A volte credo che l’ostilità verso Oriana Fallaci sia dettata non tanto dalla qualità del suo giornalismo, dai risultati ottenuti, ma dal fatto che scrivesse davvero bene, meglio di tanti altri. E scrivere meglio di tanti altri a quel tempo voleva dire scrivere davvero, davvero bene. Era il motivo per cui molti dei suoi articoli diventavano libri e molti dei suoi libri diventavano bestseller. Al centro del dibattito culturale del suo tempo, per un po’ è stata simbolo del grande giornalismo femminile, per tutti quei motivi che oggi invece le vengono recriminati, perché, in fondo, troppo maschili, come l’assertività, il caratteraccio, l’aggressività. Per non parlare della “svolta a destra”, che in realtà non c’è mai stata, ma che ha fatto sì che in tempi di politicamente corretto la nostra giornalista più importante fosse tacciata di razzismo e xenofobia, lei che ha passato una buona parte della sua vita fuori dall’Italia, a scrivere di tutto, a intervistare chiunque, gli scrittori della Nasa e i teocrati mediorientali. Nel modo sbagliato, secondo alcuni, come Luciana Castellina, giornalista e scrittrice femminista che forse qualcosa da invidiare a Fallaci l’avrebbe, in effetti, chi lo sa, ma tutto fuorché la carriera.
Ora torna su L’Espresso con un’intervista di quelle che sono molto apprezzabili per via della schiettezza, virtù rara oggi, dove si confonde la chiarezza delle idee con la chiarezza dello stile, e si finisce per credere che il “bilificio” di certi editoriali sia in realtà libertà di espressione e non, semplicemente, rutto libero. L’intervista, ahimè, è però dedicata esclusivamente a Oriana Fallaci e quindi l’idea che il confronto vada un po’ da sé è conseguenza naturale dell’articolo stesso. È una demolizione controllata dell’autrice Fallaci, della giornalista Fallaci e, infine, della femminista Fallaci. I motivi sono pochi e un po’ li abbiamo accennati. Oriana era imprevedibile, diretta, schietta, onesta, e allo stesso tempo aveva successo, non era incasellabile, aveva idee che non piacevano alla destra e idee che non piacevano alla sinistra. Per capire in che modo Castellina si sia confrontata con Fallaci, basti questa risposta: “Non conoscevo nessuno che leggesse i suoi libri. Oriana ha avuto un momento di notorietà quando si occupò di Panagulis e del colpo di Stato contro la dittatura dei colonnelli, mentre io fui mandata in carcere, ad Atene”. Oriana Fallaci popstar? Macché, semmai donna di potere, che non è finita in carcere. Se fosse finita in carcere avrebbe avuto altro da dire e lo avrebbe detto meglio… Vedi alla voce Ilaria Salis magari.

Poi: “Oriana tutto era meno che giornalista. Quando arrivava nei vari posti si chiudeva in una stanza in attesa che qualcuno dell’entourage le concedesse un’intervista. E aspettava lì, magari per tre giorni, chiusa in camera senza guardare nulla del posto in cui andava. Aspettava solo l’intervista con Gheddafi o con l’eroe di guerra. Poi prendeva il registratore e quando doveva scrivere riportava le frasi come voleva lei, stravolgendo completamente il significato con grande abilità. Non era neanche facile da smentire”. Terribile la vita del giornalista che non rischia la vita eh? Peccato sia l’idea di giornalismo che aveva anche il partigiano Giorgio Bocca, che mal comprendeva l’idea che si dovesse morire per il proprio mestiere, quasi fosse una vocazione più che una professione. Certo, anche Bocca ricordava che Oriana era più presa dalla letteratura che dalla cronaca, ma questo è il difetto dei grandi e i grandi li trovi ovunque, nel Novecento, fortunatamente, anche a cavallo tra giornalismo e letteratura (Hunter Thompson, Indro Montanelli, Giorgio Bocca stesso, Giampaolo Pansa, Joan Didion; anche loro qualcosa la inventarono…).

Stupisce semmai il modo in cui si tenta di liquidare un’autrice proprio rispetto a quelle tematiche che non ha mai avuto paura di mettere al centro dei suoi lavori: il divorzio, il matrimonio, l’aborto, gli anticoncezionali. Battaglie di “femminismo concreto” per così dire, molto simile a ciò che, forse, intende Martha Nussbaum quando critica Judith Butler e i suoi epigoni, dediti ai giochi di parole più che ai progressi reali del genere femminile. E certamente ha fatto ciò che oggi Barbara Alberti rimprovera alle nuove femministe, completamente immerse in discorsi che lei definisce “barocchi” e dunque per definizione superflui. Così Castellina parla di Fallaci e del suo Lettera a un bambino mai nato, che proprio quest'anno fa cinquantanni: “Oriana Fallaci non esiste nel dibattito femminista, che è stato importante e serio. È un mito fabbricato. Faceva cose che piacevano al potere”. Dovette piacere molto al potere il suo dibattito televisivo a favore dell’aborto e contro la pletora di maschi che volevano zittirla, vero? In ogni caso, tanto peggio per il femminismo, che è diventato settario e dogmatico, e all’interno del quale i disaccordi sono solo finti disaccordi, questioni di lana caprina. Oriana Fallaci intuì la tragicità dell’aborto cinquant’anni fa, senza negare il diritto alle donne di praticarlo in sicurezza. Riconobbe anche l’importanza di “prevenire l’aborto” grazie alle pillole anticoncezionali. Tutto questo non è abbastanza femminista? Eppure la tragicità degli aborti non è tema superato. Solo qualche anno fa vinse il Nobel una scrittrice femminista ed esaltatissima, Annie Ernaux, che pure scrisse L’evento, un libro tragico su un aborto clandestino. È questa tragicità che Oriana Fallaci mette in campo, stavolta con un aborto spontaneo e non voluto. Perché non bisogna censurare il dolore per rivendicare un diritto.
Certo è che Oriana Fallaci, eventualmente, non è sola tra gli esclusi dal dibattito femminista. Difficile ritenere Pier Paolo Pasolini “interno” al dibattito femminista, per esempio, soprattutto se si ricorda cosa pensava dell’aborto: “Sono però contrario alla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio”. Ecco, siamo già a due notevoli esclusi, sono sufficienti per un doppio di tennis e un dialogo più costruttivo di quello di Luciana Castellina. Chissà cosa si dovrebbe credere, oggi – e dico dovrebbe poiché per essere tenuti in considerazione forse serve mettere da parte il potrebbe e capire subito come si svolgono i giochi – per non essere considerati dei fascisti. Chissà cosa si dovrebbe pensare di chi, come Fallaci ritiene oggi che l’aborto, per quanto tragico, sia da garantire in sicurezza. O di chi, come Pasolini, ritenga oggi l’aborto semplicemente un omicidio. O di chi, a metà tra i due, ritenga l’aborto un omicidio, ma giusto (è una tesi che in ambito accademico esiste). Il tema non è mai stato Oriana sì, Oriana no; poiché Oriana Fallaci non ha mai cercato accettazione, comprensione o esclusione. Ha fatto quel che voleva nel modo in cui voleva. E questo le ha permesso di scrivere nel modo in cui voleva di ciò che voleva, con una forza espressiva che ha anche, incredibilmente, un valore morale. E i comunisti, come Castellina, dovrebbero imparare che a essere onorevole è combattere per sé, non combattere per loro.
