Il Gattopardo su Netflix sta seminando il panico, critiche a destra e a sinistra, uno sciame di opinioni che fluttua nell’aria. Ma cosa ne pensa davvero un esperto, scrittore, intellettuale come Fulvio Abbate di questa serie tv? Lui che è siciliano, rispettoso della sua terra, delle sue culture e della Storia. Su Deva Cassel (che interpreta Angelica, ruolo storicamente appartenuto a Claudia Cardinale) ha qualche dubbio, il Tancredi di Saul Nanni? “Volto perfetto per Le Iene”. E sulla sua Sicilia, ancora una volta trasformata in una cartolina per stranieri… Ecco cosa ci ha raccontato su Il Gattopardo tra aneddoti legati al romanzo di Tomasi di Lampedusa di cui Abbate ha colto l’essenza all’epoca (e forse l'assenza oggi), quella forza nascosta tra i movimenti, le forme degli abiti e quelle intense emozioni vissute negli anni Sessanta dalla gente per le strade di Palermo mentre si girava il film di Visconti, e sul sogno bellissimo della compianta amica e attrice Eleonora Giorgi…


Fulvio Abbate. Il Gattopardo, da libro a fim. Ora è diventato una serie su Netflix. Secondo te, questo nuovo esperimento somiglia alle due opere che l’hanno preceduto?
Partiamo da un presupposto. Ultimamente mi ritrovo a curare un corso di Drammaturgia Multimediale all'Accademia d'Arte Drammatica di Roma. Dove scopro studenti che, nella maggior parte dei casi, ignorano informazioni che riteniamo scontate. Immaginiamo quindi uno spettatore “vergine”, che non si pone il problema di fare un raffronto tra Burt Lancaster-Principe di Salina e l'attuale interprete, cioè Kim Rossi Stuart. Tra l’altro, se ho capito bene, quest’ultimo ha detto in un’intervista di non avere mai né visto il film di Visconti né letto il romanzo di Lampedusa. Molti quindi guarderanno la serie come si guarda una soap. Detto questo, Kim Rossi Stuart, piuttosto che un aristocratico del 1860, ha la postura di un assessore provinciale del Partito Socialista democratico, metti, di Partinico. Questa la mia prima sensazione.
Fin dall’inizio, una delle principali polemiche ha riguardato la lingua. Basta guardare il cast: Deva Cassel, Benedetta Porcaroli, Saul Nanni… nessuno di loro è siciliano. Non sarebbe stato meglio scegliere attori locali? O almeno lavorare di più con un coach linguistico, visto che alla fine il siciliano sembra quasi assente?
Ho vissuto un'esperienza simile più di vent'anni fa su un set. Mi fu chiesto di fare da coach e collaborare anche alla sceneggiatura del film Marianna Ucria, tratto dal romanzo di Dacia Maraini. Il lavoro su accenti e inflessioni è sempre un tema delicato. In quel caso, spettava a me impostare la “parlata” agli attori, nessuno di loro era siciliano. Qui, ne Il Gattopardo, la situazione è simile: hanno una lieve inflessione dialettale, ma senza esagerazioni. Per esempio, la "je" tipica del catanese non c'è, perché siamo in un contesto palermitano. Se c’è stato un coach, avrà certamente lavorato su questo aspetto. Alla fine, gli attori recitano in modo decoroso, senza mai risultare caricaturali. Hanno semplicemente colorato il loro italiano con un’inflessione palermitana. Quindi, per me, se c’è una polemica in questo senso è un falso problema. E poi ci sono anche attori siciliani nel cast, così come molte comparse. Aggiungi che hanno scelto molti attori locali e soprattutto volti di figli autentici del contado siciliano, facce da fuorisede trasferiti in città. Per il resto, il lavoro è basato sul romanzo. Seppure molte cose appaiono alleggerite o volutamente travisate.
Cioè?
All’inizio non troviamo nessuna tenda della villa del principe mossa dal vento, compare però il soldato borbonico trovato morto nel giardino, presagio della rivolta in atto. Insomma, mi sembra che abbiano seguito la scrittura di Tomasi di Lampedusa.
Parlando invece di “cambiamenti” e “new entry”. Il personaggio di Concetta, interpretato da Benedetta Porcaroli, è stato raccontato in modo diverso rispetto al passato. Necessario stravolgere un po’ le dinamiche e i personaggi del libro e del film per renderli più moderni? Oppure era meglio rimanere più fedeli alle opere originali senza snaturarle?
Credo che la produzione punti molto sul potenziale erotico di Benedetta Porcaroli. A differenza della Concetta del film di Visconti, occhi bassi e divorata dal pudore, qui le è stata data un’aria più educata, ma al tempo stesso vogliosa. Tuttavia, tutto questo viene poi spazzato via dall’irruzione di Angelica. Sul piano visivo e sensuale, la Porcaroli con il suo volto da ragazza della Camilluccia non ha nulla di siciliano. Mostra semmai Roma Nord: Fleming, Vigna Clara, Camilluccia. Ma senza questa scelta, i primi due episodi e mezzo della serie sarebbero stati privi di qualsiasi tensione, come dire, sessuale. Resta però che nel romanzo Concetta è sempre sullo sfondo, qui invece diventa il personaggio femminile determinante nell'intera storia, si tratta di una forzatura scenica, una riscrittura vera e propria secondo alcuni in senso femminista, in realtà nel romanzo di Lampedusa le donne hanno un ruolo ancillare. E anche Francesco Paolo, il figlio di Don Fabrizio, nel libro non è affatto così presente. La sua morte nella serie vorrebbe introdurre una denuncia del dominio mafioso, ma è solo un accenno poco chiaro.

Concetta che si invaghisce di Tancredi, interpretato da Saul Nanni.
Saul Nanni più che da Tancredi Falconeri ha semmai la faccia di chi potrebbe benissimo fare parte de Le Iene, sembra proprio uno di loro, te lo immagini in blazer nero Armani. Ma dobbiamo tenere presente che il nuovo pubblico potrebbe ignorare il precedente di Alain Delon. Dunque molte ragazze, guardandolo, probabilmente diranno: ci uscirei. Poi bisogna dire una cosa.
Cosa?
C’è un dettaglio curioso che riguarda il personaggio di Tancredi: ha ancora, anche nella puntata numero tre della serie, quella fascia nera. Nel film di Visconti, invece, c’erano caratterizzazioni molto marcate. Pensa a Paolo Stoppa nei panni di Don Calogero Sedara: era goffo e caricaturale. Qui l’attore—Francesco Colella—è diverso. Non lo conosco bene, ma il suo tratto plebeo è più marcato, mentre nel romanzo questa sfumatura non era così evidente. È interessante anche la scena in cui la piccola Angelica viene istruita sull’eleganza con il classico esercizio del libro sulla testa. Nel romanzo questo mi pare non ci sia. Inoltre, la madre che nel libro è descritta come molto bella ma inguardabile, qui appare per pochi istanti… ed è comunque resa in modo più sensuale. A ben vedere, tutti i personaggi sono stati sessualizzati, evidentemente per esigenze sempre di tipo spettacolari.
Parliamo ora di Deva Cassel che interpreta Angelica, ruolo che appartiene storicamente a Claudia Cardinale nel film di Visconti. Due bellezze molto diverse.
La sua presenza scenica di Deva Cassel è del tutto mignon rispetto alla sontuosità sia somatica sia espressiva di Claudia Cardinale. Non possiede nulla dell’eros siciliano che sprigionava Claudia, padre di Isola delle Femmine e madre trapanese, sebbene nata a La Goulette, in Tunisia. Diciamo che Deva Cassel sembra sempre sul punto di dire J’adore! come in una pubblicità glamour di profumi. Ecco, ha la presenza di una modella. Non possiede i tratti sinfonici che aveva la Cardinale. In più è un po' monocorde, un po' inespressiva e mi fermo qui perché potrei essere anche molto più polemico per questa scelta. Ma qui prevalgono ovviamente logiche di produzione.
Ma qual è, se c’è, il personaggio che più si avvicina al film di Visconti?
Incredibilmente quello di Padre Pirrone. L’attore Paolo Calabresi che lo interpreta riesce a restituire qualcosa di molto vicino a Romolo Valli. Se lo ricordi quando si vestiva da cardinale impostore, capirai cosa intendo. In questo caso, la vera somiglianza è affidata interamente al trucco: le basette, la barba, ogni dettaglio è studiato per ricreare l’aspetto dei personaggi. Anche a livello scenografico, i luoghi sono riconoscibili. Ho visto girare il film personalmente due anni fa: il centro storico di Palermo, cominciando dai Quattro Canti, era stato trasformato in un set. Tutto questo contribuisce a rafforzare l’immagine eterna della Sicilia come regno dei Gattopardi.
Ma è una Sicilia realistica quella della serie Netflix o assomiglia più a una cartolina?
Ti rispondo con un aneddoto. Uno dei registi della serie l’ho anche conosciuto di persona. Ero a Palermo, stavo osservando le riprese quando mi ha avvicinato una vecchia amica: “Fulvio, che ci fai qui? Vieni, ti porto dentro”. Così mi ha condotto all’interno del palazzo da cui si affacciano i personaggi nella scena della fucilazione e mi ha presentato uno dei registi, un americano credo. Una persona molto ironica anche su ciò che stava realizzando. Il suo approccio era chiaro: una regia di servizio, niente a che vedere con la ricostruzione minuziosa di Visconti. Non ci sono né le citazioni pittoriche Impressioniste, i paesaggi della campagna francese di Monet trasferiti a Donnafugata, o l'altra citazione prevedibile, cioè La visita di Silvestro Lega, restano le ragazze con l’ombrellino: tutto è appena accennato.
Quindi si tratta di una cartolina?
La risposta è quasi scontata: sì, è una cartolina. Non potrebbe essere altrimenti, perché è un prodotto pensato per un pubblico globale. D’altronde, occorre considerare la tipologia di spettatore a cui è destinato: anche chi vive in Groenlandia, magari in attesa che Trump decida di comprarla, guarderà questo film e penserà: “Dovremmo andare in Sicilia!”. Immaginando una Sicilia immutabile nel tempo, fatta di Gattopardi, scirocco e vestigia storiche. È la stessa immagine da cartolina che circonda la granita siciliana: suggestiva, iconica, ma inevitabilmente semplificata.

Secondo te, anche se è ancora presto per dirlo, Il Gattopardo di Netflix può avere un pubblico significativo? Considerando anche il recente report di Netflix sulle serie tv, la situazione non sembra promettente: tra i titoli italiani l'unico ad aver registrato un risultato rilevante è stata la serie Inganno con Monica Guerritore nella top 20 degli ultimi 6 mesi.
Sì, lo so ho visto Inganno. Certo non è una serie in costume, ma è riuscita a intercettare un sentire comune. Aggiungo una cosa. Eleonora Giorgi, un’amica purtroppo scomparsa di recente, avrebbe voluto fare un film con la sua storica compagna di scena Ornella Muti, raccontando la storia di due settantenni cui viene ancora concesso il desiderio erotico, carnale.
Questa volontà di Eleonora Giorgi di realizzare un film era un progetto recente o un'idea che coltivava da tempo?
Negli ultimi anni me ne parlava spesso. Mi diceva che avrebbe voluto realizzare un film o una serie, ma nel frattempo Ornella Muti era chissà dove e quindi il progetto non è mai decollato, anche se Eleonora aveva tutte le intenzioni di farlo. Quindi ci sta che Inganno abbia avuto il successo che sappiamo: è stato concepito come un fotoromanzo ed è perfetto proprio perché non ha cercato di essere altro.
Pensi che la serie Il Gattopardo possa ottenere un successo simile?
Un successo turistico, più che altro. La Sicilia ha un posto di primo piano nell’immaginario collettivo mediterraneo, Palermo è per definizione un luogo mitopoietico. Per questo penso che la serie possa avere un suo pubblico, perché è destinata a un’audience molto ampia.
Quindi la serie Il Gattopardo, la promuoviamo o la bocciamo?
Non si tratta di bocciarla o promuoverla. Si tratta di riconoscere che è un'operazione oleografica, come sovente accade quando si sceglie la Sicilia come fondale, con molti interni, una ricostruzione visiva di maniera, decentemente curata.
Allora ti faccio una controdomanda, perché non dovrebbe avere successo?
Torno a dirti: molti non si rendono conto che questa serie è un calco. Anche la morale più celebre del romanzo di Lampedusa è buttata lì per nulla evidenziata, mi riferisco alla frase manifesto de Il Gattopardo: “Perché tutto resti com’è, bisogna che tutto cambi”.

