Quello di ieri sera a San Siro è stato un concerto anticipato da un grande chiacchiericcio sulla questione dei biglietti. Elodie però non è solo una cantante, è anche un’industria, dietro cui ruotano professionisti di ogni sorta, dai parrucchieri alle società plurimilionarie. Scegliere San Siro come location è un rischio d’impresa e se le vendite non sono andate come da aspettative non è uno scandalo, anche se tanti biglietti sono stati omaggiati o scontati per evitare vuoti di folla. La vera notizia è che lo show messo in piedi da Elodie per i suoi due stadi (sarà al Maradona di Napoli il 12 giugno) non lascia spazio a detrattori.
Non avevo mai visto Elodie dal vivo fino a due settimane fa, ma quando in occasione del concerto di Radio Italia ho avuto la possibilità di vederla a pochi metri di distanza, è stata come un’epifania. D’un tratto ho capito la smisurata venerazione che gli riserva il suo pubblico e soprattutto perché è la reginetta d’elezione della comunità lgbtq+. Non ne ha mai fatto mistero, allo studio di registrazione preferisce il palco. Elodie non è una cantautrice, né un intellettuale, anche se vorrebbe diveltarlo, ma la padronanza che ha del corpo, voce inclusa, le assicura una posizione altrettanto autorevole. Entra in scena sulle note di “Tribale” ballando in mezzo all’acqua, che le rimane addosso per poco tempo vista la temperatura già bollente, che lei contribuisce a innalzare con balletti lascivi e outfit sadomaso (su “Mi ami Mi odi” si è presentata con una frusta).
A parte il fondale di schermi led, la dinamica dello spettacolo è scandita tutta dal corpo di ballo, a cui Elodie si unisce più o meno attivamente a seconda della coreografia, ma senza mai rinunciare a cantare, rinnegando così il ricorso al playback. Quando attacca “Guaranà” riconosco subito la citazione di “Hung up” di Madonna, così come quella immediatamente successiva del remix di “I feel love” di Madonna nel “Confession Tour”, a cui Elodie assistì a Roma.
Quello per Madonna è un amore dichiarato da sempre e infatti le ispirazioni sono tante ed evidenti, dalla croce usata come trono, al richiamo all’album “Erotica”, con cui ha intitolato uno degli atti che componeva lo spettacolo (gli altri erano Magnetica, Galattica e Audace). Di Madonna però sposa soprattutto lo spirito, che con le canzoni si trasforma in messaggio: la consapevolezza del potere sovversivo di una fisicità e quindi di una sessualità vissuta naturalmente, senza tabù e soprattutto, senza malizia. Se pensate che si sveste così per gli uomini, non avete capito un caz*o, l’ostentazione sfacciata della sua bellezza, con pantaloncini striminziti, corpetti killer e tutine leopardate è una celebrazione della femminilità, per le donne e per chi si identifica come tale. Non è una scelta seduttiva ma piuttosto educativa. La sensualità viene prima della seduzione e nasce da una profonda conoscenza del proprio corpo e dei propri gusti, per questo la cultura queer è più avanti degli altri e lo riconosce prima. In questo discorso calza a pennello il tributo a Gianna Nannini, super ospite della serata, con cui canta “America”, un non troppo celato manifesto dell’autoerotismo femminile.
Sulla copertina dell’album che la includeva infatti, era ritratta la Statua della Libertà con in mano un vibratore al posto della torcia. Nel format “What’s in my bag” di Vanity Fair, a Sanremo anche Elodie aveva mostrato fra i suoi oggetti un vibratore rosa, per smorzare la tensione del festival, dando così un grande esempio di libertà, ancora limitata quando si tratta di questi temi.
Tra gli altri ospiti l’inaspettato duo con Achille Lauro regala un momento di euforia generale. Dopo “Folle città” in ricordo dell’esibizione sanremese, tocca al cavallo di battaglia di Lauro, “Rolls Royce” e bisogna dire che lo stadio cantava all’unisono. Così come accade poco dopo con Gaia, con cui invece ripropone la sua “Chiamo io, Chiami tu” con tanto di coreografia dell’ormai famosissimo Carlos Diaz Gandia. Sul finale quando i colpi di scena sembravano finiti, tira fuori una bandiera della Palestina, schierandosi pubblicamente.
A voler fare delle critiche c’è sempre spazio, è innegabile che in termini di originalità non spicca, ma non è il suo interesse, “Non voglio cambiare la musica italiana” aveva dichiarato, è onesta e tanto basta. È vero spesso cade in qualche scivolone, che gli fanno pagare a caro prezzo, eppure in questa ragazza del Quarticciolo, tutta istinto e passione brucia qualcosa che nessuna delle pop star nostrane riesce a replicare. La speranza è che la sua narrazione, sia quella che fa per sé che quella che ne fanno gli altri, sia sempre meno retorica e più incentrata a tirare fuori una complessità che forse ancora non si è mai vista.
