ai protagonisti di Rubble kings, lo splendido documentario di Shan Nicholson sulle gang del Bronx negli anni ’70. I Blondie si fecero produrre anche da Giorgio Moroder (quella Call me da stampare sulle notti di Richard Gere in American gigolo), ma ora salta fuori un’intrigante cover (rimasta finora inedita, nella versione studio) di Moonlight drive dei Doors.
Nel cuore e nei nervi dei Blondie c’è la precisione della wave americana (rivolgersi agli Strokes per capire quanto e come i Blondie abbiano seminato). C’è però anche buona parte di quella New York, ora lurida ora scintillante, contenuta nel fragoroso saggio di Jason Bailey Fun city cinema. New York in un secolo di film edito da Jimenez. Molto cinematografica, Debbie Harry. Credo che mai una nanerottola così sexy abbia calcato un palco. Dotata di una voce che trasformava in melodia ogni sillaba pronunciata (In the flesh), faceva arrapare anche gli oggetti inanimati attraverso gesti e ammiccamenti dannatamente calibrati. E se questa osservazione tira vagamente al triviale, avete ragione. Ma il librone di “Against the odds 1974-1982” esiste anche per sostenerla. Nella storia dei Blondie ci sono le sottovesti di Debbie, non solo le conquiste di una band che, in un pugno di anni, si è presentata al pubblico (prima ridotto, poi vasto), ha iniettato vigore e vitamina nell’establishment pop, quindi, nel 1982, ha tolto il disturbo senza allungare troppo il brodo (sarebbero tornati, appena prima dell’alba del nuovo millennio, ma il mondo, nel frattempo, era cambiato).
Ora, uscendo dalla Storia e tornando su quel pianeta, il nostro, dove tutto costa un botto: c’è un motivo per cui separarsi da circa 120 euro e arraffarsi, senza voler strafare con i vinili, la versione completa da 8 cd? Ce ne sono vari. Fra i tanti, proprio quella Storia dalla quale tre righe più in su volevo uscire. Un box del genere testimonia infatti che nella Storia si fa irruzione in vari modi. Uno dei più curiosi, lo hanno trovato proprio i Blondie, finiti negli annali già dopo i primi quattro dischi, esempi di epidermica immediatezza che, teoricamente, non avrebbero dovuto superare la data di scadenza. Credo infine che Against all the odds 1974-1982 sarebbe piaciuto anche a un fan sfegatato come Matteo Barattieri. L’uomo, lo scorso agosto, ha perso la vita a Nashville, ucciso da un’auto pirata, tornando da un concerto dei Blondie.