Questa ossessione per trovare sempre una metafora dietro alle storie, una morale, credo sia figlia di questi tempi oscuri, così poco votati alle belle notizie da indurre chiunque a appiccicare sopra qualsiasi cosa un lieto fine, un messaggio in bottiglia rivolto al futuro, un barlume di speranza capace di superare l’incedere del tempo, le interpretazioni personali, i distinti modi di guardare al mondo. Prendete la famosa storiella del calabrone. La conoscete tutti, immagino. È una storiella piuttosto nota, che parte dalla nozione, temo fantasiosa, non sono un etologo né un fisico, e che proprio su questa zona grigia basa tutta la sua potenza. Questa storiella qui: il calabrone non potrebbe volare, troppo pesante e con le ali troppo piccole rispetto all’estensione del suo corpo, ma siccome non lo sa, vola. Come dire, la forza di volontà è in grado di superare anche le leggi della fisica, la logica, a volte anche il buon senso. Tutto è possibile, se a spingerci è il cuore, il nostro grande cuore pulsante da calabrone.
Chiaramente si tratta di tutte cazzate. Il calabrone vola perché può volare, come i Jumbo Jet, che a vederli non daresti loro un briciolo di chance di staccare le ali da terra, ma poi volano eccome, idem per certi transatlantici, Titanic escluso. Solo che avere per le mani una storiella come questa ci aiuta a fare pace con noi stessi, perché se non è il nostro aspetto a essere appesantito come quello del calabrone, beh, sarà il nostro intelletto, il nostro spirito, appunto, la nostra forza di volontà. Tutto è bene quel che finisce bene, parte una musichetta da spot della Barilla e per qualche momento proviamo quel tipico tepore che si prova quando l’emozione ha il sopravvento sulla lucidità. E dire che il brano Il volo del calabrone, terzo atto dell’opera di Rimskij-Korsakov La fiaba dello zar Saltan è tutto fuorché rassicurante, perfettamente in grado di rendere in musica il volteggiare nervoso e apparentemente scomposto del calabrone stesso. Ancora di più, lo confesso, è nervosa e vorticante nella mia testa, perché per un motivo che fatico a spiegarmi ho questo ricordo preciso di qualcuno, immagino il mio insegnante di violoncello, il maestro Moscardelli, o quella di solfeggio, la Rossignoli, che mi dicono che Il volo del calabrone fosse stato eseguito magistralmente da Paganini, immagino una volta sola, perché notoriamente Paganini non ripeteva, come da massima popolare, ma nei fatti l’opera è esattamente del 1900, mentre Paganini è vissuto a cavallo tra il ‘700 e l’800, quindi a meno che non lo abbia ricevuto da Doctor Who in uno dei suoi viaggi a bordo del Tardis, dubito detta esecuzione abbia mai avuto luogo.
Sia come sia, noi non possiamo volare, lo sappiamo benissimo, e infatti non voliamo. E non mangiamo merda, almeno non la stragrande maggioranza di noi umani, e se anche qualcuno lo fa, nel settore della musica girano storie che da tempo sono diventate anche di pubblico dominio, non lo va a sbandierare a destra e manca, come un calabrone che se ne svolazza apparentemente senza meta. Dico questo perché, con un volo questo sì degno di un calabrone, sto per passare a parlare di un altro simpatico animaletto, sempre del campo degli insetti, che potrebbe dar ulteriormente adito a morali e metafore un filo diverse da quelle del calabrone, seppur a prima vista con un calabrone potrebbe essere scambiato. Un insetto, per altro, che è dotato di piccole ali, come quelle del calabrone, ma che a differenza di quanto capita al calabrone, non sono sufficientemente grandi e potenti da farlo volare, vedi tu a volte come la fisica è pignola nel farsi applicare alla lettera. Parlo dello scarabeo stercorario, credo che come la storiella del calabrone che vola anche questo animaletto lo conosciate un po’ tutti. È quello scarabeo che se ne va in giro portando a spasso, spingendolo ritto sulle zampette posteriori, una palla di merda, fatto che in qualche modo ha contribuito a segnarne il nome, scarabeo stercorario, appunto.
Il motivo per cui questo scarabeo se ne va in giro così, invece che assumendo atteggiamenti regali che in passato gli sono valsi una sorta di adorazione da parte degli antichi egizi, è semplice: lo scarabeo stercorario si nutre di sterco e usa lo sterco anche per deporvi le uova. Questa palla di merda che trascina in questo modo così singolare, quindi, altri non è che la sua dispensa e anche la sua incubatrice mobile, a voi iniziare a delineare morali e metafore da applicare al caso. Non bastasse, e già la faccenda sarebbe sufficientemente anomala di suo, c’è che lo scarabeo stercorario è solito procedere con questo suo incedere con palla di merda appresso, in perfetta linea retta, seguendo, e questo è qualcosa che in effetti dovrebbe tutti indurci alla meraviglia più pura, di quelle che ci fa battere una mano in fronte e dire “guarda tu quanto è perfetta a volte la natura”, salvo poi pensare alla palla di merda e tornare sui nostri passi, lo scarabeo stercorario, dicevo, è solito procedere con questo suo incedere con la palla di merda appresso in perfetta linea retta, seguendo come orientamento, la Via Lattea, e nel caso un ostacolo impedisca il percorso rettilineo, invece che aggirarlo, lo scarabeo stercorario è solito scalarlo, spingendo avanti a sé l’ormai, a noi, familiare palla di merda. Esopo, che la sapeva lunga, partendo dal presupposto che anche lo scarabeo stercorario fosse adorato dagli egizi, dedicò a quest’ultimo una delle sue favole. Favola nella quale, per altro, il suo essere spesso a contatto con lo sterco è la parte fondante del racconto, perché a un certo punto, in una storia di estrema vendetta che vede lo scarabeo come protagonista assoluto, per indurre nientemeno che Zeus a mollare le ultime uova sopravvissute di un’aquila, si ricopre completamente di sterco e gli si spara dritto in faccia, inducendolo appunto a mollare il prezioso tesoro. L’idea di uno scarabeo che prende a merda il faccia il capo degli Dei dell’Olimpo, converrete, ce lo fa vedere sotto un’ottica anarcoide che induce, almeno induce me, a una certa inarrestabile simpatia, vendicativo fino all’estremo, certo, ma pur sempre irriverente e antisistema come piace a noi.
Ora, lo dicevo in esergo, questi nostri tempi malandati ci spingono sempre a cercare, e spesso a trovare, una morale alle storie che si raccontano. Nello specifico, io che vado a pescare nel magico mondo degli animali, ho ormai reso consueto il piegare questi miei racconti a metafore del mondo musicale, non lesinando certo forzature al limite dell’illogico, ma in qualche modo rimanendo nell’alveo del contemporaneo, bizzarro, sì, ma moderatamente. In un neanche troppo velato gioco delle contrapposizioni, sono partito citando la rassicurante storiella del calabrone che vola nonostante tutto e tutti per poi passare a parlare di uno scarabeo che porta a spasso una palla di merda, e che nell’antichità l’ha sparata in faccia a Zeus, la cosa più scontata che potrei fare è quella di portare il discorso da qualche parte che sconfini nell’essere oppositori di chi quel mondo domina, magari anche in modo riottoso, i KLF di Bill Drummond che bruciano un milione di sterline, roba di quel genere.
In realtà, lo so, son fatto male, a me è altra la cosa che più colpisce della vicenda singolare dello scarabeo stercorario, sia messo agli atti che c’è anche un uccello che porta il medesimo nome, non scarabeo stercorario, ovviamente, ma stercorario maggiore, della famiglia degli stercoraridii, in sostanza una specie simile a quella dei nostri gabbiani, che sono Caradriiformi, solo che questo vive in zone boreali, un uccello che a differenza di buona parte dei suoi simili non è in grado di pescare, quindi si nutre sì di pesce, ma di pesce trovato già morto, di scarti dei pescherecci e di piccoli esemplari di altri uccelli e delle loro uova. Siccome siamo in zona punk rock, abbiamo da poco parlato in qualche modo di iconoclastia, non giriamoci intorno, merda lanciata contro il potere, lo stercorario maggiore per nutrire i suoi piccoli costringe gabbiani e altri uccelli a vomitare il loro cibo così che i piccoli stercorari possano nutrirsene senza problemi di digestione, per usare un inciso piuttosto in voga di questi tempi, povero gabbiano, evidentemente il nome stercorario, non ho idea del perché anche l’uccello si chiami così, è in qualche modo latore di belle sfumature, a me la cosa che più colpisce della vicenda singolare dello scarabeo stercorario, è di lui che si stava parlando, è questa faccenda del procedere sempre in linea retta, guidato come il pastore errante di leopardiana memoria dalle luci della via Lattea. Un ottuso geometra del catasto che non riesce a scrivere fuori dai margini, altro che il giovane Keith Hering rappresentato in non ricordo più quale spot pubblicitario, altroché iconoclastia e attacco al sistema. Lui se ne sta lì a procedere in linea retta, la palla di merda spinta con le zampine anteriori, e se c’è un ostacolo eccolo lì a spingere la palla di merda in alto, faticando anche parecchio, mai che provi a girare intorno, prendere una strada alternativa, rendersi la vita un filo più facile. Ottusità e merda, e non a caso tutto questo passa per un insetto sì simpatico e bizzarro, ma neanche troppo originale, in una galleria di animali bizzarri, sin dalla prima volta che ho manifestato un certo interesse a parlare di animali e musica non saprei dire quante segnalazioni riguardo mi sono arrivate, ottusità e merda e anche una certa omologazione, quindi. So che sto continuando a spostare sempre un passettino più in là il momento in cui dichiarerò di chi voglio andare a parlare, a chiusura di un racconto alla Gerrard Durrell mashuppato con Jon Savage, un trucchetto da quattro soldi, si parlava appunto di omologazione, trucchetto che qualcuno potrebbe pensare sia dovuto al mio non aver ancora identificato a che artista in effetti associare questo anomalo insetto, non fosse che questo non è un discorso fatto a braccio, oralmente, ma un testo scritto e evidentemente non sapessi dove andare a parare non avrei altro che da fare che fermarmi e riprendere solo nel momento dell’illuminazione, illuminazione che potrebbe anche non arrivare, e in caso, tanti saluti scarabeo stercorario, mica me lo ha ordinato il dottore di scrivere di lui. Nei fatti sto provando, spero con successo, a giocare di mimesi con l’incedere faticoso e anche vagamente ottuso proprio del nostro amico scarabeo, trovo un ostacolo e mi ci pianto su, poi riprendo il cammino, e tutto sembra procedere bene, quando ecco un altro ostacolo, e di nuovo lì a tirar su merda come non ci fosse un domani.
Ecco, questo è esattamente il punto in cui cade il velo e finalmente dichiaro di chi intendevo oltre diecimila battute fa parlare in questo scritto, uno scritto partito citando il volo del calabrone e finito a parlare di merda e vomito. Volevo parlare di chi ottusamente procede da anni con la determinazione di chi non sa che non può volare e quindi ci prova, ma non potendo in effetti volare, va poi a fare continuamente figure di merda, senza per questo poter ambire all’iconoclastia, si muove sempre e comunque dentro il sistema, invogliata dal sistema a farlo, ho appena dichiarato che di donna si tratta, e anzi, protetta dal sistema nel farlo. Parlo di Emma, Emma Marrone, cantante che da oltre dieci anni porta avanti una carriera non certo baciata dal plauso della critica (parlo di critica, non degli Amici a quattro zampe che, in quanto Amici a quattro zampe, lì con la paletta alzata ma anche a scrivere su quotidiani, non lesinano opinioni discutibili, difficile guardare con obiettività le cose se si sta a quattro zampe), e va beh, ci potrebbe anche stare, ma che nonostante i tanti investimenti della sua casa discografica e il suo dibattersi come un’ossessa, è stata una lunga parabola discendente che ha toccato abissi indicibili e che ci ha mostrato quanto il brutto, a volte, possa essere brutto davvero. Una carriera, forse proprio per quel mix di ottusità e ostinazione con l’aggiunta di cattivo gusto, che non si è fatta mancare nulla, dalle collaborazioni illustri, penso a Vasco Rossi, che ha scritto per lei, per ragioni che sfuggono a ogni logica, esattamente come per la faccenda del volo del calabrone, o Dardust, uno che si muove in genere bene nel pop, ma che con lei ha cannato su tutta la linea, dalle collaborazioni illustri, quindi, alla televisione, la sua rovinosa partecipazione a X Factor sarebbe stata sotto gli occhi di tutti, non fosse che i tutti che guardano X Factor, immagino anche per colpa sua, sono stati davvero pochissimi, una media di mezzo milione di spettatori a puntata, in pratica se mi affaccio al balcone faccio più audience adesso, passando per il cinema, e qui la colpa è tutta di Gabriele Muccino, che quanto a lucidità, in effetti, non è che brilli proprio ultimamente. Una carriera discutibile, su cui però il sistema, nonostante la qualità discutibile di ciò che lei ha spalmato ovunque, anche coi suoi modi grezzi spacciati per naturali, come se in natura dovessimo tutti essere grezzi, sembra non aver ancora avuto molto da ridire, come se quella capacità di proteggere le uova dello scarabeo stercorario, lì nascoste dentro la palla di sterco che si porta appresso, fosse metaforicamente messa in pratica nelle canzoni di quest’ultima, lì protette da uno strato di bruttezza talmente respingente da lasciare annichiliti, del resto la natura nulla ha da eccepire sugli scarabei che trascinano palle di merda o gli uccelli che costringono esemplari più piccoli a vomitare cibo nelle bocche dei loro figli, cosa potrebbe mai il sistema musica aver da ridire su una cantante che semplicemente incarna alla perfezione la decadenza dell’attuale zeitgeist.
Credo che del resto la storiella del calabrone ce lo abbia detto anche troppo chiaramente, e banalmente, non sempre quel che succede in natura è dettato dalla logica, o decifrabile dalla nostra logica, in discografia questo discorso è da estendere a ogni singolo passaggio, nulla è decifrabile dalla logica, o sicuramente non dalla mia. Ah, è uscito Sbagliata ascendente leone, il docufilm targato Prime Video che ci racconta la vera Emma, come se già non bastasse quella a uso mediatico, e come se davvero qualcuno ancora pensa che quello che passa da un qualsiasi media sia reale e non comunicazione, è uscito Sbagliata ascendente leone, con tutta quella retorica di chi lotta e ce la fa, contro tutto e tutti, in realtà con tutto e tutti a favore, da Maria De Filippi in poi, il personaggio più di sistema in circolazione che prova sempre a vendersi come una outsider, Sbagliata ascendente leone, come no, certo il destino infame, ma non è che davvero si può sostituire un talento esile con la ricerca di empatia da parte degli altri, l’arroganza malamente mascherata da umiltà, alla faccia del tanto evocato rispetto, l’arroganza malamente mascherata da umiltà lì a vanificare un racconto intimo che comunque viene sempre fatto a uso di telecamera, intimo un cazzo, è uscito Sbagliata ascendente leone, vogliatevi bene, guardatevi altro.