A leggere in giro, nelle liste dei dischi più belli dell'anno, quelle messe insieme ogni dicembre dai giornali e siti di settore (tra un pranzo di famiglia e un panettone), Rush! dei Måneskin, non compare neanche in fondo. Nulla di eclatante, sia chiaro, visto la quantità folle di uscite e la diversità di gusti, se non fosse che alla pubblicazione (20 gennaio), è stato definito dai più l'album della loro consacrazione. Dopo le nozze musicali (pacchiane) che “nella gioia e nel dolore” hanno sancito la reciproca fedeltà, (finché Damiano non vi separi), sciolta la grande attesa, è stato, infatti, un susseguirsi di titoli al miele verso coloro che, sempre a leggere gli altri, sembrano gli unici a farsi cruccio dell'esistenza del rock, che “è vivo e lotta insieme a noi”. Le poche critiche calde (oltre che da MOW), sono arrivate d'oltreoceano. Sulle pagine di The Atlantic, per esempio, rivista statunitense per la quale Spencer Kornhaber firmava un focoso editoriale, intitolato: “Questa è la rock band che dovrebbe salvare il rock and roll?”.
Definendo la loro musica mediocre, e rimpinguando anche la tesi che la band non varrebbe neppure sul palco, con quelle performance definite “flosce” e un “timido tentativo di scioccare e provocare fastidio”. Ecco, in realtà non è neanche questione di scimmiottare i grandi della storia del rock, ma non valere musicalmente quanto la spropositata fama (che è merito, per lo più, del gran lavoro del management). Quanto al repack (di novembre), altrettanto glorificato da quasi tutta la stampa, MOW sottolineava che le nuove tracce poco aggiungessero alla loro discografia, in cerca ancora di un’identità. Posto che Damiano e soci, in mezzo a un tour mondiale infinito (finito per adesso con un evento privato da 800 mila euro), non hanno avuto neanche il tempo di comporre e registrare, forse sarebbe il caso di fermarsi un attimo, e fare un passo di lato, oltre il circo mediatico. In questo senso vanno anche i resoconti di fine anno dei critici musicali, che sottintendono quasi tutti lo stesso epilogo: il disco dei Måneskin non è tra i migliori dell'anno.