Faccio una premessa doverosa: vengo dal mondo hip hop, facevo graffiti, ascoltavo rap old school italiano e americano. Ascolto di tutto, da Venditti agli Oasis, dagli Smiths ai Dead Kenendys.
E mi piace Sfera Ebbasta.
Alcune sue cose di più, altre meno. L’ho intervistato nel 2016 a ridosso del referendum costituzionale di Renzi e mi era sembrato di parlare con uno dei miei amici di Taranto, quelli un po’ così: sbarbato, arrogantello, doppio taglio, canne a rotta di collo, outfit stracurato, totale disillusione per la politica. Mi stava simpatico a pelle. Non sapeva bene nemmeno per cosa si dovesse votare in quei giorni. Mi disse una roba tipo “voto per rispetto di chi ha combattuto per questo diritto, però non serve a un cazzo. È come se io ti do due opzioni di colore per una maglia: nera o bianca. Son colori che ho deciso io. Non so se mi spiego”.
Dal 2016 ad oggi ne sono cambiate di dinamiche. La trap che doveva essere una moda passeggera, una wave random, si è incollata alle classifiche FIMI, inonda le radio, sfonda gli stream di Spotify. I ragazzini credo non sappiano manco se esista un mondo musicale al di fuori della trap.
Sfera Ebbasta è l’esempio perfetto di questa progressione forte e veloce come quelle sgroppate di Mbappè sulla trequarti avversaria. Dalle canzoni in cui parla di panette, di mezzi etti nascosti nelle buste di Footlocker, di bro che tirano piste in curva nord mentre tu fighetto vai in pista a Courmayeur, a testi come Bottiglie Privé in cui riflette sul successo, sui soldi che non bastano anche se ne fai a pacchi. Oggi Sfera fattura, muove un sacco di soldi. Penso sia uno dei più pagati. Quello che tocca scoppia.
Da questa base parte il docu-film su Sfera Ebbasta, diretto da Pepsy Romanoff: traccia l’evoluzione, il cammino dai video senza budget alla Lamborghini sul palco del Palaforum di Assago. Dal mixtape streetghetto XDVR passando alla consacrazione di Rockstar.
Insomma, situazione classica. Sul divano con amici, vino pugliese e qualche bomba che gira, Jack mette su Amazon Prime e ci arriva il primo cazzotto: 1 ora e 51 minuti.
“Azz! e che è, la bio di Iggy Pop?!”
1 ora e 51 minuti. Vabbè, dai, diamogli fiducia.
Le immagini scorrono, in sottofondo ci sono costanti beat delle canzoni di Sfera, si alternano interviste all’hoodboy di Cinisello con riflessioni della cerchia di persone che gli sono più o meno vicine: la madre, i suoi bros di quartiere che ormai sono il suo team operativo, il producer Charlie Charles, Marracash, Shablo e in chiusura bella comparsata di Steve Aoki, di J Balvin e di Diplo, protagonisti dei featuring del suo nuovo CD, Famoso, in uscita il 20 novembre.
Sessioni in studio di registrazione, sgommate su macchinoni, filmini di vecchie serate con Sfera fattissimo e Charlie Charles focalizzato sui beat, Jacopo Pesce che dice quanto fosse determinato Sfera e anche il suo entourage... Tutto molto simpatico, ti ci fai due risate e magari rivolgi un sorriso e un abbraccio mentale se sei anche fan di Sfera, guardando questo film. Bello quando Sfera dice “Charlie svolterà mentre io sarò qui come un coglione a fumarmi le canne”.
Però oh, qualche momento di autocelebrazione in meno non avrebbe fatto male, eh.
Ok che la Trap c’ha proprio questa estrema esaltazione dell’Io come attitudine, egotrip totale, ma ci saranno almeno 20/30 minuti eliminabili senza che Sfera ne esca sminuito.
Diciamo la verità: è un ottimo prodotto promozionale. Ripercorre le hit di Sfera, lancia delle esche perfette su potenziali featuring (ChampagnePapi aka Drake, sto parlando di te) e ci sono pure spezzoni di nuove canzoni che troveremo in Famoso.
Non è un documentario in stile Oasis: Supersonic, per dire. Non è come Amy. Zero approfondimenti seri sulla sua vita prima del successo e sulle difficoltà di quando era ragazzino. Sì ok ha fatto il portapizze e l’elettricista, ma due secondi in croce viene menzionata ‘sta storia. Per carità, scelte stilistiche, ma non si sviluppa una forte empatia così.
In quasi due ore di alternanza hype/noia, quello che rimane di positivo è la solidarietà da gang che Sfera ha con i suoi amici storici. È davvero bello vedere come lui li abbia aiutati a svoltare e come loro lo abbiano sostenuto. Tano che fa l’assistente personale, Lori che scatta foto, Flego che fa da tour manager insieme a Tony. E’ quello che vorremmo tutti no? Fare business con gli amici della piazzetta. Per restare ancorati a quel passato duro e povero, sì, ma forse ingenuo e più pulito. Billion Headz Money Gang.
Rimane Charlie Charles, un produttore stratosferico che ha svoltato la carriera musicale di Sfera Ebbasta con le sue basi malate e con la sua capacità di captare il sound che può far ballare migliaia di ragazzini sotto al palco. Rimane Marracash che dice con sintesi estrema “Sfera arriva dritto al punto, con semplicità. È quello che chi comunica deve saper fare”.
Rimane un fatto innegabile: Sfera Ebbasta conquisterà il mondo. Featuring con Future, Offset. Chi si può permettere questi nomi nel panorama attuale?
Molti diranno che Sfera ha successo perché i ragazzini di oggi non capiscono nulla di buona musica. Già me li sento i pipponi generazionali che i sedicenni di mo’ non conoscono i Deep Purple e i Pink Floyd. Ci sta eh, legittima accusa.
Ma andiamo oltre questa narrazione.
Non è che forse Sfera ha successo perché la società è cambiata? Non è che forse Sfera entra dentro il ragazzo di quartiere perché racconta degli sbatti e degli impicci e di come si possono fare soldi facili, un po’ come ci insegna il mondo fuori? Arrivare, arrivare, arrivare. A scapito di tutto e tutti.
Sfera Ebbasta sono io, sei tu, siamo noi, siete voi. Tutti quanti siamo ingolfati in questa ricerca del successo.
E così sia.
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