Quando chiamiamo Diego Spagnoli lo troviamo impegnato in una di quelle serate in cui le tribute band di Vasco lo tirano dentro. C'è chi dice no, ma lui non lo fa mai. Un po' perché quell'adrenalina del palco gli scorre ancora nelle vene, un po' perché ama proprio il contatto con la gente. “Il pubblico è il nostro stipendio”, sostiene. D'altronde chi segue il rocker di Zocca lo conosce bene, anzi i fan reclamano persino la sua apparizione per la presentazione della band. Non a caso il bresciano di Ospitaletto è una presenza storica della combriccola del Blasco, in veste di suo direttore di palco da ben 40 anni. Ma Spagnoli è anche molto altro, e vanta un curriculum che spazia da artisti italiani, come Baglioni e Pino Daniele, ad altri internazionali, come i Rem e gli U2. Insomma, un personaggio che di vissuto sulle spalle ne ha parecchio, come racconta nella nostra intervista fiume, tra aneddoti e riflessioni. A partire dalle origini, tutt'altro che semplici, quando da geometra - muratore, folgorato sulla via di Vasco, debutta come responsabile dei suoi concerti. Inizialmente come semplice fan, quindi senza stipendio, e rischiando pure di prenderle, visto che ai tempi il Komandante non era amato come adesso.
Intanto si emoziona eccome, al solo raccontare quanto ha visto coi suoi occhi in questi anni, in decine e decine di concerti. Dal fronte del palco, e dagli anni del rock and roll, per inciso, fino ad oggi. Perché il live per lui è tutto, è assicurarsi che tutto fili liscio e il pubblico vada via contento, è aspettare che Vasco lasci il camerino alle due di notte dopo aver firmato l'ultimo autografo, per poi smontare e inscatolare tutto fino alla tappa successiva. Ma non manca di lanciare frecciatine a chi ha fatto della musica un oggetto in vendita: “Mi piace molto il vostro magazine, perché andate giù pari. Io sono uguale...”. Una stima che è come una medaglia da appuntarsi al petto, mentre continuiamo a disquisire di finti sold out, di collaborazioni ipotetiche tra Rossi e Ligabue, e ancora coi Måneskin. Poi giù sul Jova Beach Party, e le prossime elezioni persino: “Non voterò più il M5S”, ammette deluso. Chiudendo con Massimo Riva, il chitarrista - alter ego di Rossi, morto prematuramente alla fine degli anni Novanta: “Era un fratello... non lo perdonerò mai per essersene andato così...”.
Spagnoli, come si è avvicinato al music business?
Sono stato folgorato dalla musica dal vivo grazie a un compagno di classe, che all’epoca dei miei 16 anni suonava in una band. Ma nonostante fossi appassionato, mi sono presto reso conto che la carriera del musicista non era proprio adatta a me, mentre ero più incline a coordinare le band della mia zona. Così, dopo alcuni tentativi andati male – facevo il geometra, mi licenziavo, prendevo la liquidazione, e con quella pagavo l’anticipo dei concerti – e aver lavorato anche da muratore, un giorno illuminato da una canzone di Vasco Rossi, Albachiara, ho pensato che lo sconosciuto alla radio fosse proprio un marziano, per cui dovevo assolutamente organizzare un concerto con lui. Era il 1982.
È andata bene?
È andata molto bene, malgrado le previsioni, e da lì ho iniziato a collaborare con Rossi, inizialmente come una specie di fan.
Non la pagavano?
No, ma erano chiari in questo senso, non avevano i soldi per pagarmi. Un giorno però mi diedero delle magliette, così da venderle e ricavare una percentuale, almeno per coprire le spese.
La prima impressione quando l’ha conosciuto?
Ho pensato subito che avesse un carisma pazzesco, un’energia unica che sorprende chiunque. Ha da sempre qualcosa in più, non c’è niente da fare.
Non a caso è il rocker italiano per eccellenza. Ma quanto è cambiato negli anni?
È cambiato inevitabilmente, come qualsiasi persona, le esperienze, e non intendo semplicemente i successi, forgiano la vita di chiunque. Quando sento, ad esempio, gente che dice - “Preferivo le canzoni vecchie” - sorrido sempre, perché non capiscono che appartengono a un'altra fase della sua vita, ad altre esperienze, e soprattutto sono state scritte in un momento storico completamente diverso. Invece è proprio la sua capacità di star dentro ai tempi a far sì che sia sempre attuale.
Quanto deve a Guido Elmi?
Tantissimo, anzi potrei dire tutto, anche se quando si fanno le cose tanto dipende anche da noi stessi, dalla costanza di continuare anche nei momenti difficili. Parliamoci chiaro, i primi anni non sono stati semplici per nessuno, si rischiava anche di prenderle, e una volta sono stato davvero malmenato dagli addetti alla sicurezza di un locale, perché “gli stava sulle palle” Vasco. Ma la volontà di farcela, di fare quello che si ama, era più forte di tutto.
Qual è la parte migliore del suo lavoro?
Mi piace sentire dagli artisti con cui collaboro che è andato tutto bene. Io faccio un lavoro tecnico, e mi rendo conto che i musicisti vivono proprio in un mondo a parte, ed è giusto così, non possono avere anche preoccupazioni di carattere pratico, quindi quando posso verificare che tutto è andato al meglio, sono soddisfatto.
Riesce a controllare l’emozione?
Devo farlo giocoforza. È il pubblico che deve ridere, piangere, perdersi nel concerto. Ed è quello che pretendo ogni volta dai miei collaboratori, dare il massimo per loro. D’altra parte è la gente la nostra forza, e per dirla tutta, il nostro “stipendio”. Il pubblico deve andare via sempre contento.
Intanto sul palco si improvvisa anche cantante…
Sul palco faccio proprio il mio teatrino di un paio di minuti, presento la band, e aggiungo anche qualche considerazione di carattere filosofico, momento che piace molto a tutti. Ma è sempre in funzione del pubblico, immaginando ciò che vorrebbero sentire da un “asino” come me.
Ma le lanciano anche i reggiseni, come fanno con Vasco?
No, quello no (ride, nda). Ma quando faccio le seratine con le cover band davanti a mille persone, poi mi chiedono anche l’autografo, il selfie, e per me è una soddisfazione, perché significa che la gente ci segue con affetto. Ma più di così, cosa posso chiedere?
Cosa fate dopo il concerto?
Generalmente Vasco rimane in camerino, anche fino alle due di notte, per firmare autografi. Infatti quest’anno era molto insofferente, perché per via del Covid non ha potuto accontentare i fan come al solito, onde evitare qualsiasi contagio. Per quanto mi riguarda, invece, post concerto, con la mia squadra di un centinaio di persone, mi occupo di smontare tutto quello che c’è sul palcoscenico, e portarlo al camion, poi smontare anche l’arredamento nei camerini e via alla prossima tappa.
Niente feste?
Sono cambiati i tempi, una volta sì, era sempre festa festa festa festa.
Nemmeno i musicisti fanno fiesta dopo i live? Non ci credo…
Una volta eravamo tutti rock and roll, ma adesso siamo cresciuti. La media d’età è avanzata, eh. Magari quelli più giovani, qualche volta, ma la mentalità è cambiata, non siamo più nei folli anni ’80.
A proposito di autografi, i fan con Vasco hanno proprio un rapporto speciale, si capisce anche dalla processione a Zocca. Ma gli artisti che si negano, come la Amoroso, quanto ci perdono?
Cazzi loro! Posso dire invece che Vasco ha sempre riconosciuto nel pubblico il suo bene, il suo sostentamento, quindi sa di dovere tutto alla gente.
Quest’estate c’è stata molta voglia di musica dal vivo, anche di più del solito, forse per via del Covid. Però noi abbiamo sottolineato anche i finti sold out: gli stadi perché li fanno tutti?
Ecco, mi piace molto il vostro magazine, perché dite tutto senza mezzi termini, andate giù pari. Io sono uguale, per questo dico che il concetto di rock and roll non esiste più, e la musica è un oggetto in vendita. Come la si vende e come si guadagna è quanto interessa a chi gestisce il settore. Poi se non esiste un vero sold out, e non si riempie davvero lo stadio, è una preoccupazione di poco conto. Per dire, Vasco non ha bisogno neanche di un manifesto per fare un pienone…
Altri allora perché fanno gli stadi senza numeri per riempire?
Perché dal punto di vista commerciale funziona. La gente si impressiona se racconti che il concerto di X è sold out, e compra anche il biglietto. Alla fine tutti possono fare il concerto nello stadio, paghi ed entri, e non importa quante persone realmente ci sono, l’importante è confezionare quel tipo d’immagine. Poi da quella prospettiva puoi creare altre cose, come gadget, passaggi televisivi, il mondo del profitto in tal senso è infinito.
Non è triste?
È molto triste, soprattutto per l’artista, perché gli buttano fumo negli occhi. Certo, spesso sono coscienti di vedere gente messa a caso nel loro live (non tutte paganti, magari), ma penseranno anche: e quando mi ricapita di fare San Siro?
Passando oltre, in una nostra intervista Federico Poggipollini esprimeva un desiderio-possibilità, ossia una collaborazione tra Vasco e Ligabue: come la vede?
Mai dire mai, ma penso che Fede sia troppo positivo in tal senso. Certe cose devono accadere per magia, e non perché qualcuno ne possa “approfittare”. Anche perché sono due mondi completamente diversi, uno scrive con la pancia e l’altro con la testa… L’unico momento in cui poteva davvero succedere non è successo, e parlo del periodo del terremoto dell’Emilia (Campovolo 2012, nda), ma a quei tempi Vasco non era in forma.
E Vasco coi Måneskin?
Sono ugualmente mondi diversi, e nonostante la stima deve nascere comunque tra loro, non tra i manager. È più semplice invece che improvvisi una serata in un bar con Damiano, senza avvertire nessuno. Di recente, per esempio, ha collaborato con Marracash, ma…
Non ha gradito?
L’ho trovato un po’ forzato, anche se poi è servito per beneficenza (Save the Children, nda)
Vasco ha scritto anche per Emma, che tra le altre ha aperto diversi suoi live. Che mi dice di lei?
Anche se non apprezzo tutto quello che fa, le riconosco la cazzimma. Ricordo quando ha aperto a San Siro, aveva uno davanti che la mandava a fanculo, ma lei non si è scomposta e anzi ha replicato: “Vieni tu sul palco a cantare, testa di cazzo”
Invece pro o contro il Jova Beach Party? Ci sono molte polemiche…
Questo tour è la scoperta dell’acqua calda, tanto di cappello a chi ha ideato i concerti in spiaggia in estate, un’idea semplice e geniale insieme. Poi è inevitabile, quando le cose cominciano ad andare bene, c’è sempre chi deve rompere.
Polemiche strumentali?
Un po’ sì e un po’ no. Lorenzo è un gran paraculo, lo sappiamo tutti. Altrimenti perché scegliere il WWF come partner, si è parato il sedere, no? Ma lo spettacolo lo sa fare eccome.
Sui social invita anche ad andare a votare. Ma per chi vota o non vota Spagnoli?
Finora ho votato di qua e di là, e sono anche deluso. Ma se non voti, sei fuori dai giochi, manchi a un tuo preciso dovere e diritto. Quando abbiamo scelto il M5S eravamo tutti speranzosi, e adesso vedi che fine hanno fatto... Ecco, penso proprio che loro non li voterò più.
Ha lavorato non solo con Vasco, ma anche con altri artisti italiani e internazionali. C’è un nome, tra i tanti, che ricorda più volentieri di altri?
Ho un amore spassionato per i gruppi, come gli Almamegretta o gli Africa Unite. Ho collaborato con entrambi, e ricordo delle persone ricche, che mi hanno insegnato tanto, anche dal punto di vista personale.
Lo nomino soltanto: Massimo Riva…
I fratelli non te li scegli (parla emozionato, nda) e Massimo era un fratello, con tanti pregi e difetti. Una grandissima testa di cazzo, perché uno non può decidere di andarsene così…
Non l’ha mai perdonato?
No, non lo perdonerò mai. Tra l’altro la notizia agli altri l’ho comunicata proprio io. Massimo era sempre puntale, e quel giorno il ritardo di due minuti mi aveva già fatto tremare, come una sorta di sesto senso. Ma capivo il suo momento, quel suo continuo contrasto personale con Vasco, e alla fine ha fatto il gradasso… Ce l’ha fatta pagare.
E Vasco come la prese?
Era il suo complice, il suo alter ego, ognuno di noi ha al massimo un paio di amici del cuore. Sicuramente Massimo era questo, un caro amico che poi ha deciso di andarsene a modo suo. Lo ricorda sempre...
Invece, se potesse parlare col Diego Spagnoli di 40 anni fa, cosa gli direbbe?
Gli direi: vai avanti così, perché riuscirai a fare ciò che ami, anzi anche più di quanto immagini. Perché Vasco è un cavallo vincente, e tu farai addirittura parte della sua scuderia. Che favola!