Nella serie Netflix Il Gattopardo con Kim Rossi Stuart nei panni del Principe di Salina, si ha la sensazione di essere dentro un quadro, immersi in luci soffuse, come in un sogno. La serie è tratta dal capolavoro di Tomasi di Lampedusa e poi dal film di Luchino Visconti, il regista che con l’ingente spesa di produzione per il suo Gattopardo, fece passare la voglia alla Titanus di realizzare altri film (riprenderà poi soltanto negli anni Ottanta). Visconti, che voleva fiori freschi ogni giorno sul set. Visconti che pare avesse una squadra di lavandaie incaricate di lavare continuamente i guanti bianchi indossati dagli attori, sporcati dal caldo. Ora, la serie Netflix è certamente classica, esteticamente impeccabile (anche se un po' troppo manieristica, alla Grand Tour dei pittori di un tempo), rispettosa delle forme della Sicilia (con una parte del cast che ancora una volta parla romano o un siciliano davvero caricaturale). Purtroppo però, puntata dopo puntata, manca qualcosa di tutta la magia che avevamo studiato nei banchi di scuola, di quelle notti agitate delle rivolte popolari, di quello che accadde due secoli fa nel Regno delle Due Sicilie. Forse la risposta non andava trovata dentro i miti che l'hanno preceduta: forse quello che manca a questo prodotto è un vero e proprio slancio verso il nuovo, qualcosa che vada oltre tutte le cose. Anche se, va detto, un simbolo contemporaneo c’è. Si chiama Concetta (Benedetta Porcaroli), figlia di Don Fabrizio, addolorata e abbagliata dalle pulsazioni febbrili per il ribelle e viziato cugino Tancredi (Saul Nanni). Una ragazza che, a differenza di come era stata narrata prima di Netflix, ora ricorderemo davvero.


Resta però un grande “ma” dentro una serie di occasioni mancate e in cui personaggi minori come Don Calogero Sedara (Francesco Colella), padre di Angelica e sindaco di Donnafugata, brillano molto più di altri. Questi, piccoli fari nella narrazione di riccastri. E poi, tante domande. Cosa ne resta dell’amore tra i cuori a pezzi dei ragazzini? Dov'è la complessità dietro l'accecante bellezza di Angelica (ieri Claudia Cardinale oggi Deva Cassel)? Ancora, ma perché mai in una serie girata e ambientata nella Sicilia del 1860 esiste un siciliano appassito da svariate cadenze? Tutto resta un po’ appeso e certo non glorifica il bel tentativo di attualizzare una storia incredibile che però alla fine non ha la stessa presa di un prodotto in costume come la mainestram, ma sicuramente ipnotica, Bridgerton (o della prima riuscitissima parte de I leoni di Sicilia di Paolo Genovese).

