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FIGLI DELLE STELLE, NON DELL’AUTOTUNE: Alan Sorrenti lancia l’allarme: “Usato per occultare i limiti”. E sui finti sold-out nei concerti è drastico: “Ormai nella musica è tutto falso…”

  • di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

  • Foto di: Studio Tofani (Facebook)

25 giugno 2025

FIGLI DELLE STELLE, NON DELL’AUTOTUNE: Alan Sorrenti lancia l’allarme: “Usato per occultare i limiti”. E sui finti sold-out nei concerti è drastico: “Ormai nella musica è tutto falso…”
Moderno, spiazzante. Date del boomer ad Alan Sorrenti, se ne siete capaci. A Parco Lambro c’era. Ha fatto il prog (“Aria”, 1972). Ha calato la tradizione napoletana nel sound psichedelico. E ha pubblicato tre dischi “americani” suonati da musicisti eccezionali. “Figli delle stelle” (1977) è un classico, ma il mondo di Alan Sorrenti va oltre. “Dal 1988 sono buddista della Soka Gakkai International, ora serve una grande rivoluzione spirituale”. Stasera sarà a Parco Ravizza in occasione della Milano Pride Week. “Voglio ancora osare”. E con Pekka, che ha remixato “Magico… di notte”, la festa è garantita…

Foto di: Studio Tofani (Facebook)

di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

Questa sera, a Milano, Parco Ravizza, c’è anche il "figlio delle stelle" per eccellenza, Alan Sorrenti: buddista, napoletano di ritorno, sperimentatore. Uno che a Parco Lambro “c’era”, uno che immergeva la tradizione napoletana nella psichedelia. Lo sguardo sempre rivolto al futuro, internazionale. Nel quadro delle celebrazioni per il venticinquesimo anniversario, Serravalle Designer Outlet promuove, in occasione della Milano Pride Week (fino al 29 giugno), la quarta edizione di un evento musicale gratuito che si inserisce all’interno del programma Milano è viva, promosso dall’assessorato alla Cultura del Comune di Milano. L’area di via Brahms nel Parco Ravizza, cuore verde della zona sud di Milano, sarà teatro di uno spettacolo che, fra gli altri, vede anche protagonista, in chiusura, Paola Iezzi. E poi c’è lui, il magnetico Alan Sorrenti che abbiamo intervistato sulla musica di ieri e di oggi. 

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Alan Sorrenti foto Facebook

Come ti poni rispetto all’evento di questa sera?

Milano è una città speciale. “Figli delle stelle” è nata a Milano, è esplosa in una Milano che rifioriva, che aveva un'altra luce. Ricordo un fantastico showcase al Divina Club. Io, Grace Jones con “La vie en rose”. Milano, eccitante e internazionale, è sempre stata accogliente nei confronti delle mie evoluzioni artistiche, fin dai tempi del periodo prog. Il concerto di Parco Lambro nel 1976, per dire, fu una sorta di Woodstock italiana.

Dichiarazioni particolari se pensiamo che sei napoletano. Un artista partenopeo che, a differenza di altri, sembra quasi aver dissimulato, artisticamente, la propria napoletanità.

A Napoli per anni mi sono sentito uno straniero. Mia madre era gallese e mio padre lavorava alla base militare Nato di Napoli. Viaggiavo parecchio, ogni tanto andavo in America, in Gran Bretagna andavamo a trovare i parenti. Attraversavo la Manica e mi trovavo catapultato in un altro mondo. Musicalmente sono cresciuto a Londra, della tradizione napoletana non ne volevo sapere e da Napoli volevo solo fuggire. Però col napoletano ci ho anche giocato, vestendo quella cultura di psichedelia (il brano “Dicitencello vuje”, 1974). Quel pezzo, che finì anche in classifica, rimane ancora oggi un brano unico nel panorama napoletano. Una canzone che sa di rinconciliazione con la mia terra.

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Alan Sorrenti foto Facebook

Esplorare, per te, è stata quasi un’abitudine dal punto di vista artistico.

Dopo quel disco feci un viaggio nel Senegal del sud alla ricerca dei ritmi africani. Da quella esperienza uscirono due cose importanti: innanzitutto conobbi la forza espressiva del ritmo. Fu quella – una volta chiuso il periodo prog – a riportarmi in America per fare un disco. Un album (“Sienteme, it's time to land”, 1976) in cui, quasi a riaffermare il potere della mia napoletanità ritrovata, inclusi il brano "Sienteme".

La tua partecipazione al concerto di questa sera, fitto di nomi giovani, è più una testimonianza della tua omai eterna modernità o di uno spiccato affetto per le battaglie del Pride?

Sono sempre in movimento e ho simpatia per tutto ciò che osa andare oltre. Il mio ultimo album del 2022 (“Oltre la zona sicura”) – presentato anche alla Biennale – è stato registrato con Stefano Ceri, che viene da una scena milanese decisamente giovane. Da questa scena ho ricevuto attestati e riconoscimenti inattesi, ho scoperto di essere stato un’ispirazione per loro. Così mi sono riallacciato al mio passato, un fenomeno strano per me, visto che non ho mai guardato molto al passato. Oggi potrei fare anche cose più semplice e popolari, però ciò che mi muove è la voglia. La stessa voglia di esplorare che mi ha spinto a incidere un album dopo 19 anni di silenzio. Situazioni come il Pride mi danno la possibilità di fare la cosa a cui tengo di più: esprimermi davanti a un pubblico giovane, fresco. Tra l'altro, da quando ho espresso questo desiderio, a Tokyo nel 2019, durante una cerimonia buddista – perché dal 1988 sono buddista della Soka Gakkai International –, sono avvenute tante cose. Pekka, un dj giovanissimo, ha remixato “Magico... di notte”, brano tratto da “Di notte”, l’ultimo album della trilogia americana. Un disco che, per via di complesse ragioni legali, era quasi andato perduto e che presto (finalmente!) Universal ristamperà. Un album molto forte, persino migliore di “Figli delle stelle”, che però non ebbe la fortuna che forse meritava. Ecco, stasera, con “Magico… di notte” si ballerà. Pekka gli ha dato un tiro spaventoso.

Come commenti l’uscita di Elio secondo cui il rap non è musica ed è umiliante che il vincitore di Sanremo, Olly, abbia vinto il Festival a colpi di autotune?

Non c'ho mai pensato (sorride, nda), nel senso che… Mah, il rap ormai è una cosa normale. Una consuetudine. Non mi appartiene, ma è una cultura che dà molte possibilità espressive all’artista. Partiamo dall’autotune, invece: su questo Elio può avere ragione, almeno in parte, nel senso che se utilizzi l’autotune come effetto, allora è un conto. Così ne fai un uso, diciamo, artistico. Se lo usi per cantare sempre in tono, invece, non mi convince perché ti ritrovi pezzi pop, melodici, che suonano inutilmente artificiosi. In questo senso l’autotune sembra un po’ un modo per occultare i propri umani limiti. Mi piacerebbe molto tornare a sentire voci più vere, limiti inclusi. Oggi mi pare tutto sempre poco umano ma, se così è, allora dov’è la musica? Dov’è la musica se attraverso di essa non trasmettiamo la nostra umanità? Il nostro orgoglio – nonostante guerre e orrori – di essere umani?

Federico Zampaglione, di recente, ha spiegato bene come funziona il sistema che rende molti recenti concerti “sold-out” una grande furbata che alla fine mette in crisi proprio l’artista medesimo…

Oggi è tutto falso. Cioè, se vogliamo andare in fondo e dirla tutta: oggi, di vero, c’è pochissimo in giro. La politica, il giornalismo, la pubblicità. Tutto fake. E noi stessi, quasi per forza, finiamo per essere sempre più falsi. Viviamo nell’inganno della maschera. Nessuno è più responsabile. Perché è facile non esserlo, perché nessuno dice più che fa male non esserlo. Questa è la lotta che ci aspetta se vogliamo evitare di sprofondare nella logica delle guerre, del razzismo. Dobbiamo tornare a noi stessi, alla connessione con noi stessi. “Sienteme” era questo: ascoltiamo la voce della coscienza. Ora mi pare che stiamo tutti vivendo una vita parallela. Falsa.

Una consapevolezza, la tua, che viene anche dal buddismo?

È necessaria una rivoluzione umana, spirituale. Non vedo alternative.Certamente.

https://mowmag.com/?nl=1

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