Non è un librone, Battiato l’alieno (Mimesis Edizioni). Centosessanta pagine e via andare. Te le mastichi comodamente durante un viaggio in treno fra Milano e Parma, tra un paragrafo e l’altro ci sono anche tanti splendidi fumetti. Il fatto è che poi, chiuso il libro, le parole, i concetti e le suggestioni ti inseguono. Ti stanno dietro, non ti mollano. Riverberano. Battiato l’alieno è una collezione di testimonianze. Fotografi, musicisti, scrittori, galleristi, autori in senso lato e semplici amici raccontano con un flash il loro Franco Battiato. C’è chi ha raggiunto una fraterna, fragile e preziosa confidenza, chi si è “fermato” a forme di elevata e profonda collaborazione. Ci sono le tavole di Maurizio Di Bona, poi, che oltre ad esibire un tratto efficacissimo tra caricatura e fotografia, ha la folgorante capacità di parcellizzare la parabola di Battiato in modo da renderla fruibile a tappe. La densità di Battiato ironicamente “sciolta” in una serie di vignette e dialoghi fulminanti. C’è anche Alessio Cantarella, l’altro autore del testo, un ingegnere informatico catanese appassionato di arte, cinema, viaggi e lingue. Era amico del maestro siciliano, con cui ha collaborato per la realizzazione del film Niente è come sembra del 2007.
Cantarella, che ha lavorato anche per Manlio Sgalambro, scrive in apertura: “Battiato e Sgalambro avevano interessi completamente diversi: il primo era appassionato di Gurdjieff, Rumi, Medio Oriente, Tibet, sufismo, buddismo; il secondo di Schopenhauer, Spinoza, Occidente, Mitteleuropa, ateismo, empietà. Mi piace pensare a entrambi come due galassie, piene di costellazioni, ma anche di clamorosi buchi neri. Ma com’è possibile che due personalità così diverse abbiano dato vita a una collaborazione così prolifica che ha prodotto dei brani immortali (ad esempio “La cura”)?”. Cantarella azzarda una risposta, ma in realtà è l’intero volume ad essere un tentativo di dare risposte (al plurale; quella sulla collaborazione con Sgalambro non è la sola domanda). Perché non c’è battiatologo che, per quanto informato e dotto, sia in grado di raccontare Battiato da “Fetus” (1972) a “Del suo veloce volo” (2013) senza perdersi almeno quattro o cinque volte durante il labirintico tragitto. Così, saggiamente, Di Bona chiede aiuto al suo tratto straordinariamente evocativo, Cantarella a una serie di voci che, osservazione dopo osservazione, creano un’illusione di magica coerenza.
Gentleman colto. Questo lo si è sempre detto e saputo, di Battiato. Meno che fosse un fantastico barzellettiere. Chiunque sia entrato in contatto con lui ha dovuto varcare lo spazio del pregiudizio: Battiato severo e intransigente. Battiato ortodosso e puntiglioso. Chi ha avuto la fame, più che la semplice voglia, per guardare oltre ha spesso trovato, in realtà, un uomo generoso e affabile. Ginevra Di Marco ricorda di quando, incredula, lo corresse, avvenimento piuttosto raro considerata la cultura del personaggio. Antonella Ruggiero rievoca “Povera patria” denunciandone la triste attualità. Con quel messaggio finale che aleggia da anni, ottimistico, quasi Battiato avesse scorto, lontana, una luce che non siamo ancora riusciti ad afferrare e baciare (“Non cambierà? Sì, cambierà…”). Garbo ci riporta a quell’estate italiana del 1981 in cui il pop italiano cambiò linguaggio: “Il 21 settembre […] avremmo pubblicato i rispettivi album: “La voce del padrone” e il mio primo “A Berlino… va bene”. Credo che da quell’estate in poi sia cambiato il modo, nella gente, di ascoltare musica italiana. Si stava trasformando il mondo sonoro e anche quello lirico definitivamente”. C’è chi lo ha intervistato, chi ha consumato i suoi nastri, chi ne ha condiviso i percorsi filosofici e sperimentali. E appena uno chiude il proprio racconto, Di Bona piazza un paio di tavole che ti fanno cadere la mascella. Momenti storici (c’è Battiato, solitario a un videogioco da bar, mentre, sopra il disegno, campeggiano le immortali parole de “La stagione dell’amore”: “Se penso a come ho speso male il mio tempo che non tornerà, non ritornerà più”), incontri ironici (l’ipotetico dialogo con Ernest Shackleton, quello con una donna che lo scambia per Lucio Battisti, un altro con un’altra donna che ci resta malissimo perché Battiato, in fase di corteggiamento, le regala un libro-mattone).
Qualche anno fa uscì un’altra biografia sui generis per un altro “alieno”: José Mourinho (“L’alieno Mourinho” uscì per i tipi di Isbn Edizioni). Per scrivere di quell’altro alieno Sandro Modeo si confrontò con alcune questioni “alte” che esulavano da mere quisquilie tattiche. Si volava dove altri non volavano. E così Tea Falco, fra le tante voci, per spiegare il suo Battiato è costretta ad andare “oltre Battiato”: “Cominciamo ad impostare le nostre menti e creiamo preconcetti. Ci danno un nome, un cognome e tanti numeri. Ci incasellano su quaderni a righe a scuola. Ci insegnano a fare degli schemi e ci allontaniamo per sempre dalla nostra natura. Ci scordiamo che anche noi siamo natura, noi che volevamo essere liberi e correre tra i fori. Ci insegnano il valore dei soldi, ci insegnano a lavorare, ciinsegnano a maturare, ma nessuno ci ha mai insegnato a sognare”. Battiato, semplicemente, con la sua arte ci ha sempre detto che non poteva essere “tutto qui”.