In Fubar si condensa tutta la retorica dei film d’azione. Luke Brunner (Arnold Schwarzenegger) è un padre di famiglia divorziato che inganna da quarant’anni la famiglia. La sua vita da venditore di attrezzi per il fitness è solo una copertura: in realtà è un agente della CIA. La sua ex moglie Tally (Fabiana Udenio) non sospetta niente e sta cercando di rifarsi una vita con un altro uomo. Emma (Monica Barbaro) è la figlia perfetta: sempre stata la migliore in tutto, è orgogliosa del padre. L’unica pecca è la scelta del fidanzato, Carter (Jay Baruchel), bravo ragazzo ma del tutto incapace di reggere il confronto con il maschio alpha Luke. “Non sarei quella che sono se non ci fossi stato tu” dice Emma al padre a metà del primo episodio. Luke, però, deve completare l’ultima missione prima della pensione e per l’ennesima volta è costretto a lasciare la casa dove si è riunita la famiglia. Accompagnato in modalità blended da Barry (Milan Carter), classico nerd ed esperto di informatica, l’agente deve raggiungere il Guyana per incontrare Boro Polonia (Gabriel Luna), il figlio di un terrorista ucciso anni prima. Boro è ormai cresciuto e, sfruttando l’educazione pagata da Luke, attanagliato dai rimorsi, è riuscito a mettere in piedi un traffico internazionale di qualsiasi cosa. Soprattutto armi. Infatti, Boro sta lanciando sul mercato una sorta di bomba atomica portatile. Luke arriva sul posto e poco dopo scopre che la miglior guerrigliera del criminale è proprio Emma, figlia integerrima e agente della CIA, proprio come lui. La prima missione della nuova coppia, però, si complica quando vengono scoperti e fin da subito è chiaro l’andazzo che prenderà il resto della serie.
Padre e figlia nascondevano delle tensioni irrimediabili: la figlia non ha perdonato al padre il suo essere stato assente e della sofferenza causata alla madre, mentre Luke non crede che Emma sia davvero quella “donna volgare”, che beve e usa vibratori a forma di rossetto. In qualche modo, i due riescono a completare la missione. La direttrice Dot (Barbara Eve Harris) decide di affidare il resto delle operazioni a entrambi gli agenti: Luke e Emma saranno costretti ad affrontare le proprie difficoltà per guidare il team, composto anche da Aldon (Travis Van Winkle), Roo (Fortune Feimster) e Tina (Aparna Brielle), alla cattura di Boro. La storia non è particolarmente innovativa: doppie vite, tensioni padre-figlia, fantasmi del passato che ritornano e che si impongono come veri arcinemici. Impossibile non vedere le similitudini con True Lies di James Cameron, dove Arnold aveva già vestito i panni di un agente sotto copertura. Anche le scene d’azione, pur essendo ben congegnate, non lasciano il segno. Non male, invece, alcuni intermezzi (seppur non troppo rilevanti ai fini della storia principale), come l’organizzazione della fuga del Grande Danese (Adam Pally) da una prigione turca, ex criminale che ha la giusta fama per organizzare senza sospetti un incontro con Boro.
Anche qui, niente di nuovo. Allora come si fa a rendere interessante una serie che si tiene su tutti questi cliché? Occorre che gli attori e i personaggi reggano la scena con la loro caratterizzazione. Questi ultimi riescono nell’essere davvero ridicoli. Ognuno è la parodia di se stesso: Luke, Emma, gli altri membri del team spingono all’estremo i loro tratti distintivi. Chi fa il belloccio, chi l’isterica. C’è l’agente navigato e la nuova leva. La sceneggiatura mette in campo un umorismo che non fa prigionieri, cercando a tratti di diventare scorretto. Non sempre ci riesce, certo. Però, quantomeno, ai sermoni di Schwarzenegger (Arnold, sei un po’ invecchiato, mi spiace) si alternano battutacce talmente basse e grezze da far ridere. Sul sesso, “sull’inzuppare le mani nel barattolo di miele”, le infinite modalità con cui vengono descritte le infiltrazioni riuscite (“la torta è nel forno”, “il pipistrello è nella torre”) fanno pensare che l’ironia di Fubar voglia scimmiottare la lunga saga di Mission Impossible. La risata vince sempre contro l’azione. Gettare fango su un genere per renderlo nuovo: questa è l’idea che sta dietro la serie. Anche nei momenti più toccanti, infatti, si cerca sempre di non eccedere nella serietà: la nipote di Emma ha bisogno di un trapianto e per questo l’agente non esita a torturare un potenziale donatore. Poco male, nessuno si strappa i capelli. Così come passano inosservati i discorsi sulla legittimità delle uccisioni, dell’influenza in stati satellite e di altre buone abitudini dei servizi americani. Niente di tutto questo. Ma sì, buttiamola in caciara. La serie, ci fa sapere l’ultimo episodio, avrà un seguito. Tina, l’analista e novellina del gruppo, sembra essere una spia russa. Sì, ancora i russi. Non si smentiscono mai i bolscevichi. Paradossalmente, la serie sarebbe da buttare se non fosse così ridicola. Non preoccuparti, Arnold, la pagnotta a fine mese te la porti a casa. Basta che ci lasci il piacere di guardarti mentre siamo distratti, mentre mandiamo mail, puliamo casa, leggiamo i messaggi, sapendo che quando alzeremo la testa troveremo qualche motivo per sogghignare. Non ridere a crepapelle. Quello no. Contenti noi... Ho un dubbio. Ma loro lo sanno di essere dei pagliacci? Speriamo che almeno quello sia voluto.