Federico Zampaglione ha deciso di intervenire in prima persona su una delle questioni più chiacchierate (e più fraintese) del mondo della musica dal vivo: quella dei finti sold out. E lo ha fatto con un post su Facebook, usando un linguaggio diretto, ironico e tagliente, costruito come una vera e propria sceneggiatura. Nessun nome, nessuna accusa esplicita, ma la descrizione piuttosto lucida di un meccanismo che “da anni sta distruggendo il sistema dei concerti e molte carriere”.
“Allora, tu sei l’artista e io chi ti organizza i concerti. Ok?”, scrive Zampaglione, dando il via a un dialogo serrato e inquietante. L’artista viene illuso, lusingato: “Bro, credo che a questo punto… dopo il successo virale del tuo singolo, meriti qualcosa di più, dobbiamo fare il grande salto”. L’obiettivo è “uscire dal mucchio”, lanciarsi con coraggio nel tour nei palazzetti, o meglio ancora negli stadi, e farlo apparire subito sold out, anche se i biglietti non sono affatto volati via.


“Così scateniamo l’ufficio stampa e ti fanno santo subito!”, continua il discorso fittizio dell’organizzatore. L’artista accetta, si espone, si carica di aspettative e di hype social. Ma poi, come spesso accade, arriva il risveglio amaro: “Non stai vendendo un caz*o, lo stadio è semivuoto!”, gli viene detto un lunedì mattina.
A quel punto, la macchina del finto successo si mette in moto. L’organizzatore propone la “soluzione”: riempire artificialmente il palazzetto con biglietti gratuiti, scontatissimi, regalati con la spesa o distribuiti nei locali tramite contest. Tutto pur di evitare l’annullamento, che “rovinerebbe la tua immagine”. E se l’artista accetta? Entra nel tunnel: “Da questo momento in poi tu fai solo quello che ti dico io e tutto ciò che guadagni per un buon 85% è mio, perché devo rientrare… e i costi li ho in mano io, non te”.
Il messaggio di Zampaglione è forte e chiaro: la fame di visibilità e la pressione dei social possono rendere gli artisti vulnerabili a un sistema che sfrutta il loro ego e li intrappola in dinamiche economicamente insostenibili. Nessun riferimento diretto, nessun nome, ma una fotografia spietata di una prassi “che accade da circa trent’anni, con un’impennata spaventosa in tempi recenti, soprattutto ai danni di artisti giovani e inesperti”.
Il post si chiude con una frase che suona quasi come una sentenza: “Triste morale della favola? Solletica l’ego di qualcuno (meglio se ingenuo o megalomane) e poi… mangiaci sopra a vita”. Una denuncia cruda, lucida, che smonta l’illusione del successo immediato e smaschera l’industria che ci gira attorno. Non serve aggiungere altro.


