Due rette parallele che sfidano l’impossibile, convergendo, invece di continuare la loro traiettoria verso l’infinito. Finisce che, contro ogni regola, s’intersecano e, nonostante l’eccezionalità dell’evento in sé, le conseguenze sono alterne: estremamente brutali e velenose o, delle volte, fortunate. Comunque straordinarie come minimo comun denominatore. Fuor di metafora, esiste un certo assioma tra le regole non scritte della narrazione, per cui “più è personale, più funziona”. Succede nei film, anche quelli da nomination all’Oscar come È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino. Succede che alcune opere di natura squisitamente autobiografica, per quanto romanzata a tratti, diventino davvero un fatto personale: i personaggi, le persone, si fanno conoscenti, amici, parenti, kriptonite di chi ne fa conoscenza, che poi li racconta a sua volta, ci pensa, trova alibi o condanne, in buona sostanza, non può restare indifferente ai loro fatti, alle parole al veleno che hanno in corpo e che sputano addosso. Il veleno nella coda di Francesco Mazza è tutte queste cose e molto di più. Un rapporto padre e figlio che è un duello in punta di fioretto o testa d’ariete, qualcosa di deflagrante che non può avere che la morte come epilogo e, contemporaneamente, nuovo inizio: l’esordio letterario di Francesco Mazza.
Autore tv, creator per gli Estremi Rimedi cresciuto a Milano nella Milano degli anni Ottanta, l’autore ci guida in un viaggio alla scoperta di suo padre, “il Dottor Mazza”, partito dal niente e divenuto dentista di Silvio Berlusconi. Con sincerità disarmante, le 600 pagine del romanze sono una biografia parallela tramite le reazioni del figlio e i diari, reali, del padre Massimo, fino alle ultime righe autografe, quelle del giorno in cui decide di togliersi la vita all’interno del suo prestigioso studio.
Le vite che scorrono in parallelo tra le pagine de Il veleno nella coda sono quelle di Francesco e Massimo, legate dal fil rouge del rifiuto, della voglia di riscatto rispetto a una società, una donna, un suocero che li scaccia via come se potessero farlo, che uno scorpione è ben altra cosa rispetto a un moschino. Si ricorda. Si ricorda e agisce con freddezza, aspettando il momento per colpire il rivale, l’avversario, se stesso.
Tra contraddizioni, incomprensioni e l’ascesa improvvisa dalle stalle alle stelle, gli incontri con Silvio Berlusconi, la Milano che conta, padre e figlio crescono sempre più lontani, maturando una certa freddezze e un’estrema lucidità, quella che permette al romanzo di essere così spietatamente sincero.
Difficile collocarlo in un genere preciso: Il veleno nella coda è un romanzo di (de)crescita personale, un viaggio nella macro Storia italiana degli ultimi 30 anni e nelle vicende di un padre e di un figlio che, rette parallele di vite parallele, non riescono a trovarsi e nemmeno gliene importa. O forse sì. Ma chissenefrega. Catch me if you can. Importa invece, molto, al lettore che si ritrova avviluppato in una storia ipnotica, un dedalo di contraddizioni, Oscuri Inquilini, Uomini Tigre e code da scorpione. La versione dei due.