Radio Rock la sua mission ce l’ha già scritta nel nome, tuttavia basta sfogliare una presentazione di Emilio Pappagallo, conduttore e station manager dell’emittente, per capire che c’è qualcosa di più in ballo: “Radio Rock è la carovana per l’Abruzzo, Radio Rock sono le migliaia di mascherine donate al Policlinico di Tor Vergata sotto Covid. Radio Rock è molto altro ma è sicuramente, da qualche anno, la maratona per l’Ail Roma. Che – come tutto il resto – non esisterebbe senza la vostra presenza e la vostra generosità”. Un modo di fare radio che è giusto indagare. Partendo da lontano, dalla delicata questione, sollevata proprio da noi di MOW, sul metodo di rilevazione degli ascolti radiofonici.
Cosa ne pensi del fatto che nel 2023 le rilevazioni degli ascolti radio avvengano ancora tramite telefonata?
Penso che la radiofonia italiana, come sistema, si meriterebbe di meglio. Siamo ancora al metodo Cati (Computer-assisted telephone interviewing), che non ha rilevanza scientifica ed è basato sul ricordo. Un rilevamento falsato, non affatto paragonabile all’Auditel. Si tratta di interviste telefoniche piuttosto lunghe, 15-20 minuti l’una, che si presentano come una chiamata da un call center. Tante persone, appena avvertono il rischio che si tratti proprio di uno dei tanti temuti call center, riattaccano. È un metodo che in fondo non sta bene a nessuno, ma che ci teniamo.
Un metodo non a prova di bomba, ci pare di intuire.
No, per nulla. Ci sono radio che vanno a raccogliere migliaia di consensi in regioni dove in realtà non sono presenti solo perché il loro nome richiama, per assonanza, quello di altre radio più famose. Così si creano situazioni che viaggiano sul confine sottile che separa equivoco e truffa. E poi è un metodo che genera continue polemiche…
Tipo?
C’è stato, ad esempio, chi non era d’accordo sul fatto che gli speaker si rivolgessero direttamente agli ascoltatori per avvertirli: “Se vi chiama una persona che vi propone un’intervista, per favore rispondete e scegliete la nostra radio”. Mi è parso un invito del tutto legittimo, che tuttavia non cambia la sostanza: stiamo parlando di un metodo che mostra la corda e va rivisto. Se penso allo streaming, so esattamente chi ci ascolta tutti i giorni online. Lì non si sgarra, ogni contatto è tracciato.
Ogni tanto, ciclica e inesorabile, torna una questione che schiuma delusione e insofferenza: ha ancora senso promuovere la musica via radio? Mettiti nei panni di chi suona: ha ancora senso scegliere la radio come mezzo principale attraverso cui promuoversi?
Capisco la polemica, ma la musica ha bisogno della radio e viceversa. Negli anni ho pensato, talvolta, di puntare più sull’attualità, a irrobustire i contenuti parlati, ma i dati dicono che non è saggio lasciare la musica in mano a Spotify e YouTube: quando le emittenti principali ibridizzano troppo i formati, perdono colpi. Le radio musicali sono ancora scelte e premiate in nome di ciò che promettono e garantiscono: musica. Perché noi svolgiamo un lavoro che l’algoritmo di Spotify non fa. Capisco che discografia e pubblicità facciano calcoli anche complessi. Un tempo si puntava su radio e giornali, oggi le fonti da tenere monitorate sono tantissime. Ma sarebbe preoccupante se la radio, pian piano, perdesse per strada la musica. Perché la radio è un mezzo estremamente duttile, molto abile nel rinnovarsi, nel suonare sempre fresco.
Un anno fa circa scrivesti un pezzo quasi accorato per “Il Giornale” in cui parlasti in termini entusiastici di quello che alcuni ancora definiscono “il fenomeno Måneskin”. Oggi, a dodici mesi da quell’articolo, te la sentiresti di dire che davvero Damiano e soci stanno iniziando un’intera generazione, la Generazione Z, al rock?
Sì, non si può parlare solo di “fenomeno”. Ci sono tanti giovani che fanno musica grazie ai Måneskin. L’anno scorso, insieme a Marco Biondi (discografico e speaker con esperienze a Virgin Radio, Radio Deejay e Radio 105), abbiamo creato “Unfamous”, un progetto dedicato alla musica che parte dal basso. Solo inediti, solo band emergenti. Tante di queste band ci hanno scritto dicendo che si sono messe insieme per via dei Måneskin. Sono ragazzi che pian piano andranno alla scoperta di un passato importante, più o meno lontano, ma un punto di partenza ci deve pur essere e i Måneskin oggi, per tanti ragazzi, sono quel punto di partenza.
Intanto “Unfamous” ha già cambiato pelle.
Sì, l’anno prossimo Radio Rock farà 40 anni e ci sarà parecchio da festeggiare. Anche con “Unfamous”, che da quest’anno è contest. Tra qualche giorno (8 gennaio 2024) partirà la nuova edizione, che si svilupperà come un grande torneo a eliminazione. A giugno le quattro finaliste si sfideranno a Roma e a Milano. L’appuntamento sarà ogni lunedì dalle 9 alle 10 durante la fascia di “The rock show” condotta da me, Marco, Alessandro Tirocchi e Maurizio Paniconi.