L'inverno milanese quando si parla di musica (e non solo, ma oggi ci concentriamo su questo), non ha nulla da invidiare, tra club pieni e concerti spesso sold out. Ma è d'estate che Milano diventa davvero internazionale, quando i grandi festival prendono il controllo della città e nomi, italiani ma soprattutto stranieri, si dividono tra San Siro, Ippodromo, Carroponte e altri spazi all'aperto trasformati per l'occasione in "templi della musica". Sulla carta è tutto bellissimo, ma nella realtà l'esperienza è spesso frustrante. Milano è una delle poche città italiane in grado di attrarre certi artisti (anche se alcuni, vedi Billie Eilish e in passato Harry Styles, decidono di "snobbarla"), ma allo stesso tempo non è ancora capace di ospitarli come si deve. San Siro ha una delle acustiche peggiori per quanto riguarda le venue dedicate ai concerti estivi. Sì, certo, è sicuramente emozionante vedere un concerto alla "Scala del calcio", ma se chiudi gli occhi e apri davvero le orecchie spesso è difficile capire le parole. Anche all'Ippodromo, diventato il cuore dei festival estivi, la situazione non è molto diversa. Non solo si sente male, ma si vede peggio. E tra i minuti (se non ore) di file per panini, token e bagni, il rischio è di perdere il posto e, magari, anche parte del concerto. Basta guardare, per fare un esempio concreto e recente, le immagini del concerto della scorsa settimana di Dua Lipa. Ottantamila persone, un grande successo, ma chi ha comprato il biglietto "base" avrà visto qualcosa? Si sarà dovuto accontentare dei ledwall?
La verità, forse, è che le location milanesi non sono pronte per i grandi eventi musicali. Sono spazi prestati, adattati, improvvisati. E chi ci rimette, alla fine, è sempre il pubblico, che paga cifre enormi per un biglietto "base" a cui vanno aggiunti, a volte, anche viaggio e alloggio. E tutto questo per cosa? Per guardare un ledwall a metri e metri di distanza, circondati da gente che si lamenta, suoni impastati e una gestione della sicurezza spesso più "formale" che efficace. Una volta poteva bastare l'atmosfera, ma oggi no. I fan, complice anche l'aumento spropositato dei prezzi dei biglietti, sono cambiati. Sono più consapevoli ed esigenti, e fanno bene a esserlo. Spendono tanto e chiedono il giusto: rispetto, qualità e un'esperienza vera. La musica non è solo numeri, non è gridare al sold out, ma vivere un'esperienza che possa essere ricordata con entusiasmo. Invece di continuare a spingere sui grandi eventi estivi bisognerebbe cominciare a pensare a come renderli più sostenibili. No, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche emotivo, umano, economico e culturale. Costruire spazi che rispettino il suono, oppure se non si può, adattare realmente quelli che ci sono già. E Milano può farlo, anzi deve. Perché è considerata la capitale della musica da molti, se non da tutti, ma non basta portare grandi nomi per esserlo davvero: bisogna saperli accogliere come meritano. E come merita chi paga per ascoltarli.
